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Una misteriosa pandemia nata in Cina ha colpito l'intera umanità, generando un'apocalisse zombi. A dieci anni dalla fine della guerra che ha distrutto la maggior parte delle tracce storiche del passaggio degli uomini e quasi segnato l'estinzione della nostra razza, le storie di coloro che sono sopravvissuti al conflitto sono tutto quello che rimangono della nostra Storia.
Dal romanzo omonimo di Max Brooks
Regia: Marc Forster
Interpreti: Brad Pitt, Mireille Enos, Anthony Mackie, James Badge Dale
Sceneggiatura: J. Michael Straczynski, Matthew Michael Carnahan
Fotografia: Robert Richardson
Montaggio: Matt Chesse
Valutazione Pastorale (dal sito della CNVF della Conferenza Episcopale Italiana)
Giudizio: Consigliabile, semplice
Tematiche: Famiglia; Fantascienza; Guerra; Politica-Società
Il punto di partenza è un romanzo 'horror fantascientifico post apocalittico' scritto da Max Brooks dal titolo "World War Z. La guerra mondiale degli Zombie" (World War Z: An Oral History of the Zombie War) e strutturato su una finta raccolta di interviste a testimonianza dei fatti. Questo artificio letterario creava qualche difficoltà nell'ottica della sceneggiatura, così sì è scelto di raccontare la storia attraverso un solo personaggio cercando di mantenere intatti temi essenziali e punti salienti della trama. Dice Marc Foster: "I film sugli Zombie erano molto popolari negli anni '70. Tornano in auge oggi. Sono una grande metafora, una sorta di incoscienza, lo specchio di quello che sta accadendo nel mondo". Queste premesse sul piano informativo erano utili per offrire maggiori prospettive a questa ulteriore mega produzione americana, che a dire il vero rientra a pieno titolo nel filone catastrofico-avventuroso di recente molto affollato e frequentato con esiti altalenanti. Si dovrebbe aggiungere che nel copione non ci sono grandi novità, e se il ritmo cresce bene verso un buon livello di tensione e di coinvolgimento emotivo è merito proprio di Foster e della sua regia spaziosa e profonda, di inquadrature che aprono infiniti orizzonti visivi, di effetti speciali di affabulante realismo, di un 3D finalmente motivato e pronto ad incidere nel cuore del racconto. Favola moderna? Forse si, perché il traliccio è molto simile all'epos del western (genere americano per eccellenza) con Brad Pitt al posto di John Wayne, con il mondo intero al posto di Fort Apache, con gli zombies al posto degli indiani. E con la famiglia, unico valore da difendere. Almeno non c'è il lieto fine ma una frase che sa di saluto per il prossimo appuntamento. Dal punto di vista pastorale, il film è da valutare come consigliabile e nell'insieme semplice.
Utilizzazione: il film è da utilizzare un programmazione ordinaria e in successive occasioni come proposta spettacolare e di scorrevole intrattenimento.
Per virus, zombi e guerre mondiali ci pensa Brad Pitt. Chi s'accontenta...
World War Z possiede tutte le carte in regola per diventare un successo planetario (e i primi riscontri al botteghino americano sembrano avvalorare questa ipotesi). Storia sulla carta avvincente, ritmo mozzafiato, potenziale visivo da vendere.
E poi Brad Pitt. Il miracolato. Passato incolume dallo spappolamento dello star system hollywoodiano. Prossimo ai 50. Dotato ancora di un certo ascendente ai quattro angoli del globo. E in effetti lui si spende e spande ovunque, per vendere il prodotto ed emendare il pianeta da piaghe, mostri e pestilenze.
Horror virologico World War Z. Brad Pitt è un agente della Nazioni Unite, marito e padre modello. Il mondo invece è un casino. Una misteriosa pandemia sta decimando la popolazione a velocità inimmaginabili. La sintomatologia è romeriana: esseri una volta umani, schiumanti rabbia e nocività, si aggirano feroci in città messe in quarantena cercando non un buon igienista dentale (di cui pure avrebbero bisogno) ma altri umani sani da addentare. Li chiamano “zecche” e non muoiono.
Brad Pitt viene prelevato dai militari, la famiglia messa al sicuro su una piattaforma galleggiante in mare aperto. Lui deve scegliere: o collabora o sarà rispedito con i propri cari nelle fauci dell'epidemia.
Collabora. Scortato dai militari, si sposta da una parte all’altra del globo, nelle viscere dell’infezione. Deve osservare, trovare una cura, fare attenzione a non farsi azzannare. Va di qua e di là, dalla Corea del Sud, culla del morbo, a Gerusalemme, dove il grande Muro della Salvezza (sic!) è stato eretto per isolare la città e separare il grano dei salvati dal loglio dei dannati. Altrove l’inferno.
World War Z gioca, ma non troppo, con i materiali della cronaca e i sinistri simboli del nostro evo: in una delle scene più riuscite uno degli zombie riesce a infilarsi nell’abitacolo di un aereo scatenando il panico. In un’altra questi corpi macilenti, nel tentativo di risalire il Muro di Cui Prima, si ammassano gli uni sugli altri in una formazione iconica d’infausta memoria (Auschwitz?).
Più che ai Morti viventi di Romero, lenti, politici e poco temibili, World War Z guarda però ai quasi coevi 28 giorni dopo, Io sono leggenda e La città verrà distrutta all’alba, con i quali condivide un’idea di messa in scena meramente fisica e una spiccata vocazione spettacolare.
Scritto da Matthew Michael Carnahan (Leoni per agnelli, State of Play) e diretto dal discontinuo Marc Fortser (Monster's Ball, Quantum of Solace), il film nasce nel solco dell’ossessione epidemiologica di questi anni. Contagi finanziari, virus informatici, focolai del terrorismo, marketing virale. Il lessico patologico dell’era globalizzata. Un tempo che, ha scritto Ugo Volli, persegue la salute ma in effetti crede solo nella realtà della malattia.
Prodotto moderno, World War Z - in cui fa capolino anche il nostro Pierfrancesco Favino in un ruolo a sorpresa ma non completamente necessario - presta il fianco a un simbolismo elastico che autorizza ogni sorta di lettura: nulla vieta di vedere negli Zombie un esercito di rivoltosi senza patria e senza missione che minaccia la distruzione del mondo occidentale e delle sue fondamenta (la famiglia). Né cogliere, accanto al tradizionale approccio sociopolitico, riferimenti allo smottamento delle culture, ai pericoli della scienza, ai paradigmi pervertiti della globalizzazione.
Del resto l’epidemia è, sin dai tempi di Tucidide, uno stratagemma narrativo formidabile. Crea un climax, produce conflitti, rivela i nostri lati peggiori. E’ un motivo che rimanda tanto al rischio dell’autodistruzione umana quanto al bisogno della sua palingenesi.
Il cruccio è che in World War Z le potenze (reali e allegoriche) del virus esplodono solo in parte. Forster & Co. avevano tra le mani l'immagine di un mondo governato dal panico, saturo, mosso e in perenne movimento. Lo shock psico-sensoriale poteva essere esasperato da un utilizzo aggressivo del 3D, la visione seduta sopra una bomba ad orologeria. E' prevalsa invece la prudenza, l'ottica sulla - per la - famiglia. Un giro di giostra dove tutto scorre davanti, senza mai toccarci, disturbarci. L'eco pesantemente attutita di un “presentimento inesorabile”, quello di cui parlava Baudrillard. Un sentimento d’attesa, d’angoscia, di cui non si può dire altro se non il ritmo. L’idea che non c’è più tempo. (Gianluca Arnone)
"Gli zombie di Romero erano lenti e catatonici, quelli di Marc Forster in 'World War Z' sono rock e in un attimo si pappano golosi mezza Filadelfia e mettono a soqquadro il mondo iniziando dal traffico impazzito di una giornata di straordinaria follia. (...) Il nuovo apocalittico e catastrofico blockbuster 3D da 170 milioni di dollari è un mix divertente di storie da fine del mondo. Ci sono transformer, aerei in panne con zombie a bordo (la parte migliore), cadaveri in svendita, per finire in un laboratorio scozzese da scienziati pazzi dove Pierfrancesco Favino offre un'intonata partecipazione straordinaria e il nostro Brad troverà l'antidoto contro i non morti in un finale che dire semplicistico è poco. Ma il film promette e mantiene senza negarsi nulla, neppure qualche richiamo agli 'Uccelli' hitchcockiani, emozioni forti, qualche glossa sotterranea di politica estera e il dubbio amletico se salvare i propri cari o tutti gli altri, fra cui sono anch'essi. (...) Se Romero con pochi soldi faceva vagare i non morti in non luoghi, Forster tradisce alla grande il libro basato su testimonianze collettive. E basa il racconto sull'eroe controvoglia, il divo 50enne Brad che si trova a suo agio senza fare il salvatore muscoloso ma con una sfumatura evangelica. Di una cosa siamo certi, che i non morti torneranno: il genere, appunto, non è morto come dimostra pure la rigogliosa produzione tv." (Maurizio Porro, 'Il Corriere della Sera', 27 giugno 2013)
"Il bestseller di Max Brooks, ispiratore del film, è strutturato nella forma di una serie di interviste postbelliche a testimoni di svariate nazionalità che vanno a costruire un convincente quadro delle cause ideologiche e religiose che potrebbero condurre a una calamità globale di tali proporzioni. Nel trasferimento al cinema le ragioni dello spettacolo hanno avuto la meglio su quelle politiche, ma Forster ha saputo calibrare gli ingredienti alternando apocalittiche scene, come quelle di Philadelphia e Gerusalemme, a sequenze di suspense più claustrofobiche: il tutto con l'occhio a un certo modello di film impegnato degli Anni 70 e forte di una star di accattivante spessore umano, cosicché lo spettatore vede volentieri il destino della Terra affidato nelle sue mani. Il cast (con la brava Mireille Enos di 'The Killing' e una buona partecipazione del nostro Favino) è ben assortito, ma va da sé che con i lunghi capelli biondi, il fisico aitante e lo sguardo limpido, Pitt è il vero centro motore del film." (Alessandra Levantesi Kezich, 'La Stampa', 27 giugno 2013)
"Non saremmo qui a parlare dell'ennesimo aggiornamento dell'immaginario legato alla saga degli zombie, senza il talento letterario di un grande inventore di mondi televisivi e cinematografici come Richard Matheson, morto due giorni fa all'età di 87 anni. (...) Senza dichiararlo, George A. Romero, saccheggiò il romanzo quando girò 'La notte dei morti viventi', film seminale di tutta la serie degli zombie. Dal romanzo furono fatti poi tre adattamenti cinematografici con Vincent Price, Charlton Heston e da ultimo Willy Smith. Gli zombie hanno avuto una ciclicità stagionale al cinema. Quest'ultima versione, interpretata da Brad Pitt e prodotta dalla sua Plan B, prende le mosse da un romanzo, 'World WarZ: An Oral History of the Zombie War' di Max Brooks (figlio di Mel), libro originale fin dal titolo e innovativo nello spunto, visto che trasforma la guerra tra i vivi e i morti in una sorta di storia orale intorno al mondo raccolta da un ispettore dell'Onu che intervista superstiti di ogni etnia e ceto sociale alla ricerca del «paziente zero». Il film, nella sceneggiatura più volte rimaneggiata, si distanzia dal libro pur mantenendo alcuni aspetti importanti, come il «giro del mondo», sottolineando il venir meno della centralità americana, non più unica eroina contro ogni Male. (...) Dal momento che il «genere» è dichiarato, subito s'innestano in automatico i meccanismi tipici della serie, anche se qui ci sono alcune novità. La più importante è che 'World War Z' rinuncia all'horror e allo splatter, facendo di questa versione dei morti viventi la più algida e asettica di sempre, senza neanche un goccio di sangue (era questo un diktat della Paramount che voleva per il film un rating PGI3). Non considerando invece una novità il dinamismo frenetico degli zombie 2.0, tradizionalmente lentissimi, introdotta da Dan O'Bannon in 'Il ritorno dei morti viventi' (anche se qui gli infettati raggiungono velocità e poteri inauditi) l'altra vera novità riguarda la scala planetaria dell'azione. E qui dobbiamo soffermarci sul momento più politico del film, anche questo elemento ricorrente della serie, sin dai tempi di-Romero che aveva dato una versione anti-razzista ai suoi zombie. Brad Pitt, dopo un passaggio in Vietnam, scopre che l'unico Stato ad essere incontaminato è quello di Israele, grazie proprio all'esistenza del fatidico muro che li ha difesi dai palestinesi e ora dagli zombie. Non si arriva certo ad affermare questa insostenibile equivalenza, visto che vengono fatti entrare come su di un'Arca di Noè tutti gli uomini non infetti, compreso i palestinesi, anche se rimane una sottile ambiguità! Anche quella roccaforte però cadrà... Questi dunque sono gli zombie della nostra estate tra terrorismo, politica e crisi mondiale. Tutti sulla stessa barca." (Dario Zonta, 'LUnità', 27 giugno 2013)
"Se i mostri come Frankenstein e Dracula spaventano perché «diversi» e i fantasmi terrorizzano chi teme la solitudine, gli zombi sono lo spauracchio dell'omologazione, sin da quando negli anni Cinquanta l'invasione degli ultra-colpi alludeva alla minaccia del comunismo. In 'World War Z' Marc Forster rispolvera la paura di quel «qualcosa» che ci rende tutti orribilmente uguali e confeziona un B movie di lusso che si lascia guardare volentieri pur rimpastando tutto quello che abbiamo già visto sul tema. A tentare di bloccare l'epidemia globale che trasforma gli esseri umani in violenti non morti è Brad Bitt, e il film sembra dirci due cose. La prima: non è più tempo di guerra, per fermare il nemico ci vuole cervello, non lo sterminio. La seconda: ciò che ci rende diversi, dei veri esseri umani, è la famiglia alla quale non dobbiamo mai rinunciare." (Alessandra De Luca, 'Avvenire', 27 giugno 2013)
"Dal libro di Max Brooks, è 'World War Z', diretto dall'altalenante artigiano Marc Forster ('Monster's Ball', 'Quantum of Solace') interpretato e prodotto da Brad Pitt, uno degli ultimi divi globali. Uno status che è croce e delizia, e questo tormentatissimo film conferma: lo spirito inclusivo di Mr. Pitt e della sua casa di produzione Plan B ha cambiato le immagini in tavola, tanto che le sequenze mostrate due mesi fa dalla distribuzione Universal e il film finito (...) non collimano. Se già il romanzo distopico di Brooks era stato violentato (...) a più riprese dalle riscritture del copione, qualcosa è mutato ancora al montaggio definitivo: il residuo zombie-movie dalle implicazioni geopolitiche e dall'abbondante ricorso al plasma in chiave gore ha lasciato il posto a una versione riveduta e corretta per famiglie, della serie 'e sopravvissero felici e contenti'. Prevedibili polemiche, violenza e war-movie sono finiti nel fuoricampo (...) le incursioni splatter emendate da un editing anemico. (...) taglia qui e ritaglia lì, trama e ordito risentono dell'Odissea rimaneggiata, stigmatizzano le ellissi e tradiscono plurime incongruenze. Se Forster non ha alcun potere contrattuale, il direttore della fotografia tre volte premio Oscar Robert Richardson 'dicunt' se ne volesse andare: paradosso, 'World War Z' avrà un sequel. Tant'è. Troppo preso dalla sua immagine Mr. Pitt, troppo tremebondi gli Studios - Paramount - per non tornare sui propri passi, con quattro occhi al box office: del resto, ha recentemente vaticinato Spielberg, se oggi tre film a grosso budget (World War Z è costato 190 milioni di dollari) floppano, Hollywood va a gambe all'aria. Dunque, Gerry/Brad elegge la soldatessa israeliana Segen a dama di compagnia e si limita a mandare cartoline in (nocivo) 3D dall'apocalisse, sacrificando il ritmo, anestetizzando il pathos, rinfoderando la spada di Damocle. I non-mortali al ralenti di Romero (e Brooks) nel cassetto, i '28 giorni dopo' di Danny Boyle ricordati senza profitto, 'World War Z' riesce nondimeno nel miracolo: dichiarare guerra agli zombie facendo pace con le famiglie. Sì, mancano solo le Sister Sledge sui titoli di coda: 'We are Family'." (Federico Pontiggia, 'Il Fatto Quotidiano', 27 giugno 2013)
"Piacerà a chi da questo kolossal horror da 170 milioni di dollari si aspettava il blockbuster dell'estate. Sarà servito. A rigore 'World War Z' è un B movie gonfiato. (la scena dell'invasione zombica su un aeroplano ha lo spessore intellettuale di un filmetto per I'homevideo). Però, quanto gonfiato bene. I cacciatori d'adrenalina avranno tantissimo pane per i loro denti. Dall'incipit della battaglia della metropoli alle varie tappe di Pitt alla ricerca del luogo di nascita del virus. II climax è certamente quello dell'attacco a Gerusalemme. La città santa è diventata, forse non a caso, l'ultimo baluardo dell'umanità contro l'invasione. Gli israeliani si sono asseragliati dentro, accogliendo (...) un bel numero di palestinesi non ancora contagiati. Come i loro antenati a Masada duemila anni fa hanno innalzato un muro altissimo, invalicabile e da lì resistono a ogni attacco. Quasi ogni attacco. A Masada c'erano le legioni romane ad assediare. Ma qui gli assedianti sono più tosti. E meno stupidi di quello che la letteratura zombica ha mai raccontato. Il muro di Gerusalemme è invalicabile? E loro formano un'enorme, altissima piramide umana per arrivare in cima. Certo 'World War Z' è destinato a deludere chi magari s'aspettava sì il kolossal, ma arricchito da qualche idea non banale sul nostro futuribile. Il romanzo di Max Brooks che ha fornito lo spunto ne aveva eccome, ma Brad Pitt, quando ha deciso di produrre il film, ha preso solo il pretesto narrativo (lui pensava al blockbuster). Già, Pitt, il quale ha soavemente dichiarato che 'World War Z' l'ha concepito come pellicola d'azione da portarci i figli. Pitt, ma sei fuori? Gli zombi di Romero e C. erano dei fantoccioni che non facevano paura a nessuno. I tuoi sono bestiacce che i piccini si sogneranno finché saranno impuberi." (Giorgio Carbone, 'Libero', 27 giugno 2013)
"Non pensiate al solito film di zombie perché questo è un signor thriller che vi terrà inchiodati sulla poltroncina. (...) il nostro Pierfrancesco Favino, piacevole sorpresa e convincente performance. Con l'aggiunta di zombie davvero inquietanti." (Maurizio Acerbi, 'Il Giornale', 27 giugno 2013)