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Stephen Myers, giovane e brillante responsabile della comunicazione, viene assunto da un carismatico e poco ortodosso candidato presidenziale, Mike Morris. Nel corso della campagna elettorale Stephen Myers toccherà con mano le falsità e i trucchi sporchi della politica.
Il film è basato sulla pièce teatrale Farragut North di Beau Willimon e sarà il film d'apertura del 68° Festival di Venezia.
Regia: George Clooney
Interpreti: Ryan Gosling, George Clooney, Marisa Tomei, Evan Rachel Wood, Philip Seymour Hoffman, Paul Giamatti, Max Minghella, Jeffrey Wright
Sceneggiatura: George Clooney, Grant Heslov
Fotografia: Phedon Papamichael
Valutazione Pastorale (dal sito della CNVF della Conferenza Episcopale Italiana)
Giudizio: consigliabile, problematico, dibattiti
Tematiche: Aborto; Mass-media; Politica-Società; Potere
Il lavoro teatrale dal quale parte il copione é "Farragut North", ma il titolo originale è lo stesso, "The Ides of March": quello della congiura guidata da Bruto e conclusasi con l'uccisione di Giulio Cesare è un episodio rimasto paradignatico del momento in cui la lotta per il potere scavalca ogni limite e lascia spazio solo ad un cieco furore. A livello di trama, va detto che nella seconda parte il racconto vira decisamente verso il thriller politico. I personaggi principali devono tutti fare i conti con situazioni che richiedono freddezza e cinismo, di operare scelte che invadono sfere morali e etiche: i rapporti sentimentali come pretesto per cambiare il destino delle cose (c'è anche un aborto, doloroso e triste). La radiografia del sistema politico americano è tanto spietata quanto profonda, e anche in grado di trasmettere la convinzione che sincerità e verità devono comunque prevalere per il bene comune. Uomo di cinema 'totale', Clooney scrive, dirige, produce, interpreta. Forse più utile di molti, vuoti talk show televisivi, il film, dal punto di vista pastorale, è da valutare come consigliabile, problematico e adatto per dibattiti.
Utilizzazione: il film è da utilizzare in programmazione ordinaria e in seguito da proporre per avviare riflessioni sui temi decisamente attuali che propone. Qualche attenzione per minori e piccoli è da tenere in vista di passaggi televisivo di uso di dvd e di altri supporti tecnici.
Clooney apre il Concorso con una parabola sulla politica, che si eleva a tragedia shakespeariana. Strepitoso Gosling
Passateci la battuta: Clooney ha fatto nero Obama. Prima sensazione a caldo suscitata - in concorso - da Le idi di Marzo. Svelando gli intrighi, le bassezze e gli strafalcioni morali dei democratici, George ha di fatto firmato una lettera di licenziamento per l'attale coinquilino della Casa Bianca. E' solo una sensazione a caldo, intendiamoci. Perché il punto è un altro: nel mettere la sua macchina da presa al servizio della verità - meglio: contro ogni macchinazione e bugia - Clooney ha realizzato un film prepotentemente democratico, indipendente anche a costo della solitudine, onesto fino all'intransigenza, partigiano dalla parte dei principi.
Da Pakula a Lumet, da Redford a Clooney, il cinema americano vanta una tradizione che ha sempre cercato nella politica l'Idea e scoperto nei politici una pessima imitazione. Un cinema che non é repubblicano né democratico, intellettualmente libero e partito di se stesso: ecco una lezione che dagli yankee noi italiani - berlusconiani o antiberlusconiani, neri o rossi - non abbiamo mai imparato.
Tratto dalla piece teatrale di Beau Willimon (Farragut North), il quarto lavoro di Clooney - qui nel ruolo antipatico del governatore in corsa per le primarie del partito - illumina il dietro le quinte dei democratici, i machiavellismi e le bassezze che segneranno l'elezione del loro candidato alle presidenziali. Una guerra senza esclusioni di colpi dove i contendenti son comparse, mentre la regia - similitudine autorizzata dallo stesso Clooney nel momento in cui descrive il retrobottega della politica come quello di uno studios televisivo - è delegata ai portavoce e ai consiglieri, i veri uomini nell'ombra della democrazia americana. Il più astuto di loro è una oscura silhoutte che si staglia sulla gigantografia della bandiera stelle e strisce. Figura paradigmatica che vale l'intero film e che rende conto della capacità di Clooney di interrompere il flusso narrativo con il ricorso ad immagini ad alta densità simbolica. Il più astuto di loro si chiama Steven, è un giovane portavoce del governatore e la sua metamorfosi - da ingenuo idealista a cinico manovratore - disegna la parabola stessa de Le idi di marzo. Un titolo che è omaggio dichiarato all'opera shakesperiana, perché questa è tragedia anche quando è ridicola, una moderna teoria di uomini che parlano di virtù e masticano il fango, maestri di arrivismo e adusi alla viltà. La vicenda di Steven è un esempio di apprendistato politico perfettamente riuscito, quando la democrazia funziona al contrario. Sulla sua strada cadono sì uomini e donne, regole e lealtà, ma alla meta coglie il successo: pensieri e parole, destino e poltrona del futuro presidente saranno suoi. Maschera di questo sogno americano al rovescio è Ryan Gosling, corpo immobile e pulsante, un volto opaco, mostruosamente privo di tracce. Gosling è semplicemente strepitoso.
Lui è il pianeta nero del film, attorno a cui i satelliti - complice una scrittura perfetta - girano che è una meraviglia: da Philip Seymour Hoffman a Evan Rachel Wood (intensa da far male), da Paul Giamatti (diabolico) a Marisa Tomei. E naturalmente Big George, la cui paresi facciale tocca per una volta vertici di feroce malignità. Ma è il regista Clooney ad impressionare di più: asciutto, crepuscolare, senza tentennamenti. Da oggi non aspira più alla classicità, perchè con Le idi di marzo l'ha già raggiunta. Nascondersi in futuro sarà più difficile, specie se i giurati lo scoveranno. Auguri. (Gianluca Arnone)
"Le seduzioni e i compromessi della politica tra lealtà e vendette, ambizione e tradimenti, verità e menzogne. George Clooney inaugura ufficialmente la 68esima Mostra di Venezia con 'Le idi di marzo', un film 'morale' tratto dall'opera teatrale 'Farragut North' che denuncia non i grandi scandali destinati a occupare le pagine dei giornali, ma le piccole porcherie quotidiane di chi inevitabilmente rinuncia al proprio idealismo per abbracciare il cinismo necessario a sopravvivere ai giochi di potere dietro le quinte. Niente di nuovo, intendiamoci, ma l'amarezza del film sta proprio in questo e Clooney che si conferma un regista con idee e talento, onestà e rigore, costruisce un film classico, solido e appassionato anche grazie a uno straordinario cast che vede tra i protagonisti lo stesso George (in un ruolo più contenuto), l'astro nascente Ryan Gosling, due mostri sacri del calibro di Philip Seymour Hoffman e Paul Giamatti, Evan Rachel Wood e Marisa Tomei. (...) Tra i grandi temi del film c'è quello della seduzione: tutti i personaggi la usano come arma per ottenere ciò che vogliono, recitando un copione preciso. Inevitabile dunque una riflessione sull'analogia tra attori e politici." (Alessandra De Luca, 'Avvenire', 1 settembre 2011)
"George Clooney rimette in carreggiata il Festival con un film decisamente buono, di solida struttura narrativa (non a caso all'origine c'è una pièce di Beau Willimon) e con un cast di attori che si vorrebbe non finissero mai di recitare. 'Le idi di marzo' del titolo non sono quelle in cui Cesare fu ucciso, ma poco ci manca. Anche qui si sprecano le pugnalate, e molti personaggi potrebbero dire: «tu quoque...». Nel film, come nella storia romana e nella tragedia shakespeariana, il tema che tiene unito tutto è quello del potere. (...) Dopo l'entusiasmo della prima parte, il film diventa una specie di percorso di iniziazione al contrario, dove il cinismo e la sopraffazione portano in luce le vere facce delle persone. (...) Anche noi poveri spettatori avremmo voglia di credere nei sogni, specialmente in quelli della politica, e quando qualcuno ci fa aprire gli occhi allora siamo pronti a trasformarci in tanti Marco Giunio Bruto. Nos quoque..." (Paolo Mereghetti, 'Il Corriere della Sera', 1 settembre 2011)
"Troppo bravo lui, troppo bello il film di cui è regista, sceneggiatore, interprete e che ieri sera - con lunghi applausi in sala grande - ha aperto la corsa al Leone d'oro. Si intitola 'Le Idi di marzo', in Italia uscirà a gennaio e parla dello scandalo in cui è coinvolta la giovane stagista di un candidato alle elezioni presidenziali. Più americana di così si muore, eppure la pellicola parla a tutte le democrazie del mondo, quella italiana compresa, perché parla di politica, del suo fascino irresistibile e del suo lato oscuro, mefistofelico. Parla, soprattutto, della 'macchina del fango', quell'arma impropria con cui viene distrutto un avversario usando una campagna di stampa ben orchestrata (e poco importa se è vera). George Clooney si nasconde dietro a un dito, quando afferma che non è un film politico. Lo è, invece, e fino in fondo. (...) È un'analisi nitida e implacabile, dolorosamente coerente nei bisturi che squartano le piaghe del potere e nei fili che ne suturano le ferite. C'è dentro tutto: Shakespeare, Faust, Macbeth e Otello con Cesare, Bruto e Cassio. Davvero esiste un prezzo per vendere l'anima al diavolo? Chiedere, per informazioni, a chi frequenta le stanze dei bottoni. (...) Nella pellicola c'è tutto il teatrino della politica cui siamo abituati: sondaggi da decriptare, nemici da affossare, tradimenti, alleanze imbarazzanti. E soprattutto il sesso, più o meno torbido, più pericoloso di un serpente a sonagli. Assediato dai giornalisti (sala stampa piena al di là di ogni ragionevole misura di sicurezza) Clooney è bravo a destreggiarsi tra le insidie della cronaca." (Marco Dell'Oro, 'L'Eco di Bergamo', 1 settembre 2011)