Sabato 5 marzo 2016 - Ore 21:00
Domenica 6 marzo 2016 - Ore
21:00
Domenica pomeriggio: Zootropolis
Miglior regia a Alejandro González Iñárritu
Miglior
attore protagonista a Leonardo DiCaprio
Miglior fotografia a Emmanuel
Lubezki
Ispirato a eventi realmente accaduti, Revenant -
Redivivo è una storia epica sul tema della sopravvivenza e della
trasformazione, sullo sfondo della frontiera americana. Costretti a lasciare
il territorio incontaminato e sconosciuto del Nord Dakota dove stavano
cacciando pelli e pellicce a causa di un attacco indiano che li ha decimati,
i sopravvissuti della spedizione si affidano al leggendario esploratore Hugh
Glass (Leonardo DiCaprio) per trovare una via di fuga sicura e tornare al
loro forte. Le scelte di Glass, e la necessità di abbandonare nei boschi le
pelli e il guadagno che rappresentano, suscitano l'ostilità del rude John
Fitzgerald (Tom Hardy). Quando Glass viene ridotto in fin di vita
dall'attacco di un'orsa, e il gruppo è costretto a separarsi, Fitzgerald
abbandona il ferito al suo destino, considerandolo spacciato. Ma, nonostante
le feriti mortali e la solitudine, Glass riesce a non soccombere. Grazie
alla sua forte determinazione e all'amore che nutre per sua moglie, una
indiana d'America, percorrerà oltre 300 chilometri in un viaggio simile a
un'odissea, attraverso il grande e selvaggio West, per scovare l'uomo che lo
ha tradito. Il suo inseguimento implacabile diventa un'epopea che sfida il
tempo e le avversità, alimentata dal desiderio di tornare a casa e ottenere
la meritata giustizia.
Regia: Alejandro González Iñárritu
Interpreti: Leonardo DiCaprio, Tom Hardy, Will Poulter, Domhnall Gleeson, Paul Anderson, Lukas Haas, Brendan Fletcher, Kristoffer Joner, Forrest Goodluck, Joshua Burge, Christopher Rosamond, McCaleb Burnett
Sceneggiatura: Alejandro González Iñárritu, Mark L. Smith
Fotografia: Emmanuel Lubezki
Montaggio: Stephen Mirrione
Musiche: yûichi Sakamoto, Bryce Dessner , Carsten Nicolai
Durata: 2 ore e 36 minuti
“Questa è la storia vera di Hugh Glass. Di come è stato abbandonato da compagni che credeva amici e invece erano traditori. Di come è sfuggito alla morte quando tutti lo pensavano spacciato. Di come è sopravvissuto a un’odissea di tremila miglia nell’immensità ostile della Frontiera americana. Questa è una storia di salvezza e avventura, di ferocia e redenzione. Questa è la storia di una vendetta”.
Questo è Revenant di Michael Burke (edito da Einaudi), libro da cui il regista premio Oscar Alejandro G. Iñárritu è partito per realizzare il suo nuovo film. Coadiuvato ancora una volta (dopo Birdman) dallo straordinario apporto di Emmanuel Lubezki, direttore della fotografia chiamato nuovamente a superare se stesso (oltre ai consueti movimenti di macchina, qui a lasciare senza fiato è l’utilizzo delle luci naturali), il regista messicano sembra volersi mettere sulle tracce del cinema che rese celebre Terrence Malick (prima dei suggestivi, seppur deliranti Tree of Life e To the Wonder): ambientato nella zona intorno al bacino del Missouri, negli anni 20 dell’800, il film è stato girato in diverse, inospitali location (dal Kananaskis Country canadese, con temperature di -30°, fino alla Tierra del Fuego argentina) e segue l’odissea del leggendario esploratore Hugh Glass (Di Caprio, al quale neanche auguriamo più di vincere un Oscar sperando che magari sia la volta buona…). Attaccato da un grizzly e moribondo, viene abbandonato dai compagni, in fin di vita e ferito oltre ogni limite, nel profondo, dall’uccisione del proprio amato figlio. Per il quale è pronto a sfidare la morte e mettersi sulle tracce del suo aguzzino (Tom Hardy, all’ennesima grande prova).
Western d’altri tempi, survival e revenge movie s’intrecciano: Revenant fonde l’epica del cinema maestoso con l’estetica della violenza e della sofferenza, non ci risparmia nulla (l’attacco dell’orso è spaventoso, per non parlare dello sbudellamento di un cavallo morto, da utilizzare come involucro per trascorrere la notte durante una tormenta di neve…) e in più di un’occasione antepone la forza della natura alla debolezza dell’uomo, senza però abbandonarlo mai.
Vincitore di 3 Golden Globe (miglior film, regia e attore protagonista) e candidato a 12 Premi Oscar. Meritevolmente. (Valerio Sammarco)
"Dopo essersi rinchiuso tra le quinte del teatro in 'Birdman', il fantastico Iñárritu corre all'aria aperta, fredda e spietata del Missouri del 1820 senza perdere il vizio dei piani sequenza affidati a un grande Emmanuel Lubezki. Un'avventura visionaria sotto un grande cielo alla Hawks, alla Wellman che centellina in 156 minuti il pathos western di un soliloquio in cui al cacciatore Leonardo DiCaprio ne capitano davvero di tutte (...). Sceneggiato con pochissime parole dal regista e Mark L. Smith è un capitolo sulla varietà delle sofferenze, raccontato con un'audace enfasi esistenziale che ben s'accoppia con la prova senza se e senza ma di DiCaprio, eroe di un film un po' lungo ma che vive di un eccesso complementare alla claustrofobia di 'Birdman': respirate l'aria del Missouri contro lo smog." (Maurizio Porro, 'Corriere della Sera', 14 gennaio 2016)
"'Revenant' è un film epico che intreccia i filoni del survival e del revenge-movie con straordinaria efficacia drammaturgica ed emotiva. Non dimentica, intanto, temi mitici tra i fondativi del genere western, a cominciare dall'incontro, nelle terre incontaminate, tra l'uomo bianco e l'uomo rosso; né trascura di far cenno alle stragi perpetrate al tempo delle guerre coloniali tra inglesi, francesi e relativi alleati pellerossa. C'è - è vero - un punto più debole nel film, e sono le visioni oniriche del protagonista, troppo in linea col 'precedente' Iñárritu; e tuttavia non valgono a mozzarne il respiro epico, che prevale largamente sul resto. Veniamo alla regia. Il virtuosismo di Iñárritu dietro la macchina da presa, il suo talento per il piano-sequenza (già ampiamente dimostrato in 'Birdman') diventano qui più necessari, più organici a ciò che narra, dando vita a sequenze en-plein-air maestose e indimenticabili: soprattutto la battaglia iniziale tra i cacciatori e gli indiani Ree e la scena, quasi insopportabile per brutalità ma eccezionale, dell'orso che aggredisce Glass. Però è l'intero film, nella superba fotografia di Emmanuel Lubezki, a risultare immersivo e monumentale insieme; qualità che non molti registi (a parte Terrence Malick e un pugno di altri ) sono in grado di sommare. Per concludere, Leonardo DiCaprio. La sua performance quasi muta, tutta barba e occhi dilatati dalla sofferenza, è un saggio di tecnica dell'immedesimazione perfettamente assimilata dall'Actors Studio. Però non sarebbe giusto dimenticare, nella parte speculare del cattivo Fitzgerald, l'ottimo Tom Hardy; e vanno ricordate anche le musiche di Ryuiki Sakamoto, che aggiungono un plus a un film ricco di qualità come non è dato incontrarne spesso." (Roberto Nepoti, 'La Repubblica', 14 gennaio 2016)
"Iñárritu non si attiene, ovviamente, a un galateo minimalista e si concede virtuosismi che a qualcuno potranno risultare un po' ripetitivi ed enfaticamente incupiti: le sue riprese con la macchina a mano, le sue panoramiche avvolgenti e sconfinate nonché la sua colonna sonora alternata tra sinistri rumori naturali e musiche (come a contrasto) ultra-raffinate appaiono, però, secondo noi l'unico modo per potere trasfigurare, come hanno fatto i maestri del western rivisitato dallo spirito ribelle della New Hollywood tra il 1965 e il 1975,il crudo verismo in delirio visionario, il destino nobile dell'eroe in destino tragico, la mistica occidentale in panteismo pagano, la parabola biblica in martirio universale. Il giudizio complessivo non può che confermare la superba performance dell'ex ragazzo di «Titanic», cresciuto ininterrottamente negli anni, grazie anche al magistero del suo regista-demiurgo Scorsese, senza che se ne accorgessero molti spettatori di passaggio nonché i ciechi esordi votanti dell'Academy. Siamo ormai ai livelli dei giganti della Fabbrica dei sogni, anche perché in questo caso si è dovuto confrontare con eccellenti camaleonti della scena (come il bieco Fitzgerald di Tom Hardy) e concedersi senza remore ai primi e primissimi piani pretesi dai pervasivi grandangoli della cinepresa digitale Alexa65mm." (Valerio Caprara, 'Il Mattino', 14 gennaio 2016)
"Abbandonate le cornici metropolitane di '21 grammi' e di 'Birdman', il messicano Alejandro G. Iñárritu immerge il protagonista in una natura di immensa bellezza (ritagliata fra Canada e Terra del Fuoco), leopardianamente indifferente ai fiotti di sangue umano che vanno a insozzare il suo niveo manto. Girata (almeno in apparenza) in un unico piano sequenza con incredibile realismo (anche per quanto attiene alla psicologia della belva), la feroce scena di Glass attaccato dall'orso stabilisce la chiave di lettura di un'avventura esistenziale giocata con cristallina coerenza formale sui toni estremi - disfacimento fisico, disperazione, lutto, delirio, annichilimento congeniali al cineasta. La fotografia di Lubezki svaria su ammalianti effetti di luce vera, la musica firmata da Ryuichi Sakamoto con Alva Noto è di rarefatta suggestione; e uno straordinario Di Caprio - straziato nel corpo e nello spirito e per oltre metà del film solo con se stesso - si produce nella sua interpretazione più intensa e matura. Lo stesso dicasi di un Iñárritu di rara essenzialità, che con questo sesto lungometraggio si conferma cineasta degno dei grandi." (Alessandra Levantesi Kezich, 'La Stampa', 14 gennaio 2016)
"Certo due ore e mezzo non sono una passeggiata per chi soffre il mal di poltrona, però quando lo spettacolo c'è e il ritmo non concede tregua passano in un lampo." (Massimo Bertarelli, 'Il Giornale', 14 gennaio 2016)
"Un inno al primordiale impulso alla sopravvivenza, un omaggio alla dignità umana, al senso di giustizia e all'amore per la famiglia. II regista messico-hollywoodiano Alejandro Gonzáles Iñárritu abbandona momentaneamente nevrosi tutte contemporanee, quelle magistralmente raccontate in 'Birdman', per immergersi in una storia epica, dal forte impatto visivo ed emotivo, ambientato in un West ancora più selvaggio di quello conosciuto attraverso i film di cowboy e fuorilegge. (...) Una storia vera, incastonata nel folklore americano, tramandata attraverso i racconti intorno al falò e poi scritta da Michael Punke in 'The Revenant: A Novel of Revenge'. (...) Girato in ordine cronologico per rispettare il naturale ritmo del viaggio del protagonista, 'Revenant' è stato realizzato contando esclusivamente sulle luci naturali del sole e del fuoco. Se la pittura di Alfred Jacob Miller e di Karl Bodmer è stata grande fonte di ispirazione, i romanzi russi di Dostoevskij, Checov e Tolstoj non hanno avuto un ruolo marginale, mentre 'Andrej Rublëv' di Tarkovskij è il film che il regista aveva in mente quando ha realizzato il suo. Per Leonardo DiCaprio, che veste le pesanti pellicce di Glass, si è trattato senza alcun dubbio del ruolo più impegnativo della sua carriera, sia dal punto di vista fisico che psicologico." (Alessandra De Luca, 'Avvenire', 10 gennaio 2016)