Sabato 28 novembre | Ore 21:00 |
Domenica 29 novembre | Ore 16:00 e 21:00 |
Il film racconta la storia del mitico fuorilegge dell’epoca della Grande Depressione Economica Americana, John Dillinger, il carismatico rapinatore di banche reso dai suoi raid lampo l’obiettivo principale del migliore agente dell’FBI dei tempi di J. Edgar Hoover, Melvin Purvis, e divenuto una sorta di eroe popolare agli occhi degli americani di quel periodo. Nessuno poteva fermare Dillinger e la sua banda. Non esisteva prigione dalla quale non riuscisse ad evadere. Il suo carisma e le rocambolesche fughe dalle prigioni lo rendevano interessante agli occhi di tutti, da quelli della sua fidanzata Billie Frechette a quelli del pubblico Americano che non aveva simpatia per le banche responsabili di aver fatto precipitare il paese nella depressione. Ma mentre le avventure di Dillinger e della sua banda che nell’ultimo periodo comprendeva anche due individui sociopatici dal nome Baby Face Nelson e Alvin Karpis, intrigavano i più, Hoover si riproponeva di utilizzare la pubblicità che la cattura del criminale avrebbe potuto generare in suo favore per trasformare il suo “Bureau of Investigation” nel dipartimento di polizia nazionale che è adesso l’FBI. Fece pertanto di Dillinger il primo Nemico Pubblico Numero Uno degli Stati Uniti d’America, mettendogli alle calcagna Purvis, l’affascinante “Clark Gable dell’FBI’’.
Regia | Michael Mann |
Sceneggiatura | Ronan Bennett |
Ann Biderman | |
Michael Mann | |
Fotografia | Dante Spinotti |
Montaggio | Paul Rubell |
Musiche | Elliot Goldenthal |
Johnny Depp | Christian Bale |
Marion Cotillard | Channing Tatum |
Billy Crudup | David Wenham |
Giovanni Ribisi | Rory Cochrane |
Lili Taylor | Stephen Dorff |
Shawn Hatosy | Stephen Lang |
Stephen Graham | Matt Craven |
Branka Katic | Christian Stolte |
Jason Clarke | Alan Wilder |
Spencer Garrett | Bill Camp |
Valutazione Pastorale (dal sito dell'Associazione Cattolica Esercenti Cinema - ACEC)
Giudizio: consigliabile, semplice
Tematiche: gangster, male, storia
Quasi da subito la vita (e la morte) di John Dillinger sono diventati materia ideale per il cinema. Molte versioni, e ora questa diretta da Michael Mann. L'impronta del regista si vede, e si sente. Forse anche troppo. Rinunciando a dire qualcosa di nuovo sullo svolgimento dei fatti, Mann punta tutto sulle soluzioni visive, sui volti, sui corpi, sugli oggetti: e l'azione diventa il luogo dove la personalità dei protagonisti arriva al confronto decisivo. La m.d.p costruisce, distrugge, aggiunge, sottrae, disegna gli spazi e li cancella. Quasi fino a prevaricare il personaggio. Ne esce quindi un film dove lo stile scrive il ritmo, e tratteggia le psicologie. E che, tuttavia, resta un bello spettacolo da valutare, dal punto di vista pastorale, come consigliabile, e semplice, intendendo come tale l'impianto generale della vicenda.
Utilizzazione: il film è da utilizzare in programmazione ordinaria, con attenzione per i piccoli e i minori, a motivo di crudezze varie comunque presenti. Stessa cura è da tenere in vista di passaggi televisivi o di uso di VHS e DVD.
Mann aggiunge un altro memorabile ritratto alla sua personale galleria americana: malinconicamente sospeso tra mito e realismo
Sono pochi i cineasti americani a credere ancora nelle storie bigger than life, e anche meno quelli capaci di raccontarle in modo credibile. Michael Mann è tra questi. Da Heat-La sfida a Collateral, la sua filmografia è un antidoto al minimalismo retorico di questi anni e una sfolgorante galleria di ritratti leggendari e passioni abnormi, destini beffardi e vite al di là del bene e del male. L'epica al contrario del sogno americano, di cui Nemico pubblico rappresenta la variante d'epoca (siamo negli anni '30), e un modello senza sbavature. Tratto dal libro Public Enemies di Bryan Burrough, il film affronta una delle figure chiave della mitologia yankee, quel John Dillinger che il cinema hollywoodiano ha più e più volte messo in scena senza mai sfiorare però la radicalità e l'introspezione profuse qui dal regista.
Dal materiale biografico di partenza, di cui conserva nomi, date e luoghi (la maggior parte delle location sono reali), Mann trasceglie i momenti significativi e gli snodi essenziali. L'evasione dal penitenziario di Stato dell'Indiana, la riunione con la gang, le rapine da una parte all'altra degli States, la sfida con Melvin Purvis (il mastino scelto da J. Edgar Hoover per guidare la speciale unità anti-crimine del neonato FBI), l'incontro con l'amata Billie Frechette, il tradimento di un'amica (la leggendaria "signora in rosso"), l'uccisione a pochi metri dal Biograph di Chicago dove aveva appena visto Manhattan Melodrama con Clark Gable: fissata nei suoi episodi fondamentali – procedimento tipico del regista, per cui la narrazione è una successione di circostanze decisive - la vicenda di Dillinger sullo schermo acquista un'indefinibile valenza mitica, come l'eco di una tragedia antica. Al romanticismo struggente del personaggio concorre l’interpretazione volutamente sottotono di Johnny Depp, malinconica maschera di un'epoca al tramonto, dove l'amicizia, la parola e l'etica contano ancora.
L'ammirazione che Mann prova per il suo eroe è speculare al consenso goduto da Dillinger durante la Grande Depressione. Il popolo vedeva in lui una sorta di Robin Hood deciso a togliere alle banche quello che le banche avevano sottratto al popolo (da qui il rimando al presente sbandierato dai critici americani, che il cineasta però sembra assecondare poco). E il film sottolinea questa sua galanteria a più riprese, quando mostra la generosità del rapinatore nei confronti degli ostaggi o la tenace opposizione ai metodi violenti di Baby Face Nelson. Ma il culmine della fascinazione lo si raggiunge grazie all'intreccio amoroso – come al solito il regista è abile ad approfondire ogni sottotesto possibile, immergendo lo spettatore in tutti i livelli del racconto – e al modo in cui Dillinger corteggia, conquista e resta fedele alla sua compagna, la brava e bella Marion Cotillard.
Grande affabulatore, Mann rende interessante ogni segmento narrativo, ogni faccia (perfetto il cast, ma Bale è un po' marmoreo) e dettaglio (dalla musica ai costumi), in un magistrale esercizio di equilibrio che tocca il suo vertice nell'amalgama di classicità e digitale, mito e realismo. Un digitale esaltato dalla fotografia crepuscolare di Dante Spinotti, riverbero opaco di un mondo dove gli uomini nuovi sono forse peggiori dei cattivi che hanno sconfitto. (Gianluca Arnone)