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Charlie Wilson (Hanks) è un abile e carismatico imprenditore del Texas che entrando in politica, viene eletto al Congresso come esponente del partito dei Liberali. Mettendosi in affari con un agente influente della CIA, Wilson arriva con il suo aiuto a manipolare sia il Congresso che la stessa CIA. In questo modo riesce a far promuovere una serie di operazioni segrete per combattere i sovietici in Afghanistan, assistendo ed addestrando i ribelli nella guerriglia. Wilson guadagna così una fortuna, procurando al tempo stesso numerosi vantaggi anche per gli USA. Purtroppo molti dei Talebani che contribuisce ad armare ed addestrare saranno poi destinati a diventare terroristi al seguito di Osama Bin Laden.
Regia | Mike Nichols |
Sceneggiatura | Aaron Sorkin |
Sito Italiano | Sito Ufficiale (in inglese) |
Tom Hanks | Amy Adams |
Julia Roberts | Rachel Nichols |
Philip Seymour Hoffman | Shiri Appleby |
Ned Beatty | Emily Blunt |
John Slattery | Erick Avari |
Shaun Toub | Om Puri |
Valutazione Pastorale (dal sito dell'Associazione Cattolica Esercenti Cinema ACEC)
Giudizio: accettabile, problematico, dibattiti
Tematiche: Politica-Società; Potere; Storia
Il personaggio è esistito veramente, e questo recupero in forma di fiction é una preziosa occasione per capire come funzionano i meccanismi che determinano i cambiamenti nella politica mondiale. A ricostruire questa vicenda provvede il veterano Mike Nichols, per niente arrugginito, anzi più che mai caustico, ironico, amaramente riflessivo. Il regista riesce ad innestare un tema così scottante sui binari della commedia sofisticata, supportato da interpreti in condizione ideale. Così la denuncia diventa efficace proprio perché non prevenuta, non condizionata a priori. E offre molti elementi di discussione. Dal punto di vista pastorale, il film é da valutare come accettabile, problematico e adatto per dibattiti.
Utilizzazione: il film é da utilizzare in programmazione ordinaria e da proporre in altre occasioni come avvio alla discussione sui temi molto interessanti relativi alla politica americana.
Hanks, Hoffman e la Roberts nel ritorno di Mike Nichols. In Afghanistan, per farsi beffe della macchina politica Usa
Era davvero bella Kabul negli anni '70, il paese verde e rigoglioso, terra ambita nei secoli per posizione strategica (la famosa via all'India, Peter Hopkirk ne parla diffusamente nell'interessante Il grande gioco, facendo risalire al 1800 la rivalità anglo-russa per il controllo della zona). La festa nazionale era "la caccia agli aquiloni", quel giorno centinaia di adulti e bambini volgevano lo sguardo verso il cielo, diventato di mille colori. Poi sono arrivati i sovietici, quindi i talebani, che hanno bandito il rito come tante altre cose, e infine gli americani.
La lunga zona d'ombra, che inizia subito dopo l'invasione sovietica, è il pezzo forte del ritorno alla regia di Mike Nichols: La guerra di Charlie Wilson con Tom Hanks e Julia Roberts. Siamo negli anni '80 e il texano Charlie Wilson, membro del congresso, si fa portavoce e sostenitore dell'intervento Usa in aiuto dei ribelli afghani. Uomo spregiudicato, senza ideali né pretese, incomincia a interessarsi al caso mentre sniffa e beve wisky in una jacuzzi di Las Vegas. Non è una missione la sua, deputato che nel suo staff ha solo belle ragazze (il suo motto è: puoi imparare a battere a macchina ma non a farti crescere le tette), lo diventa però grazie all'intervento di una ricca e fanatica texana (la Roberts), e un agente segreto greco-americano (grande Philip Seymuor Hoffman). Attraverso la CIA, Wilson raddoppia il budget iniziale, che passa da 5 milioni a 10 milioni di dollari, per arrivare, con l'aiuto di Israele, Egitto, Pakistan e Arabia Saudita, alla cifra epocale di 1 miliardo (metà americana, metà saudita) per addestrare ed equipaggiare i mujahidin. Missili e armi all'avanguardia costringono alla resa e al ritiro i sovietici, intanto però l'Afghanistan è distrutto e il movimento talebano cresce esponenzialmente. Al Congresso però non interessa più spendere neanche un milione di dollari per ricostruire le scuole. Lo sguardo è impietoso, i dialoghi corrosivi e la macchina governativa americana una macchietta. Quando l'assistente di Wilson chiede se Kabul sia in Uzbekistan, viene in mente Barack Obama che in uno dei suoi discorsi ha citato il presidente del Canada. (Marina Sanna)
"Nel film i protagonisti Wilson, Herring e Avrakotos sono incarnati, mantenendo i nomi e i cognomi veri, da Hanks, Julia Roberts e Philip Seymour Hoffman. Questi tre ce la mettono tutta per sbrogliarsi attraverso dialoghi verbosissimi e lanciati a doppia velocità. Purtroppo i rapporti interpersonali non emergono abbastanza e se la Roberts si ritrova fra le mani una mezza tinca anche all'eclettico Hoffman il copione non fornisce le occasioni che ha Hanks, puttaniere redento." (Tullio Kezich, 'Corriere della Sera', 8 febbraio 2008)
"Si capisce che l'insolito triangolo abbia attirato un cineasta della commedia sofisticata come Mike Nichols, il quale però non sempre è riuscito a equilibrare i toni di commedia con la gravità del tema. Resta nel finale l'amara ironia su un'America che, vinta la partita al costo di un miliardo di dollari, rifiuta un misero milione per aprire scuole alternative e contrastare la propaganda talebana." (Alessandra Levantesi, 'La Stampa', 8 febbraio 2008)
"Quasi ottantenne Nichols ritrova il brio di 'Comma 22' girando un film di quelli che erano normali negli anni Settanta, quando non era strano che un soggetto verosimile, sostenuto da una sceneggiatura smagliante, trovasse i soldi per diventare un film per cittadini, non per consumatori. (...) Nichols non chiude il film con la churchilliana constatazione 'd'aver ucciso il porco sbagliato' perché era evidente ancor prima dell'11 settembre 2001." (Maurizio Cabona, 'Il Giornale', 8 febbraio 2008)
"Ciò che rende ''La guerra di Charlie Wilson' un film da non perdere, a parte la recitazione, il fuoco di fila di battute spassose e gli ottimi dialoghi, è la franchezza nel raccontare le responsabilità del governo statunitense nell'armare e addestrare popolazioni a destra e a manca, senza poi curarsi di ciò che, una volta terminata l'emergenza filoamericana, succederà a quel paese e a quelle milizie armate. Addirittura Nichols fa fare ai suoi personaggi un salto filosofico, proponendo a Charlie la parabola zen secondo cui anche le migliori intenzioni possono avere esiti imprevedibili:" (Paola Casella, 'Europa', 8 febbraio 2008)
"Tom Hanks come Nanni Moretti. Ha deciso di mostrare il sedere. A posteriori, il posteriore di Hanks è l'elemento più provocatorio de 'La guerra di Charlie Wilson' di Mike Nichols. (...) Doveva essere una satira al vetriolo e invece domina la carezza. Charlie Wilson è un boy scout che sbevazza (ecco perché il timorato Hanks accetta il ruolo), le scene di guerra sono più ingombranti dei retroscena politici e ogni personaggio, anche il più laido, è reso bellissimo dalla cinepresa del vecchio maestro Nichols, più accondiscendente oggi che ai tempi di 'Comma 22'. Una guerra con il whiskey al posto del sangue." (Francesco Alò, 'Il Messaggero', 8 febbraio 2008)
"Personaggi un po' troppo macchietta, anche se il dubbio che davvero fossero così un po' rimane, e allora emerge in tutta la sua prepotenza l'interpretazione marginale di Philip Seymour Hoffman come agente Cia. Forse è proprio lo spirito di fondo democratico del film il suo limite maggiore di fronte a una storia, a suo modo, invece straordinaria." (Antonello Batacchio, 'Il Manifesto', 8 febbraio 2008)