Sabato 21 ottobre - Ore 21:00
Domenica 22 ottobre - Ore 16:00 e 21:00
Migliore fotografia a Roger Deakins
Migliori effetti
speciali a John Nelson, Gerd Nefzer, Paul Lambert e Richard R. Hoover
L'agente K della Polizia di Los Angeles scopre un segreto sepolto da tempo che potrebbe far precipitare nel caos quello che è rimasto della società. La scoperta di K lo spinge verso la ricerca di Rick Deckard, un ex Blade Runner della polizia di Los Angeles sparito nel nulla da 30 anni.
Regia: Denis Villeneuve
Interpreti: Ryan Gosling, Harrison Ford, Ana de Armas, Jared Leto, Sylvia Hoeks, Robin Wright, Mackenzie Davis, Dave Bautista, Lennie James, Wood Harris, Edward James Olmos, Carla Juri, Barkhad Abdi, David Dastmalchian, Hiam Abbass, Mark Arnold
Sceneggiatura: Hampton Fancher, Michael Green
Fotografia: Roger Deakins
Montaggio: Joe Walker
Musiche: Hans Zimmer, Benjamin Wallfisch
Effetti speciali: John Nelson, Gerd Nefzer, Paul Lambert e Richard R. Hoover
Durata: 2 ore e 32 minuti
Era il novembre del 2019. Il cacciatore di replicanti Rick Deckard (Harrison Ford) e Rachael (Sean Young) provano a fuggire da un destino segnato.
“Oggi”, nel 2049, i vecchi Nexus 8 sono stati da tempo superati dai replicanti Nexus 9, migliorati e perfezionati, resi più docili e obbedienti, e l’agente K (Ryan Gosling) della Polizia di Los Angeles, anche lui un blade runner, è incaricato di “ritirare” i modelli precedenti che ancora si nascondono da qualche parte. Scopre però un segreto sepolto da tempo che potrebbe far precipitare nel caos quello che è rimasto della società. E questa scoperta lo porta alla ricerca di Deckard, sparito nel nulla da ormai 30 anni.
“Nato e non creato”. Denis Villeneuve costruisce impalcature visive e inquietudini filosofiche provando a replicare – senza soluzione di continuità – le derive sci-fi e noir che Ridley Scott era stato capace di toccare, ormai 35 anni fa, traducendo filmicamente Il cacciatore di androidi di Philip K. Dick.
Operazione forse impossibile da ipotizzare, che il grande schermo però riesce a restituire a tratti in maniera magniloquente. La fotografia di Roger Deakins (che, potete scommetterci, otterrà la 14° nomination agli Oscar, chissà se stavolta si degneranno di premiarlo…), le scenografie di Dennis Gassner, le musiche di Hans Zimmer e Benjamin Wallfisch, volutamente riecheggianti il Vangelis touch, lo sguardo di uno tra i più grandi registi contemporanei: ogni elemento strutturale di Blade Runner 2049 è non solo, non semplicemente, copia conforme dell’originale, ma sentito e ragionato prolungamento di un universo, visivo, ambientale, cinematografico, di uno tra i film più iconici della storia della settima arte.
Non c’è una cosa fuori posto, in questa scacchiera dove ogni mossa – anche impercettibile, anche apparentemente vuota di senso, o avvolta da lunghi silenzi – è figlia di un calcolo. Di una scienza che – ancora oggi e, soprattutto, con l’avvento di tecnologie forse impensabili ai tempi del primo film – continua a domandarsi “che cosa definisce un essere umano?”.
Villeneuve non si sottrae alle inquietudini di natura etica e bioetica, costruisce (nel vero senso della parola, visto che ogni set è analogico e non ricreato con il green screen) architetture in grado di ospitare comodamente lo script di Hampton Fancher e Michael Green, e instrada la prosecuzione di una storia iniziata 30 anni fa insinuando il dubbio laddove invece le creazioni di Niander Wallace (Jared Leto) non dovrebbero prevederlo: dove finisce il confine tra l’obbedienza androide e la ricostruzione di un’identità creata dal nulla ma settata con l’innesto di ricordi artificiali? E che cosa succede se uno di quei ricordi è un frammento di memoria reale?
Ci si muove lungo le traiettorie ambientali disegnate allora – la veduta area e notturna di una Los Angeles sempre più caotica e illuminata da ologrammi promettenti qualsivoglia svago e ristoro – e ridisegnate oggi attraverso una distopia ancor più grigia, figlia di un collasso degli ecosistemi avvenuto anni prima – l’enorme muro che difende la città dall’oceano minaccioso, il freddo costante, l’inospitalità di luoghi resi inabitabili dall’inquinamento dell’aria, la neve – ma, come era ovvio immaginare, il cuore della questione è ancora una volta nascosto nell’abisso di dilemmi ancora oggi irrisolvibili.
E l’unico, vero limite di Blade Runner 2049, forse, è proprio nel voler rendere più dirette, più a portata, più narrative, questioni che nel film precedente rimanevano sospese, mai enunciate apertamente, fuggendo da facili schematismi che, invece, stavolta, sembrano fiaccare il percorso del racconto, rischiando a volte di spogliarlo della poesia, dell’anima che – al contrario – tutto l’impianto visivo, visionario e architettonico (che raggiunge il suo apice quando la splendida Ana de Armas – l’ologramma Joi – si sovrappone al corpo della prostituta interpretata da Mackenzie Davis per rendere carnale, reale, il suo rapporto con K) riescono a mantenere vivo, saldo in quell’equilibrio quasi commovente tra ricordo del prototipo e creazione di un nuovo cult.
“Nato e non creato”, la questione è tutta lì: “In fondo non sei male, anche senz’anima”. (Valerio Sammarco)
"Bisognerebbe introdurre il termine «meta-sequel» per sintetizzare al meglio questo nuovo capitolo cinematografico di 'Blade Runner' ambientato nel 2049, che continua la storia iniziata nel 1982 (ma ambientata nel 2019) dal film di Ridley Scott, con tanto di ritorno in scena del suo protagonista Rick Deckard (sempre interpretato da Harrison Ford), ma lo fa con un altro atteggiamento, più filosofico che fantascientifico, quello che appunto spiega l'aggiunta dell'apposizione «meta». Soprattutto lo fa recuperando in pieno la lezione del romanziere all'origine di tutto, quel Philip K. Dick che con i suoi libri aveva allargato i confini del cinema di fantascienza aprendolo a vertigini metafisiche fino ad allora inedite. (...) Villeneuve sembra preoccupato soprattutto di scavare dentro le pieghe filosofiche (altro aggettivo non si adatta meglio) di un mondo che interroga l'uomo sui limiti e le specificità della propria umanità. (...) il regista sceglie uno stile rarefatto e ipnotico, che chiede di abbandonarsi a un percorso che recupera il ricordo dell'opera precedente ma lo adatta alle nuove esigenze." (Paolo Mereghetti, 'Corriere della Sera', 4 ottobre 2017)
"Possiamo dire (...) che ha ragione 'Variety' quando sostiene che il film deve molto di più al cinema di Andrej Tarkovskij che alla rivoluzionaria visione cyberpunk di Scott. I tempi sono talmente dilatati e in controtendenza rispetto alla velocità del montaggio di oggi da sfidare lo spettatore con scene lunghissime. Ma la ragion d'essere di 'Blade Runner 2049' (...) sta proprio qua. Al 2019, anno in cui è ambientato il 'Blade Runner', mancano solo quindici mesi e la Los Angeles di Scott è ancora futuristica, insuperata da tutti gli altri film di fantascienza che hanno provato a immaginare la vita su una Terra devastata dai cambiamenti climatici. Villeneuve dunque rinuncia a competere con la topografia dell'originale e conserva la città così come la conosciamo, ma sposta spesso l'azione negli spazi aperti e sovverte alcuni degli elementi del genere noir immergendo i personaggi in una luce ambrata e fluorescente. Come ha già dimostrato con 'Arrival', in cui raccontava di un'invasione aliena, Villeneuve usa i generi, anche quello fantascientifico, per riflettere sulla condizione umana. E per farlo si prende tutto il tempo di cui ha bisogno. Chi siamo? Qual è il nostro scopo in questa vita? In cosa crediamo e per cosa lottiamo? Il regista insiste su questo aspetto filosofico e introspettivo, moltiplicando le domande esistenziali e adattandole alla nuova complessità del presente in cui il tema dell'identità non può che essere affrontato in maniera meno schematica rispetto a trentacinque anni fa. In altre parole, qui non basta chiedersi «sono un uomo o un replicante?». (...) Sulle note elettroniche di Benjamin Wallfisch e Hans Zimmer, che solo occasionalmente rievocano la colonna sonora originale firmata da Vangelis, Villeneuve disegna con sofisticata eleganza un mondo post-digitale (...). Allo spettatore non servirà un 'ripasso' del film del 1982, solo la voglia di abbandonarsi con fiducia a una narrazione estranea al genere fantascientifico o d'azione, ma vicina al cinema di un autore che impastando tragico e romantico prosegue la sua ricerca sull'uomo e il suo misterioso cammino." (Alessandra De Luca, 'Avvenire', 4 ottobre 2017)
"'Blade Runner 2049' non è il sequel dell'altro (forse ce ne sarà uno di questo) e nemmeno lo spin off, non cerca neppure di ripeterne le dinamiche pure se vi sono omaggi evidenti, atti d'amore per quello che è stato, anche nella formazione di Villeneuve, un colpo di fulmine, e con la sua mitologia, accresciuta dai finali diversi fino al Final Cut dello stesso Scott, ha pennato non solo il cinema ma le mode, fashion, look, fumetti, musica, battute - «Ho visto cose che voi umani non potreste immaginarvi» - come diceva il replicante Roy Batty-Rutger Hauer prima di morire. E non si lascia nemmeno tentare da un'operazione vintage nostalgia, se non nel decor dei luoghi dove vivono i vecchi replicanti in cui troviamo persino vecchie macchine da cucina a gas. Però all'originale il film di Villeneuve è legato, e non solo per la presenza di Harrison Ford (...) Quello che accade nel film di Villeneuve è un passaggio tra le generazioni, una sorta di spostamento dell'orizzonte attraverso il protagonista giovane, l'agente K (Ryan Gosling) (...). Los Angeles è sempre buia, e acquatica, le strade sono appena illuminate dalle stesse insegne luminose con le ragazze replicanti dai grandi occhi verdi che offrono piaceri, quell'iconografia «bladerunneriana» che ha lasciato (pure troppo) la sua impronta anche se visivamente - la fotografia è di Roger Deakins - Villeneuve usa con sapienza tutto ciò che può delle nuove tecnologie. (...) Se la specularità nel primo tra i replicanti e gli umani era il punto di scontro politico, la «guerra» qui si sposta interamente sul piano esistenziale focalizzandosi su di loro, i replicanti, come se gli umani non esistessero già più. È questo desiderio la rivolta in chi senza memoria e passato dovrebbe essere una superficie liscia e invece pulsa scosso da una violenza o dalla dolce malinconia di un'assenza (...). Ci sono certo nel film i rimandi al nostro tempo, le devastazioni climatiche, l'ambiente, le multinazionali che creano cibo sintetico distruggendo il mondo- la vecchia società che costruiva i replicanti è stata sostituita da una nuova, più crudele verso le sue creazioni (il capo è Jared Leto) e totalizzante . Forse è per questo che sono sentimenti a diventare «politici» (vale un po' anche nella narrativa presente no?) con la ricerca di una condizione unica contro quel controllo che aspira a invadere ogni angolo della mente del cuore del corpo, della vita. Padri e figli, è questo il terreno su cui gioca la sua scommessa Villeneuve: la trasmissione, la costruzione di un'altra storia possibile, il passaggio oltre i generi (e non solo replicanti/umani) di un'esperienza che può essere di nuovo rivoluzionaria . Lo stesso desiderio che fluisce oltre il tempo e che fa di questo 'Blade Runner 2049' un film contemporaneo, e forse del futuro un invenzione ancora possibile." (Cristina Piccino, 'Il Manifesto', 4 ottobre 2017)
" (...) una straordinaria esperienza visuale (...) in cui a ogni inquadratura corrisponde un'idea, un'intuizione, un rimando letterario e anche filosofico (...). Ispirato, come il primo titolo, al romanzo di Philip K.Dick (...) 'Blade Runner 2049' è gravato da un'aura cupa e disperata, in linea con il clima della nostra contemporaneità. La speranza, ancora una volta, è solo nell'amore, tra un maschio e una femmina, tra un padre e un figlio, tra un essere umano o qualcosa che gli assomigli, tra chiunque riesca a vivere passioni capaci di infrangere le regole. (...) Il regista Villeneuve ha vinto la scommessa (...)." (Fulvia Caprara, 'La Stampa', 4 ottobre 2017)
"Il grande cinema è quello che reinventa la visione degli spettatori attraverso la camera e lo sguardo di chi gira: e così avviene in un film che, sin dalle sequenze iniziali (...), lascia intravedere l'esistenza di un'opposizione (o di una non coincidenza) tra l'apparenza e la realtà che si è fatta virtuale. Una delle tante anticipazioni che ne fanno un film passaporto per l'ingresso dello spettatore nella temperie postmoderna, dove la soggettività e la razionalità dell'individuo sono entrate irreversibilmente in crisi. E dove la tecnologia domina al punto da dissolvere le differenze tra organico e artificiale, scaraventandoci nella dimensione del postumano, quella incarnata dai replicanti, a volte più umani di quegli umani che si aggirano come monadi isolate (e desolate) sullo sfondo di una megalopoli californiana dark e angosciante, trasfigurata dal tecnobiocapitalismo. (...) non ci resta che scoprire, seduti in sala, se il nuovo 'Blade Runner 2049' - prodotto dallo stesso Scott, a certificare il timbro «doc» e la sua benedizione all'operazione - saprà imprimere un'ulteriore svolta visiva alla nostra condizione (ormai divenuta, nel frattempo) post-postmoderna." (Massimiliano Panarari, 'La Stampa', 4 ottobre 2017)
"L'atteso seguito di 'Blade Runner' esibisce bene, benissimo quel che il cinema è diventato dal 1982 fin qui: bello senz'anima. Nel migliore dei casi, s'intende. Dirige Denis Villeneuve, e Ryan Gosling, l'impassibile, ineffabile Ryan Gosling, è il suo profeta: il nuovo 'Blade Runner' replica a soggetto, anzi, replica un soggetto, è un simulacro, la copia di un originale mai esistito. Purtroppo, si fa per dire, quell'originale è esistito, l'abbiamo visto e rivisto nelle sue infinite versioni (final e director's cut), e ancora non ce lo leviamo dagli occhi e, non esageriamo, dal cuore: 'Blade Runner' aveva l'aura, 'Blade Runner 2049' no. Il follow-up di Villeneuve è inferiore alla somma delle sue parti, è tante ottime cose, ma non è un capolavoro, forse nemmeno un grande film. Forse è solo eccelsa riproduzione tecnica. (...) Basta un sontuoso apparato visuale, un superbo proscenio visivo a farci sentire nostro quel che provano o, meglio, fanno i personaggi? Che cosa proviamo, sentiamo, sogniamo con 'Blade Runner 2049'? A differenza di quanto non accada a K, Denis Villeneuve non (ci) dimostra di aver fatto proprio, ovvero di sentire, le emozioni originariamente provate e offerte al pubblico da RidleyScott, e non perché vari a tal punto sullo spartito da sconfessare il 'Blade Runner' del 1982, ma perché non ci crede - né ci fa credere - mai. Superficiale e bello, epidermico e bellissimo, giammai epico, patetico, poetico: Denis Villeneuve conferma la cifra principale del suo talento, la versatilità; il direttore della fotografia Roger Deakins troverà probabilmente la quattordicesima candidatura agli Oscar e, finalmente, la prima statuetta; Gosling ribadisce che quando si tratta di non muovere un muscolo facciale e incassare non ha eguali. E più non dimandare. (...) Harrison Ford (...) mai è apparso così sensibile, empatico e bravo come qui: merito suo o, anche, demerito altrui? Relitto o reliquia che sia, ha un diapason che gli altri nemmeno si immaginano, figurarsi sognare: il Blade Runner del 1982 è la cosa migliore del Blade Runner del 2017, o 2049 che dir si voglia, e non servirebbe aggiungere altro." (Federico Pontiggia, 'Il Fatto Quotidiano', 4 ottobre 2017)
"(...) 'Blade Runner 2049' è un po' gravato dall'insistenza di Villeneuve sui tempi circolari, opprimenti, addirittura aumentati rispetto al film di Scott, per non perderlo, per non cancellarlo (le lunghe sequenze di Jared Leto, il bieco fabbricante di replicanti cieco). Ma è anche un raro caso di sequel ben annidato nel sistema di successo dell'originale. Ritrova e rilancia i personaggi in un neo-design apocalittico impressivo, dalle scenografie ibride di Dennis Gassner alla fotografia matematica di Roger Deakins (...). Goslin, sempre un po' preso da paturnie e fissità, è una buona soluzione per concentrare nell'interiorità dubbi ed emozioni inconfessabili. Rievoca bene Ford, anche lui attore di poche mosse ben valorizzate. Poteva essere un disastro. Invece è un bel ritrovarsi intorno al totem dei decenni passati." (Silvio Danese, 'Nazione-Carlino-Giorno', 4 ottobre 2017)
"È un buon sequel perché replica con affetto speciale gli ingredienti del primo menu liberamente tratto dalla fantascienza letteraria di Philip K. Dick: tempo inclemente (dall'eterna pioggia ispirata alla Londra di Scott si passa alle bufere di neve familiari al canadese Villeneuve), gadget futuristici (il simulacro dell'intelligenza artificiale casalinga in grado di 'sintonizzarsi' dentro il corpo di una prostituta in carne ed ossa genera una innovativa scena di sesso a tre), scienziati presuntuosi (dall'occhialuto Tyrell al giovane e monacale Wallace di un petulante Jared Leto) e un protagonista investigatore privato nonché provato da eventi, e replicanti, in grado di metterlo in crisi moralmente e non solo. Le quasi tre ore reggono (tranne per venti minuti finali caotici in sceneggiatura) mentre la musica più affascinante è quella di ieri ovvero un recupero di uno dei temi storici del soundtrack composto 35 anni fa da Vangelis. Fotografia eccezionale di Roger Deakins (...). Chiudiamo sugli attori: Gosling accessorio, e un po' troppo imbambolato, mentre Ford più pimpante del solito e più coinvolto emotivamente rispetto a 'Star Wars: Il risveglio della Forza' in cui si vedeva che timbrava il cartellino e basta. La sensazione forte è che non ci fermeremo qui. Per 'Blade Runner 2049', in poche parole, non è tempo di morire." (Francesco Alò, 'Il Messaggero', 4 ottobre 2017)
"Ryan Gosling nei panni del neo-replicante senza nome 'agente K' si confronta alla pari, per fissità e per statura iconica, con il predecessore (che in realtà appare poco). Le grandi intuizioni di design, di scenografia, di look dell'impasto vintage-avveniristico che tanto contarono per il culto dell'originale, sono state appunto già inventate allora. E il pur suggestivo e anzi fastoso impianto del sequel non aggiunge molto. Ritorna uno degli sceneggiatori, Hampton Fancher, e torna Scott come produttore esecutivo. Amara ironia: le innumerevoli traversie che impedirono a Scott di dare al suo film la durata che egli avrebbe voluto non hanno impedito al sequel di allungarsi oltre le due ore e mezza." (Paolo D'Agostini, 'La Repubblica', 5 ottobre 2017)
"Piacerà ai fan di Philip Dick l'autore del racconto originale. Gli unici a sollevare obiezioni sul classico del 1982 (tacciato di infedeltà al testo). Il 'Blade 2049' è (almeno apparentemente) più attaccato al racconto. Anche se il regista Villeneuve lo infioretta di ologrammi che in Dick non c'erano. Ma piacerà parecchio anche a chi era stato catturato nel 1982 dalle fascinose immagini e dalle scioccanti scene d'azione. Villeneuve non delude. Gira come Ridley Scott ai bei tempi e come Ridley ormai non sa più fare. La Città degli Angeli, benché in teoria bonificata, è nelle sue mani un girone infernale anche peggiore. E le caccie, i duelli sono sensazionali (grande idea quello della rissa tra K e Deckard al ritmo di una canzone di Presley). Gioia per gli occhi e per le orecchie, il nuovo 'Runner' è persino ottimista. Da quell'inferno l'umanità uscirà. Forse." (Giorgio Carbone, 'Libero', 5 ottobre 2017)
"In America hanno gridato al capolavoro, definendolo straordinario. E anche in Italia, i colleghi che lo hanno visto si sono sciolti in peana che neanche per un film Oscar si sono letti. Meritati? De gustibus non est disputandum. Però, qualche osservazione critica va fatta, a beneficio del lettore, per farlo arrivare preparato ad uno dei seguiti più attesi (anche troppo) della storia cinematografica. Prima di tutto, il regista Denis Villeneuve chiede di non rivelare le «svolte» presenti nella trama. In pratica, ci obbliga a non raccontare il film, forse sperando, così, di non scoraggiare, anzitempo, una parte del pubblico, perché ci sarebbe molto da dire su alcune scelte della sceneggiatura. (...) Villeneuve è quello del filosofico sci-fi 'Arrival' e le atmosfere in 'Blade Runner 2049' sono le stesse, pur visivamente meravigliose. Tanti i temi trattati, come il morire per una giusta causa, la cosa più umana che si possa fare. Hanno pescato pure da 'Ghost', per un film che piacerà certamente ai fan, un po' meno agli altri. Attenzione, poi, che è obbligatoria la visione del primo 'Blade Runner', altrimenti questo seguito diventerà incomprensibile nei suoi sviluppi." (Maurizio Acerbi, 'Il Giornale', 5 ottobre 2017)