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In un futuro imprecisato, un drastico cambiamento climatico ha colpito duramente l'agricoltura. Un gruppo di scienziati, sfruttando un "whormhole" per superare le limitazioni fisiche del viaggio spaziale e coprire le immense distanze del viaggio interstellare, cercano di esplorare nuove dimensioni. Il granturco è l'unica coltivazione ancora in grado di crescere e loro sono intenzionati a trovare nuovi luoghi adatti a coltivarlo per il bene dell'umanità.
Regia: Christopher Nolan
Interpreti: Matthew McConaughey, Anne Hathaway, Jessica Chastain, Wes Bentley, Casey Affleck, Michael Caine, Matt Damon, Topher Grace, Mackenzie Foy, John Lithgow, Ellen Burstyn, David Oyelowo, Bill Irwin, Elyes Gabel, Timothée Chalamet
Sceneggiatura: Christopher Nolan, Jonathan Nolan
Fotografia: Hoyte van Hoytema
Montaggio: Lee Smith
Musiche: Hans Zimmer
Durata: 2 ore e 48 minuti
Ambizioso, complesso, intimo, sentimentale: il viaggio galattico di Nolan per riscrivere le coordinate della fantascienza
"Spinti dalla fede incrollabile che la terra sia nostra", come dice l'austero Professor Brad (Michael Caine), gli uomini non si sono accorti che non è più così. La terra ci respinge, la sabbia ci invade. Inaridisce i campi, riempie i polmoni. Scompare il cibo. Interstellar di Christopher Nolan pone come premessa l'estinzione della specie, ma non è un film apocalittico come i tanti che si sono succeduti al passaggio del Millennio. Scritto a quattro mani con il fratello Jonathan, trascende la visione semplicistica del dualismo inizio-fine della vita e va assai oltre il racconto di fantascienza. Ambizioso, complesso, intimo e anche sentimentale nell'esporre ciò che anima le ansie dei personaggi, diventa poi un grandioso viaggio interstellare che trascende il tempo e lo spazio, portando a nuove, sterminate conoscenze.
La natura, dunque, ha chiuso i battenti, è finito il grano, rimane solo il mais, ma anche quello si sta esaurendo. Cooper, interpretato da Matthew McConaughey, un tempo pilota e ora padre vedovo e agricoltore - è divenuto il mestiere più prezioso - ricorda sull'uscio di casa come "un tempo alzavamo lo sguardo al cielo chiedendoci quale fosse il nostro posto nella galassia, ora lo abbassiamo preoccupati e intrappolati nel fango e nella polvere".
E' in questa contrapposizione tra il grigio - l'aridità del fango - e lo splendore - il mistero della galassia - che Nolan inserisce nozioni scientifiche e immagini fantastiche, mentre con una buona dose di coraggio e disperazione Cooper, troncando dolorosamente il tesissimo rapporto con la figlia Murph, torna lassù, per darci almeno l'illusione di un futuro. Gli scienziati asserragliati in una NASA sotterranea discutono di viaggi spazio temporali, dei wormhole, dei buchi neri, del disordine creativo, delle catastrofi e della complessità. Ma si devono affidare all'istinto di un padre che tenta l'impossibile, pronto per solcare lo spazio, forare il tempo, cercare un pianeta e sopravvivere.
Per Nolan, una fantascienza "densa" che si gioca tutta sull'emozione, anche se i grandiosi panorami che accolgono, con molti pericoli, questi argonauti dello spazio sono entusiasmanti. Mentre per loro rimangono attive tutte quelle zone fragilissime quando davanti a sé si hanno la paura, la morte, il mistero, l'ignoto. Matt Damon, astronauta dato per disperso, le fa deflagrare.
Non ci sono, questa volta, monoliti neri all'alba dell'umanità o fluttuanti attorno a Giove, non c'è alcuna intelligenza esterna da cui prende forma una nuova umanità. Così Stanley Kubrick nel 1968 aveva immaginato nel suo 2001: Odissea nello spazio un viaggio oltre le stelle altrettanto epico, che culminava nella messa in questione della razionalità umana incapace di portare progresso e pace se non illuminata da quella aliena, riducendo il ruolo del progresso a un semplice dono seminato non casualmente nella storia da altre forme di intelligenza.
Andrei Tarkovskij soltanto tre anni dopo circoscriveva il cosmo a una dimensione morale: in Solaris l' "oceano pensante" di quel pianeta non era nemmeno più una forma "altra" di vita, ma quasi una proiezione stessa della psiche umana. Il viaggio questa volta era una metafora religiosa in cui l'uomo diventava la sintesi, la ragione trovava il suo limite nella forza spirituale.
Interstellar si affianca con un debito ideale a questi due importanti progenitori cinematografici, ma esclude un "loro" extraterrestre e riconnette tutto al "noi" di uomini e donne liberi. Liberi prima di tutto di amare.
Sconvolgendo le regole, Nolan mette in bocca la verità del film proprio allo scienziato: "L'amore è l'unica cosa che trascende dal tempo e dallo spazio". Un atto di grande fiducia nella nostra capacità di scegliere e di rischiare. Che tutti i protagonisti affrontano nella loro esperienza terrestre o spaziale, ma in cui è la presenza femminile quella che determina la sopravvivenza: Anne Hathaway, biologa coinvolta nel periglioso viaggio, e Jessica Chastain, Murph adulta, divenuta la chiave di volta tra terra e altrove, in un tempo che quasi cessa di esistere, di cui cui si scoprono i segreti. (Luca Pellegrini)
"Questa volta Christopher Nolan non ci guida nei sogni degli uomini (come in 'Inception') ma piuttosto nei loro incubi e nelle loro paure (...). Nel segreto di un centro sotterraneo (...)alcuni scienziati lavorano per trovare un futuro, cioè un pianeta in qualche lontano sistema che possa ospitare l'umanità in fuga. Così un ex pilota convertito all'agricoltura (Matthew McConaughey) viene scelto insieme alla bella Amelia (Anne Hathaway) e ad altri due scienziati per guidare una missione spaziale che potrebbe anche non tornare più. È a questo punto che un film fino ad allora credibile e interessante (anche se un po' menagramo) si perde nell'intellettualismo come i suoi eroi nello spazio. E l'ambizione più o meno confessata di essere il '2001: Odissea nello spazio' del terzo millennio si sfarina come un pulviscolo nell'atmosfera. Troppe spiegazioni scientifiche che richiedono almeno tre lauree in fisica teorica, troppe ambizioni filosofiche, troppe storie (...) ma soprattutto troppa confusione. Non si capisce che cosa stia veramente a cuore a Nolan, se la voglia di sperimentare anche nella fantascienza la sua passione per i rompicapi narrativi (ricordate 'Memento' e 'Insomnia'?) oppure ribadire di fronte a tutte le teorie catastrofiche sul futuro dell'umanità la forza salvifica dell'amore o ancora immaginare laicamente per l'uomo un futuro di sviluppo cognitivo che lo porterà a creare nuove dimensioni spazio-temporali... Certo, alcune sequenze come quelle dell'attraversamento del buco nero sono di grande fascino visivo e non si può negare al regista l'ambizione di fare un cinema-cinema, che schermi Imax e rifugga dalle miniaturizzazioni televisive. Ma i «buoni propositi» annegano in un eccesso di semplificazioni new age e di complicazioni teoriche, di orgoglio nazionalista e sfiducia umanistica, per finire nel più scontato messaggio a favore della famiglia e dell'amore filiale. Viene da rimpiangere l'universo di Batman e delle sue avventure fumettistiche dove gli obblighi produttivi lo costringevano a stare con i piedi per terra e non gli permettevano di sperimentare una libertà condannata alla fine proprio dal suo eccesso di ambizione, che toglie visionarietà e forza fantastica là dove ce ne sarebbero volute in dosi massicce. E torna alla mente quel piccolo capolavoro di 'La Jetée' di Chris Marker, dove con qualche fotografia in bianco e nero e in soli 28 minuti si dicevano più cose sul futuro dell'umanità, la memoria e la labilità della felicità di quante Nolan ne dica in 163 interminabili minuti." (Paolo Mereghetti, 'Corriere della Sera', 6 novembre 2014)
"(...) attesissimo kolossal di Christopher Nolan, da prender su senza tante spiegazioni. Come pure bisogna accettare, evitando di farsi troppe domande, che misteriose entità abbiano predisposto nei paraggi di Saturno un 'wormhole', una specie di buco spazio-temporale che permette di accedere ad altre dimensioni. (...) lo spettatore non digiuno di fantascienza impiegherà al massimo un'oretta per capire come il film andrà a finire. Circondato dall'aura di cineasta più osannato dagli internauti, Nolan si era sentito accreditare in anticipo il suo film di 'nuovo Odissea nello spazio'; però 'Interstellar', pur bello e suggestivo almeno per metà, non è il capolavoro annunciato. Con i titoli precedenti (da 'Memento' alla trilogia del 'Cavaliere oscuro', a 'Inception'), il regista inglese aveva praticamente cambiato la nostra percezione del racconto; senza riuscire, tuttavia, a tradurre sempre dei concetti complessi in termini chiari. Ora, Nolan è uno dei pochissimi registi che possono realizzare un film a grosso budget come vogliono, con minime ingerenze degli studios. Così, questa volta, ha avuto facoltà di mettere in scena il Cosmo e raccontare ciò che l'umanità deve attendersi mediante una vicenda di amore tra padre e figlia, col babbo costretto a essere eroe ma lacerato dal desiderio di restare con la sua bambina (la cui esistenza, però, dipende dalla sua missione). Una delicata alchimia di cosmico e intimo, insomma, forse più vicina alla sensibilità dello Steven Spielberg di 'Incontri ravvicinati del terzo tipo' che non a quella di Nolan. Non ne trae beneficio la narrazione, che a tratti si fa confusa e inceppata; nonché appesantita da frasi sentenziose sulla genitorialità ('Siamo i fantasmi del futuro dei nostri figli'), il destino dell'umanità ('Non siamo fatti per salvare il mondo. Siamo fati per lasciarlo') e tante altre cose - anche troppo - impegnative. Fino ad arrivare al paradosso che, pur con memorabili sequenze spaziali, più che di un film di immagini, 'Interstellar' finisce per essere un film di parole." (Roberto Nepoti, 'La Repubblica', 6 novembre 2014)
"Più Matarazzo che Kubrick. Più un amorazzo padre-figlia - tranquilli, nulla di incestuoso (...) - che una 'fantasofia' degna di spartire qualcosa con quegli illustri predecessori cinematografici che non guardavano il dito né la luna, ma l'ignoto spazio profondo. No, 'Interstellar' non è '2001: Odissea nello spazio', tantomeno il 'Solaris' di Lem/Tarkovskij, resta solo da capire che posto ha nella filmografia di Christopher Nolan: 'interstistial', perché da 'Memento' alla trilogia del Cavaliere Oscuro passando per 'Inception' il regista inglese ha fatto decisamente di meglio. Impiega tre ore tre per dirci - sì, dirci più che mostrarci - che la Terra presto non ce la farà più, la polvere coprirà tutto, il grano sarà l'ultimo a crepare ma creperà (...). 'Solo l'amore trascende lo spazio e il tempo', ci può stare, ma il formato famiglia (...) e il formato 70mm Imax non vanno a braccetto verso l'infinito e oltre: il primo è indubbiamente Pro Family, rigoglioso di lacrime registrate, librerie in codice binario e orologi salva-Pianeta, il secondo non è la promessa di felicità visuale che avremmo detto. Nonostante le ambizioni fisico-teoriche (Kip Thorne è stato il cervellone mentore), le potenzialità registiche già apprezzate e la macchina produttiva a disposizione, l'aspetto visivo è deludente, confinato in un'architettura claustrofobica: tunnel di latta per il buco nero, magazzino Ikea per sistemare le cinque dimensioni e un'uniforme irresolutezza che dà nell'occhio. Il mare verticale, questo sì, è riuscito, ma vuoi mettere con l'oceano di 'Solaris'? Appunto, Nolan non è demiurgico, scopiazza spesso - da '2001' a 'Gravity', passando per 'Poltergeist', 'Cocoon' e (quasi) tutto quel che avete visto e letto, da Malick a Dylan Thomas - e non trova il suo monolite: 'Interstellar' è un film interstiziale sia nel corpus del regista, sia in quello fantascientifico di appartenenza che nella sua stessa poetica. E' un film-parete, un film-intercapedine, malgrado ambizioni, intenzioni e dimensioni (169',165 milioni di dollari di budget) monstre: al massimo, muove una libreria, ma non gli spettatori, a patto di non accontentarsi di qualche emozione telefonata. Pippe astrofisiche, battute al Bacio (sì, il cioccolatino), dialoghi da far presupporre una seconda unità pure per la sceneggiatura sono zavorra troppo gravosa e ipotecano un valore artistico (filosofico?) già compromesso dalla stessa tesi di fondo: non quantistica, ma quantitativa. (...) Rimane, forte, il senso di un'occasione sprecata, di una risposta mancata alla coeva fantascienza (...) di JJ Abrams e compagnia 'désengagé'. Eppure, nonostante le palesi debolezze, le deplorevoli lungaggini, i buchi di script, i colpi di scena fuori bersaglio, 'Interstellar' va visto, e meditato. (...)." (Federico Pontiggia, 'Il Fatto Quotidiano', 6 novembre 2014)
"Dopo tanti film sullo Spazio, eccone finalmente uno sul Tempo. Dopo tanti voli nel buio, ecco un viaggio che ci porta in remote galassie solo per domare la quarta e più inconoscibile dimensione: quella del Tempo. Anche se Nolan la prende alla larga e apre 'Interstellar' addirittura come un western. Con McConaughey, ex cosmonauta costretto dalla carestia in corso sul pianeta a fare l'agricoltore, che prende al lazo (cioè al computer), come un puledro, un drone smarrito sopra i suoi immensi campi di mais. E' il lato poema cosmico, alla Terrence Malick, che ispira scene di gran fascino ma sottolinea anche i punti deboli di un film ambizioso quanto contraddittorio. Da un lato la forza visionaria che nasce dal voler raffigurare ciò che non si è mai visto. Dall'altro una sceneggiatura laboriosa, a tratti retorica. Centrata affettivamente sulla relazione fra questo Ulisse vedovo, pronto a partire con un pugno di audaci in cerca di pianeti abitabili per salvare l'umanità, e la figlia bambina che resta sulla Terra con il nonno e il fratello. (...) Nolan e la sua troupe compiono sforzi formidabili per far volteggiare quella macchina narrativa su cui hanno caricato di tutto. Teorie quantistiche, dialoghi scientifico-barocchi, forse veridici ma impenetrabili ai non specialisti, scene d'azione un po' ovvie e altre, assai superiori, di grande forza visionaria. Come quella, decisiva, che vede Cooper dibattersi in una specie di tunnel impossibile disegnato da Escher. Nonché personaggi fragili e strumentali, con poche eccezioni: lo scienziato Michael Caine, sua figlia Anne Hathaway, ma soprattutto il geniale robot Tars, che con quel nome da tassa sui rifiuti è un automa fatto di materiali riciclati, un incrocio tra una caldaia e un aspirapolvere ma pieno di humour e incredibili risorse. Impossibile non pensare, per contrasto, alla leggerezza, alla semplicità, all'immensa portata poetica e metaforica del geniale 'Gravity' di Alfonso Cuaron. A Nolan non interessa la semplicità, d'accordo. Però «L'amor che move il Sole e le altre stelle» non lo ha scoperto lui. Forse anziché Dylan Thomas, che cita, doveva rileggere Dante." (Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero', 6 novembre 2014)
"Con il suo nuovo film, Christopher Nolan gioca sul contrasto fra affetti familiari e sentimento collettivo della specie; mescola versi di Dylan Thomas e ipotesi scientifiche (probabilmente plausibili, visto che uno dei produttori esecutivi è il fisico Kip Thorne); crea verdi distese di granoturco ed immense onde in mari sconfinati, gallerie gravitazionali e spazi mentali a cinque dimensioni. Decisamente troppo materiale da gestire nell'ambito di un film, pur lungo 168 minuti, che comincia come 'Signs' e prosegue sulle orme di 'Gravity' senza dimenticare Spielberg e il Kubrick di '2001' (opera amatissima da Nolan e ampiamente citata), per poi passare a un sottofinale memore di 'Inception'. E tuttavia, nonostante l'innesto del registro epico/concettuale sulla sfera intimista resti poco convincente e gli interpreti (il vibrante McConaughey a parte) abbiano ruoli stinti, 'Interstellar' fa dimenticare i suoi buchi drammaturgici infilando una serie di sequenze di rara e conturbante potenza: immagini di una bellezza che non è solo spettacolare, ma anche pregna di quegli aneliti metafisici, di quello spirito pionieristico che la società attuale ha sepolto sotto i dibattiti su Pil e Spread. Suggestiva la partitura di Hans Zimmer su uno sfondo sonoro che alterna fracasso assordante ad attimi di silenzio assoluto; i tanti soldi spesi si vedono tutti e, visto che parliamo di un'arte industriale, non è l'ultimo dei meriti." (Alessandra Levantesi Kezich, 'La Stampa', 6 novembre 2014)
"Un kolossal fantascientifico che, nella sua essenza, è principalmente un film sulla paternità. Christopher Nolan è uno degli autori più intelligenti (sempre più rari, purtroppo) del panorama cinematografico mondiale. Pur con alle spalle capolavori come 'The Prestige' (il suo film migliore), mai, come in questa occasione, il regista era riuscito a toccare le corde emotive dello spettatore, pur immergendo l'epopea spaziale che fa da motore a 'Interstellar' in rigorose teorie scientifiche (complicate da seguire per lo spettatore). Qui c'è molto di 'Contact' e di '2001. Odissea nello spazio' di Kubrick, ma anche del positivismo di Spielberg. Durasse un trentina di minuti di meno, sarebbe quasi perfetto. (...) Un'Odissea nell'ignoto, con finale decisamente a sorpresa, che ruota intorno ai concetti di famiglia, sacrificio, cooperazione, speranza. Con l'amore si possono abbattere le barriere del tempo e dello spazio. E con la maestria di Nolan si girano film così emozionanti." (Maurizio Acerbi, 'Il Giornale', 6 novembre 2014)
"È arrivato 'Interstellar'. Che secondo molti cinefili sarà il film dell'anno. Che secondo i fan più sfegatati di Christopher Nolan (quello del 'Cavaliere oscuro') sarà la replica del nuovo secolo a '2001: Odissea nello spazio'. Risposta a entrambe le aspettative. Sì, se non «il» film della stagione, sarà tra i primi dieci. Quanto al confronto con Kubrick, beh, non allarghiamoci troppo. Kubrick era un genio (e '2001' fu uno dei suoi picchi). Nolan è solo geniale. Un grande regista postmoderno, che ha grossissime ambizioni, ma quando si accorge di volare troppo alto, ha un istinto quasi belluino per ri-poggiare i piedi a terra. Certo, come nel precedente 'Inception' lo spettatore lo mette a dura prova. In quel film rischiavi di uscire matto coi suoi continui passaggi di dimensione. Matto non uscivi se sceglievi di abbandonarti alle emozioni. Idem per 'Interstellar', che di scene «da vivere» ne offre parecchie. Dall'ondata gigante che minaccia di travolgere l'astronave al finale che Nolan ha voluto in uno scenario di miseria e di morte da film sulla Grande Depressione." (Giorgio Carbone, 'Libero', 6 novembre 2014)
"Da una storia dal solido impianto scientifico, grazie alla consulenza del fisico Kip Thorne (...), sceneggiata con il fratello Jonathan, il quarantacinquenne londinese Christopher Nolan, l'autore, fra gli altri, di «Memento», «Inception», «Prestige»,«Il cavaliere oscuro» (trilogia), ha realizzato «Interstellar», un'ambiziosa space-opera visivamente affascinante, impressionante: rielaborate in una versione doviziosamente e inequivocabilmente personale, vi si rintracciano figure, situazioni, immagini, scene di film di Stanley Kubrick («2001: Odissea nello spazio») di Andrej Tarkovskij («Solaris»), di Terrence Malick («The Tree of Life»), di Ridley Scott («Alien»), di Robert Zemeckis («Contact»). Un'opera narrativamente inconsueta dal semplice incipit: in un futuro imprecisato la razza umana per l'aggravarsi inarrestabile della mancanza di cibo si avvicina all'estinzione: non le resta che cercar rifugio su un altro pianeta. (...) Rimarchevole per l'eccezionale realizzazione tecnica, «Interstellar», formidabile racconto fantascientifico, in cui le ragioni del cuore si scontrano, componendosi, con le verità della scienza, è una monumentale epopea spaziale realisticamente raffigurata, di cui si fissano nella memoria sequenze eccezionali come quella della navicella in mezzo agli anelli di Saturno. Esaltazione della brama di conoscenza e di avventurosa affermazione e conquista (vi aleggia, tipica dell'epica americana, la sfida ad ogni possibile frontiera), il nono lungometraggio di Nolan è un'opera composita, che si svolge su piani diversi, nel corso della quale egli tesse un inno all'istinto di sopravvivenza nella ricerca di nuove terre, un inno dagli accenti forti e sommessi dedicato anche agli affetti familiari, alla perseveranza d'amorosi sensi, ai sentimenti, che oltrepassano e vincono i limiti di spazio e di tempo." (Achille Frezzato, 'L'Eco di Bergamo', 13 novembre 2014)