Giovedì 16 novembre - Ore 21:00
Miglior montaggio a Lee Smith
Miglior montaggio sonoro a Richard King e
Alex Gibson
Miglior sonoro a Mark Weingarten, Gregg Landaker e Gary A.
Rizzo
Seconda Guerra Mondiale. Centinaia di migliaia di truppe britanniche e
alleate sono circondate dalle forze nemiche. Intrappolati sulla spiaggia,
con le spalle al mare, i soldati si trovano ad affrontare una situazione
impossibile con l'avvicinarsi del nemico. La storia si sviluppa tra terra,
mare ed aria. Gli Spitfire della RAF si sfidano col nemico in cielo aperto
sopra la Manica in difesa degli uomini intrappolati a terra. Nel frattempo,
centinaia di piccole imbarcazioni capitanate da militari e civili tentano un
disperato salvataggio, mettendo a rischio le proprie vite in una corsa
contro il tempo per salvare anche solo una piccola parte del proprio
esercito.
Regia: Christopher Nolan
Interpreti: Tom Hardy, Cillian Murphy, Mark Rylance, Kenneth Branagh, James D'Arcy, Harry Styles, Aneurin Barnard, Jack Lowden, Barry Keoghan, Fionn Whitehead, Charley Palmer Rothwell, Elliott Tittensor, Brian Vernel, Kevin Guthrie
Sceneggiatura: Christopher Nolan
Fotografia: Hoyte Van Hoytema
Montaggio: Lee Smith
Durata: un'ora e 46 minuti
La guerra di Nolan ha il ticchettio di una bomba a orologeria pronta a esplodere. Il tempo è il vero protagonista di Dunkirk: ogni minuto potrebbe essere l’ultimo e per le truppe inglesi il ritorno a casa diventa un sogno, un’utopia irraggiungibile.
Hans Zimmer scandisce i secondi con una colonna sonora al cardiopalma, e cronometra la durata di ogni azione con i suoi bassi ormai inconfondibili. Il pianoforte e gli archi irrompono in tutta la loro potenza solo nella seconda parte, mentre prima regnano i silenzi e le urla dei disperati. Ancora una volta Christopher Nolan racconta una storia al limite, di uomini giunti al capolinea che vorrebbero tornare indietro.
In Interstellar, Matthew McConaughey affrontava l’ignoto attraversando
un wormhole, per salvare una Terra consumata. Le linee temporali si
arrotolavano per poi distendersi, con i diversi piani narrativi di
Inception sempre dietro l’angolo. “Ho sciupato il tempo e ora è lui a
sciupare me”, scriveva Shakespeare. E questo sembra il mantra di quei
soldati intrappolati sulla spiaggia, con i tedeschi alle spalle e il
mare davanti.
Dunkirk è un war movie claustrofobico, dove ognuno è
rinchiuso nei propri incubi: i 400mila da salvare sono “prigionieri”
sulla battigia, l’aviatore è costretto nell’abitacolo del suo Spitfire e
il padre di famiglia attraversa La Manica con una piccola barca a
motore.
Non c’è spazio per respirare, per pensare a un destino diverso dalla morte. Le bombe piovono a cascata, le navi affondano, lo schermo diventa nero, poi la luce e infine la macchina da presa si rituffa nell’ombra. La platea vive un’esperienza sensoriale che travalica i viaggi interplanetari di Interstellar e i giochi di magia di The Prestige. Qui va in scena il cinema nella sua forma più pura, quella che rimane impressa nello sguardo e fa battere forte il cuore.
Nel 1940 l’esercito nazista sferrò la prima grande offensiva contro l’Occidente. Gli inglesi si trovarono bloccati a Dunkerque, in Francia, chiusi in una sacca tra La Manica e l’inevitabile. Il film racconta di quella fatidica battaglia da tre punti di vista diversi, con Tom Hardy che vola su un aereo da combattimento, Mark Rylance nei panni del patriota e il quasi sconosciuto (al cinema) Harry Styles in attesa di un incrociatore che lo riporti nell’amata Inghilterra.
Le loro storie si intrecciano, si respingono, per ricordare che non
tutti nascono eroi. I pavidi si fingono di un’altra nazione per sfuggire
al campo di battaglia, chi è riuscito a scappare naufraga nel terrore,
ed è disposto a uccidere il proprio compagno. Cambiano le percezioni di
un conflitto dall’esito, all’epoca, tutt’altro che scontato.
Nolan
non dimostra empatia verso i suoi personaggi, perché vuole farci
appassionare agli eventi. Gli uomini non hanno passato, forse neanche
futuro, solo un presente di disfatta. Non troveremo il simpatico Caparzo
di Salvate il soldato Ryan, nemmeno la Guadalcanal de La sottile linea
rossa, dove il Soldato Witt si interrogava sul senso dell’esistenza.
Qui si combatte, sulla sabbia, nell’acqua e nel cielo: i sentimenti non sono ammessi. In un unico istante, il più bello di tutto Dunkirk, una lacrima si fa strada sul volto di Kenneth Branagh. Quando tutto sembra perduto, all’orizzonte si intravede un aiuto inaspettato, e lo stoico comandante si scompone: “Mi sembra quasi di vederla da qui… Casa!”. L’epica incontra la Storia e il patriottismo sale in cattedra senza battere, per una volta, una bandiera a stelle e strisce.
La ritirata degli sconfitti si trasforma in un urlo di vittoria, in una voglia di riscatto che attraverserà l’Europa negli anni a venire. Rylance interpreta un padre indomito che trasuda determinazione anche quando l’impresa sembra impossibile.
Nel suo sguardo si coglie lo stesso coraggio di Tom Hardy, di nuovo con il volto coperto da una maschera per l’ossigeno dopo Il cavaliere oscuro – Il ritorno. Ma i veri eroi sono i senza nome, tutti quelli che vengono inquadrati da lontano mentre lottano per non soccombere.
In molti si aspettavano un kolossal da tre ore, ma a Nolan servono 106 minuti per lanciare il suo messaggio di speranza a un mondo che trema davanti alle nuove forme di guerriglia. Un caccia che plana senza più carburante rappresenta la disfatta del supporto alleato contro Hitler, fino a quando un atterraggio di emergenza sembra possibile. Dalle tenebre sorge il sole, e il cinema bellico raggiunge il suo apogeo. (Gian Luca Pisacane)
"Piaccia o no, il war movie ha ispirato i maggiori registi (Kubrick, Malick, Coppola, Eastwood, Tarantino...) , generando un numero di capolavori che pochi altri generi possono vantare. Difficile che non ne fosse tentato Christopher Nolan, cineasta prodigio di film a larga scala, punto di congiunzione tra il kolossal della Hollywood classica e il moderno blockbuster. (...) Nolan si distingue da tutti i suoi predecessori. Se ogni grande film di guerra contiene un punto di vista sulla storia (magari pacifista, come 'La sottile linea rossa'), lui decide invece di proiettare, fin dal primo minuto, lo spettatore nel caos della guerra: un'esperienza immersiva e totalizzante, un panico controllato coincidente con quello dei soldati in rotta, tra bombardamenti, naufragi, colpi di mitraglia e quant'altro. Un po' come nella lunga sequenza d'apertura di 'Salvate il soldato Ryan' di Spielberg, ma protratta per tutto il film. A determinare questo risultato è decisivo il ruolo della struttura narrativa, che ripartisce l'azione in tre scenari limitrofi con tre temporalità diverse: la terra (una settimana), il mare (un giorno), il cielo (un'ora). Nolan decostruisce la trama alternando frammenti delle tre linee narrative in un montaggio complesso (viste anche le diverse durate degli episodi ), ma straordinariamente padroneggiato. Non solo gli spazi dell'azione sono sempre leggibili (per sincerarsene basta la sequenza d'apertura: il soldatino fugge da solo, traversa un avamposto di fanti belgi; poi l'inquadratura si allarga alla spiaggia, dove migliaia di soldati come lui attendono d' imbarcarsi ); la cosa più straordinaria è che non perdiamo mai il filo dell'azione, né ci confondiamo sull'identità dei personaggi. È fuor di dubbio che Nolan scelga un approccio intellettuale alla materia, in cui alcuni hanno creduto di ravvisare un eccesso di distacco e una mancanza di sensibilità per la tragedia rappresentata. Sensazione che i fatti smentiscono facilmente. L'approccio, più sensoriale che razionale, alla materia, acquista concretezza drammatica nei gesti e negli sguardi degli attori, scelti alla perfezione: le movenze adolescenziali di Fionn Whitehead ( Tommy ), l'espressione stoica di Mark Rylance (Mr. Dawson ), gli occhi del pilota Tom Hardy: il volto coperto dalla maschera a ossigeno, recita solo con quelli." (Roberto Nepoti, 'La Repubblica', 31 agosto 2017)c
"Non c'è gloria, non c'è vittoria (Dunkirk fu comunque una sconfitta). Ma ti identifichi da matti coi soldatini che aspettano di essere schiacciati come formiche. Ti identifichi col comandante che quasi vede Dover in lontananza ed è attanagliato dalla paura di non arrivarci mai. E naturalmente col pescatore che non lo calcoli niente nella prima scena, ma poi diviene il simbolo di quell'Inghilterra che non si sarebbe mai arresa. Come ci arriva Nolan a immergere tutti nell'azione? Colla tecnica, vecchia come il cinema, dell'arrivano i nostri. Gli Stukas mitragliano le navi? E arrivano gli Spitfire a mettere loro il sale sulla coda. I naufraghi annaspano nelle acque? Niente paura, sta sopraggiungendo la magica flottiglia dei pescherecci. Un film come quelli di una volta, hanno scritto. Giusto. E' tempo di ritornare a farli." (Giorgio Carbone, 'Libero', 31 agosto 2017)c
"Christopher Nolan ha definito Dunkirk il suo film più sperimentale dai tempi di 'Memento'. In effetti, a partire dalla suddivisione per elementi - terra, aria, mare - dall'assenza quasi totale di dialoghi, dalla qualità anche fisicamente immersiva della texture e dell'uso delle immagini, il nono lungometraggio del regista inglese respira di un sollievo che sa di ritorno alle radici. (...) Da sempre affascinato dall'arbitrarietà e dalla non linearità della percezione temporale (ancora 'Memento', 'Inception', ma anche il suo primo, 'Following', e il sottovalutato 'Insomnia'), ai tre elementi del film, Nolan associa tre cronologie indipendenti tra loro (9 giorni, 1 giorno, 1 ora), che a malapena si sfiorano, ma che lui monta come fatti in simultanea, e in cui riassume l'epica ritirata di circa 400 mila truppe inglesi, francesi, belga e canadesi, incalzate da quelle di Hitler sulla spiaggia di Dunkirk ne11940. (...) Rinunciando per una volta a lunghe spiegazioni a voce di quello che succede, Nolan incolla visceralmente il film alla fragilità dell'esperienza dei singoli personaggi, agli obbiettivi apparentemente poco grandiosi che ognuno di loro si pone -non morire, usare al meglio l'ultima goccia di carburante che c'è nel serbatoio, caricare a bordo uno scioccato, ufficiale naufrago (Gillian Murphy). Persino le temibili musiche di Hans Zimmer evitano il trionfalismo più smaccato nel totale in cui la flottiglia civile appare ai soldati sull'orlo del mare. Sono la qualità astratta, il minimalismo, il non detto che rimangono del film. Non la sua scala." (Giulia D'Agnolo Vallan, 'Il Manifesto', 30 agosto 2017)