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Michael Clayton (George Clooney) è un “faccendiere” che lavora presso uno dei più importanti studi legali di New York. Prendendo ordini dal co-fondatore dello studio, Marty Bach (Sydney Pollack), Clayton, ex pubblico ministero nato in una famiglia di poliziotti, sbriga gli affari più sporchi dello studio Kenner, Bach & Ledeen cercando di rimediare ai guai commessi dai suoi facoltosi clienti, occupandosi di casi di omissione di soccorso, diffamazioni a mezzo stampa, mogli dedite a piccoli furti e politici disonesti. Pur essendo stufo del suo lavoro, Clayton è legato a doppio filo a Kenner, Bach & Ledeen perché il divorzio, la passione per il gioco d’azzardo e un’avventura imprenditoriale finita male gli hanno fatto accumulare una montagna di debiti. Al contempo, Karen Crowder (Tilda Swinton) capo dell’ufficio legale della U/North, società che opera nel settore dei prodotti chimici per l’agricoltura, si sta giocando la carriera sull’esito di una “class action” nella quale la sua società viene difesa dallo studio di Clayton. Ormai sembra che l’esito del processo sia scontato – con una vittoria della U/North, - ma all’improvviso l’avvocato civilista di punta della Kenner, Bach & Ledeen, il brillante Arthur Edens (Tom Wilkinson), ha un crollo psicologico che lo porta a sabotare l’intera causa minacciando di ribaltarne l’esito. A quel punto, toccherà a Michael Clayton tentare di risolvere un disastro senza precedenti e nel farlo sarà costretto a fare i conti con ciò che è diventato.
Regia | Tony Gilroy |
Sceneggiatura | Tony Gilroy |
George Clooney | Tom Wilkinson |
Tilda Swinton | Sydney Pollack |
Michael O'Keefe | Ken Howard |
Denis O'Hare | Robert Prescott |
Austin Williams | Sean Cullen |
Merritt Wever | David Lansbury |
Bill Raymond | David Zayas |
Valutazione Pastorale (dal sito dell'Associazione Cattolica Esercenti Cinema ACEC)
Giudizio: Accettabile, realistico
Tematiche: Lavoro, Politica-Società
Tony Gilroy, il regista, è un esordiente, ma non è alle prime armi. Ha scritto infatti i copioni dei due "The Bourne Identity" e "The Bourne Supremacy" e, soprattutto, quello de "L'avvocato del diavolo". Conosce bene dunque gli studi legali come luoghi di potere e di scontri duramente conflittuali. Partendo da queste premesse e muovendosi nella cornice di situazioni comunque molto delicate, combattute tra pubblico e privato (Clayton cerca di essere un buon padre per il figlio adolescente), il racconto ha sviluppi certamente molto 'americani', quanto ad atmosfere, dialoghi, soluzioni. Clooney aderisce bene al protagonista, introverso, scontroso, vestito con camicia bianca e cravatta nera. Spira un'aria fortemente liberal dai nervosi sviluppi della trama e dal suo esito tra realtà e speranza. Siamo dalle parti di quel cinema americano di denuncia (tipo "Erin Brockovic") realizzato senza sbavature ma per il quale ci si chiede che esito avrebbe se non ci fosse il divo a supportarlo. Dal punto di vista pastorale, il film è da valutare come accettabile, e nell'insieme realistico.
Utilizzazione: il film può essere utilizzato in programmazione ordinaria, e recuperato nell'ambito, come accennato sopra, dei titoli americani di denuncia di storture varie del 'sistema' statunitense.
Dalle note di regia: "Ho aspettato molto tempo per realizzare questo film. Forse questa storia è stata influenzata da quel percorso di attesa più di quanto non pensassi all'inizio. Questo era il progetto personale che continuavo a lasciare in disparte per tutte le pseudo-emergenze che mettono il tuo tempo e la tua fantasia in mani altrui. Poi finalmente ho capito che stavo rimandando una cosa che per me era molto importante per risolvere le incombenze di chiunque altro. Michael Clayton è giunto a un punto della vita in cui le poche decisioni che prenderà in futuro determineranno tutto quanto lo riguarda. Come compiamo queste scelte - in che modo la paura, l'inerzia e l'autoconservazione ci rendono vittime dell'ingranaggio: è questo il carburante di questa storia. Il motore è, come sempre: 'E poi, che succede?'"
"Anche la sceneggiatura e la regia, entrambe di Tony Gilroy, sembrano di quelle di una volta. La prima racconta la vicenda a ritroso, con un lungo flashback che mostra gli antefatti e si salda con la parte già vista verso l'epilogo. La seconda è efficiente, un po' piatta, tutta al servizio dell'eroe." (Roberto Nepoti, 'la Repubblica', 1 settembre 2007)
"George Clooney è simpatico e affascinante. Sarà perché al successo ci è arrivato talmente tardi che era già brizzolato, oppure perché non lo invitavano alle feste, almeno nelle pubblicità. E poi appena ha potuto, in un momento difficile della storia Usa, ci è andato giù pesante, rischiando la carriera: 'Goodbye and good luck', sul maccartismo, e 'Syriana', sulle nefandezze delle multinazionali del petrolio. (...) Solita storia, da Francis Ford Coppola ('L'uomo della pioggia', 'Tucker') a Soderbergh ('Erin Brockovich'), l'eroe indolente, cinico e veniale, viene illuminato dal senso di giustizia in un crescendo catartico in barba al Sistema. Una scorciatoia che però non ci impedisce di apprezzare Clooney, mai così noir e sgualcito e Tilda Swinton, legale della multinazionale e ingranaggio fragile e feroce di una macchina da guerra. Dispiace per il finale consolatorio: cifra di un'America che non riesce a guardarsi davvero allo specchio. E non ci si nasconda dietro gli schemi del genere: Grisham e Pollack (qui perfetto nella parte del decano Marty), con il legal-thriller 'Il socio', seppero andare contro tutti. E parliamo di due esponenti del mainstream, non certo di anarchici. Perché, come dice lo stesso Clooney 'l'ansia di verità, sempre presente nel cinema americano, dal 2001 è molto più forte'. Se lo dice lui." (Roberta Ronconi, 'Liberazione', 1 settembre 2007)
"Un film americano, cui è facile prevedere, nelle nostre sale, un successo senza riserve. Lo ha diretto, esordendo come regista, Tony Gilroy, cui si devono però delle sceneggiature di sicura qualità, come le due sul killer Bourne, 'The Bourne Identity' e 'The Bourne Supremacy', interprete Matt Damon, e 'L'ultima eclissi', da Stephan King. (...) Molta, moltissima azione. Con ritmi spesso affannati, ma anche un disegno attento (e quasi minuzioso) dei personaggi, indagando non solo nei loro caratteri ma nelle situazioni (anche private, familiari) che hanno attorno, riuscendo a proporci delle fisionomie a tutto tondo analizzate, specie quella del protagonista, in modo da mettere bene in evidenza, spiegandoli, i mutamenti anche morali che via via si profilano al suo interno: arrivando quasi a una lucida radiografia di una crisi di coscienza. Il film, però, è anche costruito in modo che l'azione pretenda sempre il primo piano, con tensioni, strappi e, verso la fine, una serie di interrogativi sulle decisioni che assumerà il protagonista in cui si è coinvolti quasi con affanno, tra accorgimenti, sorprese, colpi di scena che, i loro modi, sembrano persino derivare dal thriller. Al centro, George Clooney non fa il divo: privilegia toni dimessi, quasi grigi, all'insegna non di rado di una certa malinconia. La temibile avversaria, di fronte a lui, è Tilda Swinton che sfoggia con successo una insolita grinta di ghiaccio; quasi malefica." (Gian Luigi Rondi, 'Il Tempo', 1 settembre 2007)
"'Michael Clayton' di Tony Gilroy con George Clooney, sulla corruzione e l'illusorietà della Giustizia in America, è un film consueto, medio: ma davvero ben fatto, ben ritmato e ben recitato, con un tema importante." (Lietta Tornabuoni, 'La Stampa', 1 settembre 2007)
"'Michael Clayton' è un libello assai bene articolato dalla regia nervosa, mobilissima del giovane Ibny Gilroy, finanziato da importanti cineasti e interpretato da quell'esemplare icona che è George Clooney e da caratteristi della qualità del regista Sydney Pollack, sulle tecniche impiegate per prolungare una causa dalle 'lobby' degli avvocati. Preoccupati non di servire la verità ma gli interessi dei loro clienti, costoro si attaccano a cavilli, a rinvii per non giungere a un risarcimento dei danni. (...) Clooney vigila. Capisce in anticipo le cose, ha un sesto senso per gli attentati, scova i testimoni costretti alla fuga, ecc. ecc. e, a conclusione di un racconto nervoso, molto efficace, ottiene piena vittoria. Ci sono, dunque, ancora degli eroi che conservano e valorizzano a costo di sacrifici e rinunce le loro qualità. E giusto che trovino una collocazione nelle sale cinematografiche." (Francesco Bolzoni, 'Avvenire', 1 settembre 2007)
"Grazie alla sapienza di Tony Gilroy, collaudato sceneggiatore al suo esordio nella regia, Clooney si è fatto scrivere addosso un personaggio che gli dona da morire: un ex onesto con il vizio del gioco, un figlio di puttana con mille rimorsi che alla fine trova la forza di fare l'eroe. La sceneggiatura è complessa ma non complicata (si parte dalla fine, poi il film è un lungo flash-back), tutti gli attori sono bravi (da citare Tom Wikinson, l'avvocato impazzito, e Sydney Pollack, l'avvocato squalo). Il classico film che si può consigliare agli amici senza alcun timore di perderli." (Alberto Crespi, 'L'Unità', 1 settembre 2007)
"Io non faccio miracoli. Faccio le pulizie": è lo stesso protagonista, Michael Clayton a definire il suo lavoro. A lui viene chiesto di "aggiustare" la verità, coprendo le malefatte dei clienti più facoltosi dell'importante studio legale per il quale lavora da 15 anni come "avvocato" dopo un passato da procuratore distrettuale. Clayton, pur operando in seconda linea, è una pedina indispensabile. È discreto ed efficiente come "spazzino", perché riesce a non porsi domande sul limite morale e sulle conseguenze delle sue azioni sulle persone. Un giorno, però, la sua auto salta in aria, lui si salva per caso. Scopre di trovarsi invischiato in una vicenda che lo porterà per la prima volta a confrontarsi con la sua coscienza, mettendo in discussione la sua stessa vita, quella professionale, frustrante nonostante tutto, e quella privata, piena di problemi. (...) Dando corpo ai dubbi dell'avvocato senza scrupoli, il film è una implicita denuncia dei crimini, anche efferati, che alcuni individui sono disposti a compiere in nome del profitto. Clayton incarna l'uomo costretto per la prima volta a dover dar conto a se stesso delle proprie azioni. La scelta alla fine sarà tra il continuare ad accettare le regole del gioco o ignorarle con una scelta radicale che in parte potrebbe riabilitarlo dinanzi alla sua coscienza. Quale via sceglierà?" (Gaetano Vallini, 'L'Osservatore Romano', 13 ottobre 2007)
Quello che... non abbiamo fatto - I film della stagione 2007/2008