Domenica 6 aprile - Ore 21:00
ATTENZIONE - Sabato sera e domenica pomeriggio: Mr. Peabody e Sherman
Irlanda, 1952. L'adolescente Philomena viene mandata in convento per essere 'riportata sulla retta via', poiché è rimasta incinta. Ancora molto piccolo, il bambino viene dato in adozione a una famiglia benestante di Washington. Da allora, Philomena non si è data pace e ha speso cinquanta anni in inutili ricerche. Grazie all'incontro con il giornalista Martin Sixsmith, incuriosito dalla sua storia, la donna si imbarcherà in un'avventura che la porterà in America dove scoprirà la straordinaria storia di suo figlio...
Presentato in concorso al Festival di Venezia 2013.
Regia: Stephen Frears
Interpreti: Judi Dench, Steve Coogan, Charlie Murphy
Sceneggiatura: Steve Coogan
Fotografia: Robbie Ryan
Montaggio: Valerio Bonelli
Musiche: Alexandre Desplat
Valutazione Pastorale (dal sito della CNVF della Conferenza Episcopale Italiana)
Giudizio: Consigliabile, problematico, dibattiti
Tematiche: Donna; Famiglia - genitori figli; Libertà; Omosessualità; Solidarietà-Amore; Storia; Tematiche religiose
In concorso a Venezia 70, il film è stato a lungo in lizza per i premi più importanti, ottenendo alla fine solo il Leone per la migliore sceneggiatura. Ha fatto invece incetta di molti premi 'collaterali', primo tra i quali il Premio SIGNIS, il più antico tra i riconoscimenti attribuiti al Lido (in precedenza era il Premio OCIC). La giuria internazionale ha assegnato il premio al film: "Perché offre un intenso e sorprendente ritratto di una donna resa libera dalla Fede. Nella sua ricerca della verità, sarà sollevata dal peso di un ingiustizia subita grazie alla sua capacità di perdonare". Verità e perdono sono certamente i due elementi dentro i quali è racchiusa la parabola di Philomena, che da giovanissima subisce una violenza impossibile da dimenticare, che infatti per mezzo secolo non dimentica e che pure, ricostruiti i fatti, non alimenta in lei istinti di vendetta o di rivincita. Al giornalista che si meraviglia di tale generosità, la donna, anziana ma lucida, offre una lezione di civiltà e umanità, derivata da una fede che non è dogma ma intelligenza, tesoro di spirito e di preghiera, apertura verso l'altro. Giustamente premiato per la scrittura incalzante, serrata, stringata del copione, il film offre molti altri temi sottotraccia, sguardi non convenzionali sulla società inglese e americana, sulla religione, sulla famiglia. La regia di Frears miscela come sempre al meglio serenità, furbizia, attualità. E Judi Dench avrebbe meritato la coppa Volpi a Venezia come migliore attrice. Resta un film di notevole impatto drammatico che, dal punto di vista pastorale, è da valutare come consigliabile, problematico e adatto per dibattiti.
Utilizzazione: il film è da utilizzare in programmazione ordinaria e in molte occasioni successive dove sia possibile avviare riflessioni sui molti argomenti che la storia propone.
Frears in Concorso con un incredibile trattato sull'equilibrio cinematografico. Dench e Coogan da applausi
Philomena Lee custodisce un segreto doloroso. Nel 1952, ancora adolescente, rimane incinta. Mandata nel convento di Roscrea, luogo in cui vengono rinchiuse le "ragazze perdute", dà alla luce Anthony. Che solamente un paio d'anni più tardi viene affidato dalle suore ad una famiglia americana. 50 anni dopo, la donna - che non ha più saputo nulla del bambino - è ancora alla ricerca di suo figlio. Lo scrittore e giornalista Martin Sixsmith, venuto a conoscenza della sua storia, intraprende con lei un viaggio che non
solo rivelerà l'incredibile vicenda del figlio, ma finirà per unirli in
un legame speciale.
Stephen Frears torna in Concorso a Venezia sette
anni dopo The Queen: la regina, stavolta, è Judi Dench, all'ennesima
prova straordinaria, affiancata da un altrettanto eccellente Steve
Coogan, coautore della sceneggiatura e produttore del film, tratto dal
libro "The Lost Child of Philomena Lee" di Martin Sixsmith, pubblicato
nel 2009 e basato sulla storia vera di una madre alla ricerca del figlio
perduto.
E' un trattato sull'equilibrio, Philomena, la dimostrazione che il cinema può rapportarsi anche ad episodi reali senza dimenticare le mutevoli componenti che possono caratterizzare una storia, o la vita stessa: per farlo, Stephen Frears sceglie di non utilizzare un unico binario per le emozioni, creando in questo modo una miracolosa alternanza tra gli aspetti più struggenti di una vicenda di per sé strappalacrime e gli irresistibili, divertenti duetti tra Philomena e Martin. Da una parte la semplicità di una donna caratterizzata da un senso dell'umorismo a dir poco naïf, profondamente cattolica nonostante tutto, dall'altra il pragmatismo, il cinismo e l'ironia tipicamente british di un intellettuale ateo e abituato a ben altre storie.
Mai banalmente, considerati gli sviluppi reali della ricerca intrapresa e l'evoluzione del racconto (che evitiamo di anticipare), il lavoro di Frears - realizzato su commissione - si svincola con maestria dal portare un semplice e superficiale attacco anticlericale, esaltando invece la dignità di chi crede proprio nella sequenza più significativa dell'intero film, affidando ad una parola - "perdono" - il senso ultimo e più profondo dell'intero viaggio.
Leone d'Oro? Chissà, quel che è certo è che per la Coppa Volpi bisognerà far meglio di entrambi i protagonisti di Philomena, già in rampa di lancio per la prossima edizione degli Oscar: per informazioni rivolgersi alla Weinstein Company. (Valerio Sammarco)
"'Philomena' è il vero gran film di Natale, per quel pubblico che vuole ridere ma anche commuoversi senza sentirsi scemo. Trama in questo senso sospetta: una mamma e il suo piccino vengono separati da suore malvagie e rapaci e si cercano poi per tutta la vita in due diversi continenti senza incontrarsi mai. Una simile nera sorte richiamerebbe un po' Carolina Invernizio se il regista non fosse il sapiente Stephen Frears, se la mamma ormai anziana non fosse Judi Dench, che con il suo bel viso autentico di ottantenne dalle mille rughe e dallo sguardo azzurro, illumina una storia che è soap proprio perché realmente accaduta, straordinaria negli intrecci del destino e nella forza invincibile dell'amore. Candidato a tre Golden Globe (film, attrice, sceneggiatura) alla Mostra di Venezia piacque talmente sia alla critica che al pubblico, da privarla dispettosamente del Leone d'oro, riconosciuto solo alla sceneggiatura. Il film s'ispira all'inchiesta romanzata del giornalista Martin Sixsmith, un tempo responsabile della comunicazione per il governo Blair (il libro esce in Italia da Piemme, con una sezione fotografica, col titolo del film), che, disoccupato, era alla ricerca di una storia strappalacrime per efferati tabloid. La trova e la ricostruisce, ed è una delle tante che sconvolsero vite innocenti di tempi ora cancellati, quando le donne erano nulla (...). E se il libro racconta soprattutto la vita di Anthony-Michael, il film, pur rispettando il senso della storia e la verità dei personaggi, inventa che sia quella donnetta irlandese che crede nei romanzi rosa e che è la meravigliosa Judi Dench, timida, curiosa, dolente, entusiasta, coraggiosa, ad andare nel 2004 col giornalista (Steve Coogan, bravo ma spesso troppo stupefatto) negli Stati Uniti per ritrovare un Anthony di cui nulla sa, ormai cinquantenne, e, teme lei, forse obeso, forse barbone, forse drogato." (Natalia Aspesi, 'la Repubblica', 17 dicembre 2013)
"Una storia così bella che sembra finta, invece è tutto vero. Due protagonisti che non si capiscono per l'intero film, ma alla fine imparano qualcosa di fondamentale l'uno dall'altra. Un trionfo di sentimenti universali proiettati contro un doppio sfondo storico: l'Irlanda povera dei primi anni 50, un paese in cui «qualsiasi cattolico con 1000 sterline in tasca poteva comprarsi un bambino». E l'Inghilterra incattivita del 2003, segnata dall'appoggio di Blair alla guerra in Iraq, che scorre in filigrana dietro un film ambientato per metà proprio a Washington. Può suonare paradossale ma è difficile immaginare qualcosa di più natalizio di 'Philomena', premiato per la miglior sceneggiatura a Venezia e dominato dai fenomenali Judi Dench e Steve Coogan, che si rimpallano finezze e sottotesti di uno script calibrato alla perfezione (Coogan ha anche scritto il film con Jeff Pope, dunque conosce 'da dentro' il suo personaggio). La storia, toccante quanto esemplare, è stata raccontata dal vero protagonista Martin Sixsmith in un libro (in uscita da Piemme). Stephen Frears ne ha tratto un film ovattato e irresistibile, lontano dai toni taglienti di lavori come 'Rischiose abitudini', 'The Queen', 'Tamara Drewe', ma capace forse di raggiungere un pubblico molto più vasto. Come quello rappresentato dalla protagonista: un'anziana irlandese decisa a ritrovare il figlio che mise al mondo da ragazza madre nel 1952 per poi vederselo strappare, bambino, dalle suore del convento presso cui lavorava. (...) Dove sarà quell'innocente, venduto a qualche riccone (nel convento c'è ancora una foto di Jane Russell, la diva di Hollywood, che venne lì come tanti americani per portarsi via un bambino: e chissà se un giorno qualcuno farà un film sulle dive che oggi procreano salvandosi il girovita grazie al sistema non proprio democratico degli uteri in affitto). (...) Naturalmente non sveleremo le tappe della loro ricerca, con crescendo di rivelazioni a orologeria. Ma ancor più che per la storia, 'Philomena' vale per la sottigliezza con cui dettaglia l'incontro fra questi due personaggi così diversi per censo e educazione. Lui tutto ironia, cultura, razionalità. Lei imbevuta di fede e schiettezza, ma capace di vedere anche più lontano del giornalista («Non voglio abbandonarmi all'odio come lei: dev'essere sfibrante»). Il tutto servito da un regista che riflette sul proprio lavoro attraverso i suoi stessi personaggi. L'ingenua Judy Dench andrà in estasi per i romanzetti stile harmony. Ma conosce sentimenti e generosità ignoti al suo colto, sarcastico, infelice accompagnatore." (Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero', 18 dicembre 2013)
"Un bellissimo film. All'altezza della grande tradizione del cinema inglese. Lo firma del resto un autore prestigioso come Stephen Frears che di recente aveva coinvolto tutti con il suo splendido 'The Queen', sulla Regina Elisabetta e Tony Blair per i funerali di Lady Diana. Coinvolgendo tutti anche adesso, e sempre con fatti veri. Quelli che, nei Cinquanta, in quel fosco convento irlandese delle Maddalene, già avvolto di luci nere nel film 'Magdalene' di Peter Mullan, vi vide accolta una ragazza prossima al parto. Sottoposta subito dopo a molti maltrattamenti, più tardi le venne sottratto anche il figlio per darlo in adozione a ricchi americani e circondandolo presto con un muro impenetrabile di silenzio. Nonostante questo muro, Philomena, la madre, non si dette per vinta e non smise per cinquant'anni di cercare ovunque quel figlio. (...) Philomena, grazie alla sua fede, riusciva a perdonare quelle suore. Non così il giornalista, Martin Sixmith, che al posto dell'articolo cui inizialmente aveva pensato, scrisse un libro molto circostanziato, severo e puntuale. Quello, appunto cui Frears si è ispirato per il film di oggi svolto, nonostante l'asprezza degli eventi proposti, guardandoli quasi in sotto-tono perché la carica emotiva cui si affidavano potesse esplodere soprattutto nell'intimo di chi li accostava pronto prima a palpitare per la giovinezza martoriata della donna e poi per quell'ostinato coraggio della madre cui nessun ostacolo faceva paura pur di raggiungere il suo scopo. Egualmente ben incisa la figura non certo marginale del giornalista, all'opposto di lei ma deciso comunque a sostenerla pur non condividendo la sua fede generosa. In cifre, anche se il linguaggio è quasi sommesso, cariche di forti tensioni, pur evitando sempre le scene madri. Domina il film la presenza di un'attrice straordinaria come la grande Judi Dench, straziata, ferita umiliata, ma dando soprattutto spazio ai silenzi. La coadiuva con seri accenti Steve Coogan nel personaggio del giornalista responsabile anche della sceneggiatura ispirata a libro Sixmith." (Gian Luigi Rondi, 'Il Tempo - Roma', 18 dicembre 2013)
"Troppo perfetto, tradizionale, emozionante, inoltre vissuto, quindi non casuale né gratuito, 'Philomena' di Frears ottenne a Venezia solo il premio per la sceneggiatura, glissando su un'attrice come la strepitosa 79enne Judi Dench che si porta sulle spalle il peso della verità e delle sue contraddizioni, della costanza della fede e della ricognizione del dolore. È lei che si accolla il personaggio della donna irlandese, di sane credenze popolari nei romanzi rosa, che dopo 50 anni va alla ricerca del «figlio della colpa», nel '52 sottratto dalle poco pie suore Magdalene, convento di Roscrea, che vendettero il fanciullo al miglior offerente, una famiglia americana. (...) Bella storia di curiosità della vita, trascritta in un libro (Piemme) dal giornalista Martin Sixsmith, che sullo schermo ha il volto ironico ma nuvoloso del noto comico tv Steve Coogan. Melò che non rinuncia ad alcun colpo basso del destino, offrendoli anzi in saldo, il film di Frears, regista di 'Queen', guarda con regale eleganza psicologico-formale i sentimenti d'una donna che non rinuncia a credere pregando infine nel cimitero del convento, ad onta delle perfidie già raccontate in 'Magdalene' di Mullan. È molto bella la costruzione, pezzo per pezzo, di un rapporto anomalo tra due persone diverse: Philomena, che non ha perso il coraggio della lotta e l'amico scrittore che per lavorare, dopo uno scandalo politico, accetta lo stile gossip. Una vicenda che si guarda da più visuali: ma vince il dolore della madre che non ha neppure la forza di essere urlato perché arriva a conto di vita già pagato." (Maurizio Porro, 'Corriere della Sera', 19 dicembre 2013)
"La Cate Blanchett di 'Blue Jasmine' è davvero straordinaria, ma per il Golden Globe (e probabilmente per l'Oscar) la diva australiana dovrà vedersela con la 'Philomena' di Judy Dench, fantastica attrice che riesce ogni volta a sorprendere per intensità, autorevolezza e tempi perfetti. Alla base del bel film di Stephen Frears c'è una vicenda vera, raccontata da Martin Sixsmith in un libro del 2009, 'The Lost Child of Philomena Lee', ora in uscita da noi (Piemme). (...) Tanto materiale poteva produrre un film pasticciato e sempre a rischio di scivolare nel patetico: invece la lacrima arriva, ma resta sul ciglio, trattenuta con britannico senso del controllo; e semmai a scattare più spesso è la risata per il gioco a contrasto della strana coppia. L'intellettuale snob uscito da Oxford e l'ex-infermiera piccolo borghese, l'ateo e la credente, il giornalista che cerca di rimontare la china con una storia di vita vissuta; e un'anziana signora che, a dispetto delle sue dickensiane vicissitudini, si diletta della lettura di romanzi rosa a lieto fine. E' anche un gioco su ciò che potrebbe essere 'Philomena', una storia d'appendice, se non fosse per un regista tanto abile a giostrarla in un calibrato dosaggio di pathos e commedia." (Alessandra Levantesi Kezich, 'La Stampa', 19 dicembre 2013)
"Tra i pauperistici anni Cinquanta e l'inizio avvelenato dei Duemila una serie d'indizi, grazie all'abile montaggio rovesciati in rivelazioni e viceversa, non solo rievocano una penosa condizione umana e soprattutto femminile, ma intrecciano scene dal vero e spezzoni in Super8, scene madri e stilettate di puro humour con la sicurezza di un cinema di qualità aperto al pubblico vasto. E poi c'è la Dench che (ancorché per noi doppiata) sorregge i meriti di 'Philomena' come il mitologico Atlante sorreggeva la volta celeste: ingenua e cocciuta, adoratrice dei romanzetti rosa ma ricca di generosità, ignorante eppure spiritosa, l'eccezionale mattatrice rappresenta la forza d'animo di chi non s'arrende all'ingiustizia e non viene a patti con il determinismo della Storia. La sua schietta fede resta tuttavia salda ed è quando dice al giornalista «Non voglio abbandonarmi all'odio come lei: dev'essere sfibrante», che avrebbero dovuto applaudire i talebani di Venezia" (Valerio Caprara, 'Il Mattino', 19 dicembre 2013)
"Le sceneggiature cinematografiche sono testi tecnici, difficili da leggere. Ciò nondimeno quella di 'Philomena', il nuovo film di Stephen Frears passato in concorso a Venezia, andrebbe pubblicata e assegnata come lettura obbligatoria in tutte le scuole di cinema. Frears è ovviamente un bravissimo regista, ma i sostenitori (ce ne sono ancora?) della «politica degli autori» dovrebbero dargli retta quando egli stesso dà gran parte del merito per i suoi film agli scrittori e agli attori. 'The Queen', ad esempio, non sarebbe mai esistito senza il copione di Peter Morgan e il talento di un'attrice fantastica come Helen Mirren; 'Philomena' è una combinazione fra la scrittura di Steve Coogan, anche attore protagonista, e il genio di Judi Dench, formidabile interprete shakespeariana che di tanto in tanto onora anche il cinema con la sua presenza. Sia 'The Queen' che 'Philomena' sono ritratti di donne, ma quanto distanti: fra la regina Elisabetta II del primo e la madre sconsolata del secondo c'è una distanza abissale, ma la forza con cui affrontano le prove della vita è la medesima. (...) E' encomiabile la capacità di auto-rappresentazione che il cinema britannico dimostra con film come questo, o con tutta l'opera di Ken Loach. 'Philomena' è anche lo spietato ritratto dell'Irlanda bigotta, l'altra faccia dello specchio rispetto a 'Magdalene' di Peter Mullan. Film tenero, forte e divertente. Judi Dench da Nobel (l'Oscar è troppo poco, e comunque l'ha già vinto)." (Alberto Crespi, 'L'Unità', 19 dicembre 2013)
"Dal libro omonimo di Martin Sixsmith (Piemme), è 'Philomena', diretto - su commissione - dal pluripremiato regista di 'The Queen' Stephen Frears: davanti alla sua macchina da presa, la divina Dame Judi Dench, che guarda all'Oscar, e Steve Coogan, protagonisti di un sinergico, chimico ed emozionante passo a due. Nota per i nostri attori: guardare e, se ce la fate, imitare. Già che ci siamo, una nota anche per i nostri sceneggiatori: quella di Steve Coogan e Jeff Pope è un miracolo di scrittura, dosa humour e pathos, ironia e commozione, dolore e speranza con inarrivabile maestria, e dopo il premio alla Mostra di Venezia rischia di bissare agli Academy Awards. Insomma, italiche penne, una volta tanto sarebbe gradito il copia & incolla. Se 'Magdalene' di Peter Mullan (2002) denunciava le Magdalene Laundries che accoglievano le 'donne perdute' à la Philomena Lee, Frears segue le convergenze parallele della sua working class heroine e di Sixsmith: «Come il giornalista - dice il regista - io reagirei con rabbia all'insabbiamento della verità attuato dalle suore», mentre la donna arriva a perdonare e, confessa la Dench, «dubito che potrei fare lo stesso, ho una fede e una forza diversa». Due piste ideologiche, due vasi comunicanti morali che Philomena rispetta ed osserva senza esprimere preferenze, evitando arroccamenti partigiani: per questa equanimità piace a tutti? Alla Mostra di Venezia ha messo in bacheca le larghe intese: il premio dei cattolici (Signis), quello degli atei e agnostici razionalisti (Brian), dei protestanti (Interfilm), dei gay (Queer Lion), dei gesuiti (Nazzareno Taddei). Troppa grazia? No, regia classica, script di precisione, battute fulminanti (...), empatia alla carta, attori sublimi e un tot di furbizia, 'Philomena' piace. Sì, piace a tutti: problemi?" (Federico Pontiggia, 'Il Fatto Quotidiano', 19 dicembre 2013)
"Nel 2002 Peter Mullan vinse il Leone d'oro della Mostra veneziana con 'Magdalene', il film che raccontava le angherie che le suore cattoliche infliggevano alle giovani «peccatrici» irlandesi recluse nei loro conventi. Quest'anno Stephen Frears è andato a Venezia per raccontare la storia, vera, di una di quelle ragazze: Philomena (tornando ingiustamente senza un premio, se non quello a Steve Coogan per la sceneggiatura). (...) Ci sono film che non hanno alcuna intenzione di essere innovativi in termini di linguaggio. Non hanno bisogno di sperimentazioni, si basano su fatti concreti: una storia talmente ricca da sembrare inventata, due attori in stato di grazia (Judi Dench e Steve Coogan, anche sceneggiatore con Jeff Pope, nomen omen, e produttore) una sceneggiatura che bilancia magnificamente la drammaticità del racconto con dialoghi cesellati (l'ingenua Phil scopre che il figlio era gay quando in una foto lo vede con indosso una salopette) e un ritmo da azione filmica, molto più dirompente di tanti film d'azione. Così succede che 'Philomena' si riveli un autentico trionfo, facendo più di un pensierino agli Oscar. Sarebbe un buon riscatto per Stephen Frears, geniaccio troppo spesso snobbato dalla critica più spocchiosa e da giurie distratte. Anche perché 'Philomena' non è solo un fantastico racconto di vita vissuta che vede coinvolti Jane Russell, Ronald Reagan il dio dei cattolici, ma un confronto intenso e ricco di implicazioni tra un intellettuale abituato a muoversi nei piani alti della vita senza davvero accorgersi di quel che succede là sotto e una persona vera capace di telefonare al suo «socio» per chiedergli se ha bisogno di un accappatoio perché nel lussuoso albergo dove la rivista li ha alloggiati gliene hanno messi due. Stephen Frears si è augurato che il papa possa vedere il suo film, ecco, sarebbe bello che succedesse e senza voler dare la croce addosso a nessuno, facesse qualche riflessione su quanta cattiveria inutilmente punitiva sia stata messa in atto da rappresentanti del mondo cattolico, in epoche non poi così remote." (Antonello Catacchio, 'Il Manifesto', 19 dicembre 2013)
"Piacerà da matti per l'interpretazione di Judi Dench. E per l'abilità con cui Stephen Frears, il regista che fa bene tutto (da 'Relazioni pericolose' a 'The Queen') ha saputo evitare le mille trappole della facile commozione. Dopodiché il pensiero di ogni spettatore sarà unanime. La giuria di Venezia che ha dato il Leone d'oro a un documentario e alla Dench neanche una menzione, era formata da interdetti (alludiamo anche al presidente Bertolucci? Sì alludiamo)." (Giorgio Carbone, 'Libero', 19 dicembre 2013)
"Brillante e commovente, con il tema del perdono cristiano che fa da sfondo a un film indimenticabile. Un regalo di Natale." (Maurizio Acerbi, 'Il Giornale', 19 dicembre 2013)
"L'attrice Judi Dench è nota per il personaggio di M, capo dell'agente segreto 007 nella saga cinematografica per lei chiusasi con 'Skyfall'. Ma è soprattutto un'interprete di prima grandezza della Royal Shakespeare Company, approdata tardi al grande schermo seppure con risultati strepitosi. Rivelatasi nel 1986 in Camera con vista di James Ivory, ha già vinto un Oscar come miglior attrice non protagonista per il ruolo della regina Elisabetta I d'Inghilterra in 'Shakespeare in Love'. E ha legato il suo nome a titoli di qualità come 'Un tè con Mussolini' di Zeffirelli, 'Chocolat' di Lasse Hallström, 'J. Edgar' di Clint Eastwood. Ovvio che il regista Stephen Frears l'abbia voluta come protagonista di 'Philomena', storia di una irlandese a cui, negli anni '50, era stato sottratto il bambino 'figlio della colpa' per darlo in adozione negli Usa. E che ora, vedova e nonna, si mette alla ricerca di quel figlio sconosciuto in compagnia di un giornalista a caccia di scoop. Avrebbe potuto essere un film accusatorio e lacrimoso. Invece è un meraviglioso ritratto umano di una donna semplice che crede nei romanzi rosa, timida, curiosa, dolente, entusiasta, coraggiosa. Film divertente e commovente, il più bello visto all'ultima Mostra di Venezia. Il migliore per Natale." (Maurizio Turrioni, 'Famiglia Cristiana', 29 dicembre 2013)
"Lei piena di fede, impaurita, determinata, appassionata di romanzi con forali romantici, Judi Dench austera e catalizzante. Lui ateo, giornalista politico in dismissione, scettico, generoso, la star comica britannica Steve Coogan, autore della formidabile sceneggiatura. (...) Frears touch, da non mancare." (Silvio Danese, 'Nazione-Carlino-Giorno', 27 dicembre 2013)