Sabato 23 marzo - Ore 21:00
Domenica 24 marzo - Ore 16:00 e 21:00
Earl Stone, 80enne senza un soldo, costretto ad affrontare la chiusura
anticipata della sua impresa, accetta un lavoro apparentemente semplice:
deve solo guidare. Peccato che a sua insaputa l'uomo diventi un corriere
della droga per un cartello messicano. Stone fa così bene il proprio lavoro
che i carichi si fanno sempre più pesanti ma un efficiente agente della DEA
è già sulle sue tracce...
Regia: Clint Eastwood
Interpreti: Clint Eastwood, Bradley Cooper, Laurence Fishburne, Michael Peña, Dianne Wiest, Andy Garcia, Alison Eastwood, Taissa Farmiga, Ignacio Serricchio, Lobo Sebastian, Clifton Collins Jr., Manny Montana, Jill Flint, Robert Lasardo, Loren Dean
Sceneggiatura: Nick Schenk
Fotografia: Yves Bélanger
Montaggio: Joel Cox
Durata: un'ora e 56 minuti
Primissima immagine. I fiori, poi la casa, quella di Gran Torino, con la bandiera americana. Caro vecchio Clint, conservatore e sempre all’avanguardia.
L’idea (basata sull’incredibile storia vera di Leo Sharp) è geniale, un vecchietto che fa “the mule”, il corriere della droga per un cartello messicano. Non esiste copertura migliore. Qualcuno infatti ci aveva già pensato negli anni Ottanta.
Nel film, diretto e interpretato da Eastwood con Alison Eastwod (figlia anche nella realtà), Bradley Cooper e Tessa Farmiga, il protagonista, il più che ottantenne Earl, rimasto solo e al verde, ha delle assonanze con il personaggio di Gran Torino, Walt Kowalski. Lo sceneggiatore è lo stesso: Nick Schenk, che attinge a piene mani da una storia vera pubblicata dal New York Times: un veterano della seconda guerra mondiale diventato uno spacciatore di droga e corriere per la famiglia Sinaloa.
Earl, come Kowalski, è razzista: i negri sono sempre negri, lo è in modo meno collerico, più rassegnato, con quella luccicanza che lo salva in questa America dalle promesse non mantenute. Il post Obama lo ha rovinato finanziariamente. Ha annientato il suo lavoro (le vendite online hanno fatto calare drasticamente gli ordini dei suoi magnifici gigli): la sua passione per i fiori gli ha lasciato una minaccia di pignoramento ed è troppo tardi per rimediare alle assenze, come padre e marito.
Clint Eastwood è un grande patriota. Lo sappiamo bene. Così attaccato al suo Paese, a quella bandiera che il veterano Kowalski ostenta con orgoglio in Gran Torino contro i “musi gialli” del vicinato. Da dichiarare apertamente il suo sostegno a Donald Trump, rotolandosi nell’impopolarità dell’opinione pubblica mondiale.
Ma ha anche un grande cuore, che gli ha permesso di raccontare con American Sniper (il suo più grande successo al box office: 350 milioni di dollari solo in America) la guerra in l’Iraq, senza venire meno ai suoi principi. Senza risparmiare vittime ma lasciando fuori lo spettacolo dei danni collaterali.
88 anni e 37 film diretti: nessuno è più versatile, coraggioso, testardo di lui. Quando mette in scena pagine atroci dimenticate (Lettere da Ivo Jima). I cowboy nello spazio, la passione folgorante tra un uomo e una donna (I ponti di Madison County). Lo Tsunami indagando l’Aldilà (Hereafter). Ricordando come Mandela vinse l’Apartheid con una partita (Invictus). Riscrivere la vicenda qualunque di un soldato eccellente e renderla universale (American Sniper). O l’incredibile Sully: l’ammaraggio del volo U.S. Airways 1549 sul gelido fiume newyorkese, in seguito al grippaggio di entrambi i motori causato dall’impatto con uno stormo di oche canadesi, il 15 gennaio 2009. Il comandante Chesley Sullenberger (Tom Hanks) alla cloche dell’Airbus A320, insieme al copilota Jeff Skiles (Aaron Eckhart), salvò le 155 persone a bordo.
Solo Eastwood può farci credere che nonostante tutto gli eroi siano tra di noi, spesso con un destino beffardo. In fondo all’anima è rimasto il cowboy di Sergio Leone, l’attore che ha osservato e imparato dagli altri.
Parallelamente lo stesso uomo, con la sua casa di produzione Malpaso, ha seguito un disegno personale, scrivendo la controstoria americana film dopo film (Brivido nella notte, esordio dietro la macchina da presa è dello stesso anno di Dirty Harry, ’71).
La lista è lunga: oltre 50 anni di cinema, più di 30 da regista, ogni volta un’opera diversa. Con gli stessi ideali di sempre. Risanare il Paese, che si tratti di criminali, terroristi, nemici di qualsiasi tipo e sostanza.
Come la droga, problema che attanaglia l’America, che le istituzioni non hanno saputo risolvere né fermare. Quando Earl riceve un’offerta, guidare attraverso il Missouri trasportando qualcosa che non sa, ma che gli farà guadagnare molti soldi, non ci pensa due volte.
Viaggio dopo viaggio, mette insieme un bel po’ di denaro, recupera le cose che ha perso, ma la curiosità cresce mentre canticchia macinando chilometri. Così la voglia di capire che cosa contengano quei misteriosi bagagli, sempre più pesanti. Lo scopre, ma non si ferma.
L’FBI è sulle tracce di questo misterioso corriere, Bradley Cooper è l’agente operativo. La laurea della nipote riavvicina Earl a quello che conta di più nella vita: la famiglia. In un incontro casuale lo dice anche a Cooper: le priorità non vanno mai dimenticate.
Ed ecco il Clint che conosciamo, con tutta la sua forza, etica, e ideali. Quando tutto va a rotoli bisogna prendere di petto le situazioni. Anche se significa perdere tutto. (Marina Sanna)
"(...)Pubblicata dal giornalista Sam Dolnick sul New York Times Magazine del giugno 2014, la storia vera ha ispirato una sceneggiatura affidata al Nick Schenk di 'Gran Torino' che è poi finita sulla scrivania di Clint Eastwood. Il quale a un'età (88 anni) in cui (con l'eccezione di Manoel De Oliveira) un cineasta vive di ricordi, si è assunto il doppio compito di regista (37a) e attore (70a interpretazione). Proponendosi in un ruolo di gran vecchio che molto gli somiglia per le anarchiche scelte esistenziali, a scapito degli affetti famigliari; e nel piglio politicamente scorretto. Vedi la tranquillità con cui il suo personaggio si infila nel giro della droga; vedi battute del tipo: «Mi fa piacere aiutare voi negri» o (rivolto agli scagnozzi messicani) «sembrate tutti uguali». Frasi che in bocca a un altro suonerebbero razziste; e proferite da lui fanno sorridere noi fan, forse a torto convinti che «Dirty Harry» in realtà un suo codice etico lo ha. Molto personale sebbene ispirato alla realtà, 'The Mule' non è 'Gli Spietati' o 'Million Dollar Baby'; semmai è una versione minore di quell'ironico autoritratto che è 'Gran Torino'. Parliamo di una pellicola di dieci anni fa, e però - anche se il fisico li denuncia e la tenuta del film a tratti ne risente - 'The Mule' conserva la lineare fluidità narrativa che Clint ha ereditato dal cinema classico americano; e ogni attore, a partire dell'agente Dea Bradley Cooper, si intona con naturalezza al suo quieto e sicuro registro di regia. Curata dal trombettista cubano Arturo Sandoval, la colonna sonora è un delizioso mix di jazz e pop." (Alessandra Levantesi Kezich, 'La Stampa', 7 febbraio 2019)
"Fermate il tempo; anzi riavvolgetelo. Questo non può essere il canto del cigno di quel grande artista che risponde al nome di Clint Eastwood. Eppure, 'The Mule', da lui girato e magnificamente interpretato a 88 anni, pellicola di una bellezza disarmante, ha tutte le caratteristiche del testamento artistico dettato dal grande Clint. Perché dietro il soggetto (sceneggiato da Nick Schenk, guarda caso quello di 'Gran Torino'), peraltro tratto da una storia vera, del vecchietto che per arrotondare si trasforma in un corriere della droga di un cartello messicano (Andy Garcia, divino), c'è il pretesto per tracciare il bilancio della sua vita. Che sembra negativo, ma fino a un certo punto. Qui, il suo Earl Stone è amareggiato per aver sacrificato la propria famiglia sull'altare del lavoro e dei piaceri. «Sono stato un pessimo padre, un pessimo marito. Pensavo fosse più importante essere qualcuno da un'altra parte, invece del fallimento che ero a casa mia». Concetto che ripete più volte anche all'agente della Dea che lo sta braccando (un bravissimo Bradley Cooper, al quale Eastwood sembra porgere il testimone). Una scelta della quale lo stesso Clint fa ammenda. Non usando toni drammatici, ma, quasi, alleggerendo il personaggio con un'ironia tipica di chi, ormai anziano, senza peli sulla lingua, si senta in diritto di dire e fare quello che vuole, anche apostrofare i suoi interlocutori con «lesbiche» e «negri», alla faccia del politicamente corretto. Un film che stende un ponte tra passato e futuro, ripetutamente ribadito con la sua critica all'uso dei telefonini o con la sostituzione del vecchio camioncino con uno più moderno. Durante le scorribande, con i carichi di droga (attenzione anche alle scene con la polizia, mai banali), scopriamo che la figlia (interpretata proprio da Alison Eastwood) non gli rivolge la parola da dodici anni e l'ex moglie (superba Dianne Wiest) lo detesta; solo la nipote sembra sopportarlo. Riuscirà a ricucire i rapporti, con il fiato sul collo di Dea e dei nuovi boss dei cartelli? Un film che meritava almeno sette-otto Nomination e che, invece, è rimasto a mani vuote. Poco male. L'affetto di chi ama Clint vale ben più di una statuetta. E, se possibile, clonatelo." (Maurizio Acerbi, 'Il Giornale', 7 febbraio 2019)
"Incredibile, ma il cinema è diventato nel nuovo secolo un paese per vecchi. Ovviamente per vecchi che non hanno perso il loro carisma ne quella capacità di riempire lo schermo che li ha portati da giovani (tanto tempo fa) al rango di superstar. A Natale ha avuto un buon successo l'ottantenne Robert Redford con 'Old man and a gun'. Da oggi è il turno di Clint Eastwood , classe 1931 e ancora splendidamente in grado di fare i protagonisti e di dirigersi. Clint aveva giurato una decina d'anni fa (come oggi giura Redford) che non sarebbe più comparso davanti a una macchina da presa (dietro, era un altro discorso). Mai dire mai (e perché dirlo dal momento che è sempre stato il benvenuto ogni volta che è riapparso sullo schermo?). Curiosamente anche Clint per il suo ritorno ha scelto un personaggio di malvivente (l'età suscita ogni indulgenza nei giudici e negli spettatori). (...) Piacerà agli eastwoodiani di stretta ma anche non strettissima osservanza (l'ammirazione che nutriamo per Clint non ci ha mai indotto ad apprezzare l'opera omnia). Perché 'Il corriere' ('The mule' nell'originale, la Tata come viene chiamato dai trafficanti messicani) è una summa di tutto o quasi il recente cinema di Clint. C'è la meditazione (o esaltazione?) della vecchiaia ispida, burbera ma non doma (Earl alla sua non tenera età è ancora dedito mica male a Bacco tabacco e Venere come non accadeva nemmeno ai tempi di Clint giovane pistolero). C'è il vago razzismo di Gran Torino (un razzismo che non impedisce al vecchio gesti di inaspettata bonarietà verso persone di colore diverso). C'è sempre il suo vago ma non disperso patriottismo. Clint soldato ventenne in Corea non ha mai dimenticato le 'bandiere dei nostri padri' e in 'Il corriere' tira qualche frecciata a chi si dimentica. E c'è naturalmente l'America profonda, il grande paese rurale che non si decide a morire e non morirà finché sarà attraversato in lungo e in largo dagli scorridori solitari come Earl che come scelta di vita han deciso di scarrozzare cantando a bocca stretta le folk songs di Willie Nelson. E infine il motivo della caccia (molto di malavoglia) al reprobo (Earl è braccato da un agente che insegue sperando di non raggiungere). Insomma è 'Gran Torino' mischiato a Un mondo perfetto (gran film dove Eastwood però era il cacciatore. E perché no? Agli spietati (la delinquenza come estremo espediente di sopravvivenza). Certo, per un critico (o uno spettatore) carogna Il corriere non è un film che riserva grandi sorprese. Ma chi ha voglia di incarognire con un Clint che a quasi 90 anni riesce ancora a raccontare il grande paese come nessuno sa più?" (Giorgio Carbone, 'Libero', 7 febbraio 2019)