Sabato 26 maggio - Ore 21:00
Domenica 27 maggio - Ore 16:00 e 21:00
Ingresso: 4.00 €
Migliore attrice protagonista a Meryl Streep
Miglior trucco a Mark Coulier e J. Roy Helland
Margaret Thatcher, ex Primo Ministro britannico, ormai ottantenne, fa colazione nella sua casa in Chester Square, a Londra. Malgrado suo marito Denis sia morto da diversi anni, la decisione di sgombrare finalmente il suo guardaroba risveglia in lei un'enorme ondata di ricordi. Al punto che, proprio mentre si accinge a dare inizio alla sua giornata, Denis le appare, vero come quando era in vita: leale, amorevole e dispettoso. Lo staff di Margaret manifesta preoccupazione a sua figlia, Carol Thatcher, per l'apparente confusione tra passato e presente dell'anziana donna. Preoccupazione che non fa che aumentare quando, durante la cena che ha organizzato quella sera, Margaret intrattiene i suoi ospiti incantandoli come sempre, ma a un bel momento si distrae rievocando la cena durante la quale conobbe Denis 60 anni prima. Il giorno dopo, Carol convince sua madre a farsi vedere da un dottore. Margaret sostiene di stare benissimo e non rivela al medico che i vividi ricordi dei momenti salienti della sua vita stanno invadendo le sue giornate nelle ore di veglia.
Regia: Phyllida Lloyd
Interpreti: Meryl Streep, Jim Broadbent, Harry Lloyd, Richard E. Grant, Olivia Colman, Ronald Reagan, Roger Allam, Nicholas Farrell, Julian Wadham, Anthony Head
Sceneggiatura: Abi Morgan
Fotografia: Elliot Davis
Montaggio: Justine Wright
Musiche: Clint Mansell, Thomas Newman
Durata: 1 ora e 45 minuti
Valutazione Pastorale (dal sito della CNVF della Conferenza Episcopale Italiana)
Giudizio: Consigliabile, problematico, dibattiti
Tematiche: Donna; Famiglia; Politica-Società; Storia
Margareth Thatcher è ancora vivente e questo qualche difficoltà doveva inevitabilmente crearla. Un personaggio importante (la prima donna in Occidente ad aver ricoperto la carica di Primo Ministro), un ruolo di peso nella politica mondiale: fino a che punto spingersi, dove fermarsi? Così il risultato appare decisamente spaccato in due. Da un lato l'interpretazione di Meryl Streep, che non 'fa' la Thatcher ma 'diventa' lei, arrivando ad una sorta di identificazione che scava un abisso tra lei e il contesto in cui si muove in una sorta di straniata e diabolica sovrapposizione tra vero e falso. Dall'altro lato invece ci sono il copione che sceglie la soluzione del girotondo tra presente e passato (e vi aggiunge quale anello di congiunzione il marito defunto e parlante) e la regia di Phyllida Lloyd, che vorrebbe conservare il tono esuberante di "Mamma mia!" ma deve fare i conti con una materia impossibile da piegare a sfumature ironiche. Riservatasi varie soluzioni, la Lloyd non riesce tuttavia a trovare l'alchimia giusta. Ci sono passaggi malinconici, drammatici, dolorosi, c'è la Storia che incombe con brani di repertorio, ci sono la memoria, il dolce incombere della vecchiaia, qualche rimpianto. Lo spettro dei sentimenti è ampio, le immagini non riescono a seguirlo, spunta qualche passaggio convenzionale, solo un po' agiografico. Il ritmo va fuori centro, lasciando l'impressione che forse era troppo presto per affrontare un personaggio così sfaccettato. Naturalmente, Meryl Streep a parte. Dal punto di vista pastorale, il film è da valutare come consigliabile, problematico e adatto per dibattiti.
Utilizzazione: il film è da utilizzare i programmazione ordinaria e da proporre in seguito per avviare riflessioni sul rapporto cinema/storia/cronaca. Da utilizzare anche per studenti di scuola media superiore.
Molta Streep per nulla: informe e caciarone il biopic sulla Thatcher, ambiguo lo sguardo della Lloyd
Quando di un film si parla solo ed esclusivamente della performance di un attore/attrice, il sospetto che non ci sia nient'altro da dire è forte. Così, se due anni fa celebravamo il meraviglioso country-singer Jeff Bridges (premiato con l'Oscar) nel molle e vacuo Crazy Heart, oggi l'onore al merito va tributato a Meryl Streep, copia conforme di Margaret Thatcher nell'informe The Iron Lady. La Streep probabilmente farà incetta di premi (il Globe l'ha già vinto), il film invece finirà dove merita: nell'oblio.
Crudele scherzo del destino per un biopic che sull'ossessione della memoria gioca l'intera operazione. Phyllida Lloyd - che aveva già diretto la Streep in Mamma mia! - rievoca la dama di ferro dalla fine, quando vecchia, zoppicante, rallentata dall'ischemia cerebrale, trascorre ormai le sue giornate in compagnia di un marito già morto ma che lei continua a vedere (Jim Broadbent in formato Another Year) e di un passato duro a morire, ricucito alla buona e su misura di una indomita fierezza: è la Storia dentro la sua storia. E' lei a tessere il filo del passato, è lei a conferirgli senso, giudizio.
Da questa prospettiva monoculare e monocratica The Iron Lady non si sposta, spacciando per occhio introspettivo quello che è solo un ambiguo appiattimento di sguardo. Lasciare che sia la Thatcher a parlare della Thatcher è un'opzione controproducente dal punto di vista drammaturgico e pericolosa sotto il profilo etico. Il film ripercorre - affastellando ricostruzione scenica e materiale d'archivio - anni decisivi della vita della baronessa (da figlia di un droghiere a primo capo di governo donna della monarchia britannica, dall'energica cura economica agli scontri con i sindacati) e di quella del paese, senza mai un cambio di passo, discontinuità tonale, vero movimento. E' un film vorticoso, nervoso, di carrellate continue e raccordi disinvolti, tagli bruschi e ininterrotti rintroni sonori (voci, esplosioni, il punk e Bellini, la Casta Diva ovviamente), che però sta fermo, è tremendamente piatto, mosso solo in superficie. Vorrebbe rivivere l'esaltazione e l'allucinazione di un'avventura tutta personale, ma finisce schiacciato sotto questa fascinazione/allucinazione. L'impasse del progetto è evidente: la Lloyd è attratta e respinta da questa figura di donna forte, indomita, controversa; ammaliata e spaventata da un'eroina sgradevole, femminista sì ma dalla parte sbagliata.
D'altro canto, il vero quid dell'operazione è la liceità del taglio, la reductio ad unum e al privatum di un pezzo di Storia. Come e più di J.Edgar anche The Iron Lady sembra soppesare in maniera discutibile pubbliche questioni e affari privati, lasciando a questi ultimi l'ultima parola e, in definitiva, il compito di emendare le prime. Certo Eastwood ha una capacità di "sentire" e di farci sentire i suoi personaggi che la Lloyd può solamente sognare, ma le operazioni sono ambedue sintonizzate sulla nuova moda hollywoodiana: sfruttare il richiamo dei grandi personaggi pubblici senza affrontarne i nodi più spinosi della loro vicenda storico/politica.
Il brand della storia diventa il grimaldello promozionale per operazioni risolte interamente nell'intimo e nel quotidiano. Un tentativo di cogliere la persona dietro il personaggio non sempre giustificato e quasi sempre giustificatorio. (Gianluca Arnone)
"Bette Davis e Katharine Hepburn non avranno pace pensando che Meryl Streep, con una bravura ormai inqualificabile, ha soffiato loro un ruolo meraviglioso, quello di Margaret Thatcher prima donna pubblica amata ma più che altro odiata dal 1979 al '90, quota rosa con filo di perle e rovi di cotonatura, ministro e poi capo di un governo british di maschi, pure ironici perché la signora aveva umili origini di bottegaia, sapeva far la spesa ma senza esser casalinga. (...) Il film, proprio come avesse anch'esso un po' di demenza senile, va avanti indietro nel tempo, prediligendo la senilità, nello sguardo perso della Streep che inizia facendosi mandare a prendere il latte ma poi torna agli splendori di un premier che non ha mai smesso di essere anche madre e moglie. (...) Il piacevole film di Phyllida Lloyd, che lascia l'isola greca di 'Mamma mia!', sceneggiato da Abi Morgan ('Shame') consapevole o no finisce per essere un'agiografia della signora oggi 86enne ritirata ma sempre col suo tè come la signora Miniver. La regista non ha visioni alternative se non la biografia alla Madame Curie corredata di mini gloria quotidiana e cene coi grandi del mondo. Ma 'The Iron Lady' è solo lei, Meryl dei miracoli, tutto il resto passa e va in modo convenzionale. Parallelo alla 'Queen' di Frears con Helen Mirren, ecco un'altra donna cosmico storica, potentissima, che la Streep rende nonna truccata, affabile, precisa nella svagatezza del gesto e nel solco delle rughe, nei movimenti incerti, nella mano ossuta e nella penombra della demenza che rimuove i peccati. Come si fa a non darle l'Oscar?" (Maurizio Porro, 'Il Corriere della Sera', 27 gennaio 2012)
"Margaret Thatcher, la sola donna nel nostro Occidente diventata Primo Ministro. E in un Paese come la Gran Bretagna scopertamente maschilista, classista anche oggi (è figlia di un droghiere) e quasi morbosamente legato alle tradizioni, chiuso perciò al nuovo e a tutto quello che sembra infrangerlo. Ci ha raccontato la sua vita straordinaria, fino ai giorni nostri che l'hanno vista quasi ritirarsi in se stessa, una nota sceneggiatrice inglese, Abi Morgan ('Shame', con Steve McQueen) in collaborazione con una regista, Phyllida Lloyd, salutata al suo esordio con 'Mamma Mia!', protagonista Meryl Streep, da molti premi e festosissimi consensi. (...) Si segue, ci si può anche commuovere. Quel carattere al centro è scolpito con forza, e così le altre figure che lo attorniano, a cominciare da quella dell'amatissimo consorte sempre 'vivo' e presente. I climi sono asciutti, mai retorici, le immagini sono nitide e semplici, all'insegna di uno stile piano. Il grande merito del film, però, è nella recitazione stupenda di Meryl Streep, per la seconda volta con il supporto della regista Phyllida Lloyd. Autentica, sincera, somigliante specie, grazie anche al trucco, con il passare degli anni e l'avanzare della malattia. Mi spiace solo di averla sentita doppiata. Sono certo che lei, americana, con il Queen's accent avrà fatto prodigi." (Gian Luigi Rondi, 'Il Tempo Roma', 27 gennaio 2012)
"Ma è davvero lei? È proprio Meryl Streep? La domanda affiora fin dalla prima sequenza di 'The Iron Lady', il biopic di Phyllida Lloyd su Margaret Thatcher. (...) Si fa davvero fatica a riconoscere l'attrice dietro la verosimiglianza del personaggio. Il mimetismo di Meryl Streep è impressionante: un lavoro di immedesimazione non solo fisica e fisiognomica ma anche vocale, gestuale, psicologica e caratteriale che le è valso la 17esima nomination all'Oscar della sua carriera. Ma 'The Iron Lady' non è un 'biopic' tradizionale. Non ricostruisce la biografia della "lady di ferro" in ordine cronologico. La sceneggiatura di Abi Morgan, anzi, è tutta incentrata sul presente. (...) Il film procede così: il grigiore dignitoso del presente è attraversato da schegge e frammenti di passato che rievocano la vita e la carriera della 'lady di ferro', l'ambiziosa figlia di un droghiere divenuta leader del partito dei Tories e poi primo ministro di sua Maestà britannica. Tutto - presente e passato - è filtrato dal punto di vista della protagonista. Tutto è assolutamente soggettivizzato. Tutto è inquadrato dall'angolazione prospettica di Margaret Thatcher. Il che ha un duplice effetto: da un lato favorisce l'identificazione dello spettatore con il personaggio, dall'altro lato azzera qualsiasi prospettiva critica su di esso. E qui sta il punto. O il paradosso: un film come 'The Iron Lady' non può che farti simpatizzare con il personaggio interpretato da Meryl Streep, quali che siano le tue opinioni e forse anche le tue convinzioni su Margaret Thatcher e sulla sua politica. Da un lato, di fronte a questa donna anziana, che vede svanire attorno a sé gli affetti di una vita, e sente l'approssimarsi del declino e della morte, non puoi non provare una sorta di affratellamento 'creaturale'. Poi però, quando in un flashback la rivedi seduta nella sua poltrona mentre strapazza - lei, unica donna - i valorosi generali britannici in piedi, chiedendo loro un intervento rapidamente risolutivo del conflitto alle Isole Falkland, non puoi che sentire un empito di simpatia. (...) Il punto di vista adottato esclude finanche la possibilità di un intervento critico. Come dire: pur azzerando ogni epos del potere, 'The Iron Lady' finisce per essere a suo modo un'agiografia. Una santificazione. Un monumento." (Gianni Canova, 'Il Fatto Quotidiano', 27 gennaio 2012)
"'The Iron Lady': così la definirono i sovietici, intuendo da subito che quella dama inglese avrebbe dato loro filo da torcere. (...) Meryl Streep, candidata per la diciassettesima volta all'Oscar è fantastica; e con il suo modo di parlare, di muoversi, con il suo sfumatissimo ventaglio di emozioni, tiene desto l'interesse sulla vecchia signora che incarna sopperendo alle lacune del copione e della regia." (Alessandra Levantesi Kezich, 'La Stampa', 27 gennaio 2012)
"Piacerà. A noi sì, ma fino a un certo punto. Nella sua struttura a flash back, nel suo procedere narrativo dignitoso ma prevedibile, 'The Iron lady' non vale più di tante biografie televisive che l'Inghilterra dedica ai suoi personaggi famosi. Certo ha la marcia in più di una protagonista, Meryl Streep. Bella (mai stata così bella, nemmeno da giovane, e certo come non è mai stata la Thatcher), quasi priva delle solite caccole, e soprattutto convinta, convintissima di recitare un grande personaggio. E il bello è che negli anni '80 Meryl non era affatto per sua ammissione un'ammiratrice della Iron Lady (ma chi l'ammirava nel mondo dello spettacolo?). Ma il bellissimo è che il copione potrebbe essere pari pari quello di uno 'script' del 1990, quando il cinema scriveva di Maggie solo per dirne male. Cos'è successo, perché, proposto oggi, funziona a rovescio, ai limiti dell'agiografia? Il fatto è che la storia ha riabilitato la Thatcher. Ha riconosciuto che fu la politica della 'strega di Grantham' a propiziare la rinascita dell'economia inglese e le vacche grasse dell'era del laburista Tony Blair. E comincia a riconoscere che sugli inconvenienti dell'unificazione europea molte delle sue perplessità erano arcifondate." (Giorgio Carbone, 'Libero', 27 gennaio 2012)
"Tra le cine-occasioni perse più eclatanti degli ultimi anni 'The Iron Lady' non fatica a mettersi in evidenza. Perché non così ritratta avremmo - o meglio, i suoi 'sudditi' avrebbero - voluto rivedere Lady Thatcher, a detta di vox populi British in lungo e in largo. E a poco contano le preventive 'apolitiche' intenzionalità della film-maker Phyllida Lloyd: come si fa a depoliticizzare la Thatcher e per di più utilizzandone l'incipiente demenza senile causa del portrait di una fragile anziana, quasi simpatica? Che nei suoi deliri quotidiani, alterna allucinazioni sul marito defunto a flashback del passato, attraverso i quali il pubblico dovrebbe assistere alla vita e carriera della leggendaria Signora di Ferro. Pur legittimando la struttura di un tema assai complesso, i contenuti esposti in Prima Persona non osano indagare (né intuire) le contraddizioni sia di una figura tanto emblematica, sia di un Paese che stava inesorabilmente cambiando. Ci stavamo dimenticando quanto è sublime Meryl Streep? Giammai: la perfezione minimalista di 'Lady Oscar' tende a rimuovere il resto. Che è purtroppo un triste 'Mamma mia!'." (Anna Maria Pasetti, 'Il Fatto Quotidiano', 26 gennaio 2012)
Film da Oscar - Cinereferendum 2012 - I film della stagione 2011 / 2012