Mercoledì 28 marzo - Ore 21:00
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E' la storia di una famiglia del Midwest negli anni cinquanta attraverso lo sguardo del figlio maggiore, Jack, nel suo viaggio personale dall'innocenza dell' infanzia alle disillusioni dell' età adulta in cui cerca di tirare le somme di un rapporto conflittuale con il padre (Brad Pitt). Jack - che da adulto è interpretato da Sean Penn - si sente come un'anima perduta nel mondo moderno che vaga nel tentativo di trovare delle risposte alle origini e al significato della vita, tanto da mettere in discussione anche la sua fede.
In concorso al Festival di Cannes 2011
Regia: Terrence Malick
Sean Penn, Brad Pitt, Joanna Going, Fiona Shaw, Tom Townsend, Jessica Chastain, Jackson Hurst, Crystal Mantecon, Lisa Marie Newmyer, Pell James, Tamara Jolaine, Jennifer Sipes, Will Wallace
Sceneggiatura: Terrence Malick
Fotografia: Emmanuel Lubezki
Montaggio: Hank Corwin, Jay Rabinowitz, Daniel Rezende, Billy Weber
Musiche: Alexandre Desplat
Durata:
Sito ufficiale: 2 ore e 19 minuti
Valutazione Pastorale a cura della Commissione Nazionale Valutazione Film della CEI
Giudizio: Consigliabile, problematico, dibattiti
Tematiche: Bibbia; Famiglia; Metafore del nostro tempo; Tematiche religiose
Nato nel 1943, Malick ha girato appena quattro film a partire dall'esordio nel 1973 con "La rabbia giovane". Questo n° cinque è ancora una volta destinato a spiazzare e disorientare. Attraverso lunghi, sofferti flasback, il racconto dipana l'evolversi dei rapporti tra genitori e figli, il padre duro e rigoroso, la madre tenera e remissiva. Dopo la frase iniziale tratta da Giobbe, ecco il copione dirigersi sui sentieri impervi e scoscesi del rapporto tra Bene e Male. Malick si affida alla descrizione di una vera e propria Cosmogonia: una lunga parentesi dedicata al Mondo in ebollizione tra eruzioni, lave e sommovimenti tellurici. Siamo al centro del Caos, da cui nascerà la Terra, ossia, dopo gli animali preistorici con la loro bruta ferinità, l'uomo e la donna. Quindi la bellezza del Creato e la caduta nel peccato. Dalla Macrostoria dei pianeti e dei mondi lontani nel cielo si discende alla microstoria, rappresentata dalla cittadina del Midwest. L'uomo solo nell'universo? Malick immagina un aldilà desolato e poetico, luogo del possibile incontro tra Fede e Speranza. Film difficile da raccontare, fatto di pagine visionarie che lo avvicinano ad un poema epico-filosofico, denso di spiritualità se non di afflato religioso. Film per niente accomodante, al quale bisogna lasciarsi andare e che, dal punto di vista pastorale, è da valutare come consigliabile, problematico e adatto per dibattiti.
Utilizzazione: il film può essere utilizzato in programmazione ordinaria, ben ricordando che si tratta della proposta di un'opera affascinante e complicata, che dura 140'.
Poetico e sperimentale, mistico e realistico, epico e intimistico: in Concorso, il nuovo Malick sfida ogni convenzione
Il sipario di Cannes si alza sul film maggiormente atteso degli ultimi anni, svelando una delle opere più ambiziose concepite in cento anni di storia del cinema. L'oggetto misterioso prende forma sotto i nostri occhi attoniti e impreparati, si direbbe persino inadeguati (a giudicare dalle reazioni istericamente negative di una parte del pubblico presente in sala). Un grumo di emozioni intense e suggestioni visive inedite che nessuna prosa verbale può sperare, neppur lontanamente, di evocare. Malick si spinge in territori formalmente inesplorati per interrogarsi sul senso stesso della vita, il mistero della sua creazione e quello (se possibile) ancora più grande della sua fine.
Poetico e sperimentale, mistico e realistico, epico e intimistico: The Tree of Life sfida ogni convenzione, fa piazza pulita di tutti gli stereotipi narrativi, prescinde dalle logica di causa ed effetto alle quali la prosa cinematografica ci ha da sempre abituati. Le consuete tensioni che condizionano la vita di una comunità familiare sono messe in relazione con la genesi stessa dell'universo, le dinamiche psicologiche scatenate dalla morte di un figlio evocano i fenomeni intempororali che segnano l'evoluzione magmatica del cosmo, i conflitti umani acquistano una profondità sconvolgente nella prospettiva della primordiale contrapposizione fra innocenza e violenza, natura e spirito, realtà bruta e bellezza trascendente. Non credevamo più possibile ritrovare al cinema (dove ogni storia sembrava già essere stata raccontata, e ogni immagine mostrata), la verginità di uno sguardo capace di reinventare la banalità di un gesto quotidiano, arricchendolo di profondità insondabili e (in parte almeno) mai esplorate con altrettanta intensità.
I temi di Malick sono gli stessi sui quali si sono interrogati da sempre i filosofi: il silenzio di Dio e l'indifferenza della natura, la tentazione innata del male e l'alternativa impervia della grazia, l'immensa forza dell'amore e l'infinito rovello dei sensi di colpa. E, alla fine, il mistero indecifrabile della morte che, sola, può dare un senso alla vita. Si può non condividere il misticismo di Malick e opporre resistenza alla sua concezione fideistica dell'universo. Ma non si può rimanere indifferenti di fronte allo splendore visivo e alla intensità emotiva di un film che si spinge là dove pochissimi sinora avevano osato avventurarsi. (Alberto Barbera)
"Si esce frastornati dalla proiezione di 'The Tree of Life': per la forza delle immagini, la sacralità dei temi ma anche per la complessità e l'oscurità di troppi dettagli e scelte registiche. Terrene Malick non è mai stato un regista facile e i suoi quattro precedenti film ci hanno insegnato che l'inquadratura di un fiore o di un filo d'erba può essere importante come un dialogo o una scena intera. Qui però la sua ambizione vola ancora più in alto, alla ricerca di quell' 'opera-mondo' capace di dire insieme la complessità e la semplicità della Vita e della Storia. (...) E quello che appare evidente al 'filosofo' Malick (ha insegnato questa materia per anni), il 'cineasta' Malick si sforza di metterlo in immagini, senza preoccuparsi né della linearità narrativa né delle aspettative del pubblico. (...) Più che pensare ai film precedenti di Malick, per misurare l'ambizione dell'operazione sarebbe giusto rifarsi a '2001: Odissea nello spazio', forse anche al segmento stravinskiano di 'Fantasia'. Ma in quei film c'era sempre la razionalità a organizzare la materia: qui si ha l'impressione che il regista si sia fatto guidare dall'intuito, dalla visionarietà, dall'ambizione, senza chiedersi fino a dove la sua scommessa fosse intellegibile. Così, dopo essersi fatti affascinare da immagini straordinarie, dopo aver seguito la scoperta delle durezze della vita attraverso gli occhi di un adolescente e aver capito che il sogno americano (...) rischia di farci perdere il senso profondo della realtà, restiamo comunque con qualche dubbio, come di fronte a un'opera di cui si ammira l'ambizione ma che finisce anche per esserne un po' soffocata." (Paolo Mereghetti, 'Il Corriere della Sera', 17 maggio 2011)
"L'unico film finora fischiato al Festival di Cannes, fra tanti mediocri, è l'opera più attesa del festival e della stagione cinematografica, 'The Tree of Life' del leggendario Terrence Malick. Il capolavoro annunciato, la Palma d'Oro sicura, il quinto film in quarant'anni del più carismatico artista vivente, ha spaccato la sala della prima mondiale fra chi gridava al genio e chi alla boiata pazzesca. Ma, tanto per cominciare, si tratta del segno del vero artista. (...) Il conflitto fra un autoritario padre e una madre d'infinita dolcezza dà vita a scene di soverchiante potenza visiva e in parallelo incarna la lotta eterna fra Natura e Grazia, egoismo e amore. Senza mai scadere nell'univocità del Bene contro Male, ma con uno sguardo carico di una pietas d'altri tempi, anzi d'altre ere. Qui si dispiega il genio dell'autore della 'Sottile linea rossa'. (...) Dove è più difficile avventurarsi è nel prologo e nell'epilogo filosofico-scientifico-religiosi, che avvolge la piccola grande vicenda degli O'Brien in una parabola di miliardi di anni, dal Big Bang alla futura morte del pianeta, passando per i dinosauri. Vi si ammira l'erudizione di Malick, dalla laurea ad Harvard, alle traduzioni di Heidegger, agli ultimi anni trascorsi a discutere di universi paralleli con i maggiori astrofisici del mondo. Ora, sarebbe sciocco dividere il giudizio in due. La parte cosmogonica è funzionale alla narrazione, ne inquadra il senso e il valore d'insegnamento etico sull'importanza dei sentimenti." (Curzio Maltese, 'La Repubblica', 17 maggio 2011)
"'The Tree of Life' è un compendio estremo delle tematiche e della poetica di Terrence Malick, l'autore che contende a Kubrick il primato del regista più misterioso e meno prolifico dei cinema americano. Partendo da un prologo di valenza mistico-metafisica (troppo lungo, troppo esplicito, verrebbe da dire: ma, eliminandolo, il risultato finale sarebbe lo stesso?), l'autore scende nel cuore di un singolo nucleo familiare per ricostruire su toccanti frammenti di memoria (dell'adulto Sean Penn, allora ragazzino, e non solo) un'infanzia dominata da due figure a contrasto: un padre (prova assai matura di Brad Pitt) dall'ego troppo rigido e una madre (la virginea Jessica Chastain) fonte di puro amore. Resa fantasmatica dal velo della distanza, quella infanzia assume un significato che ci riguarda tutti: mostra da un lato il percorso di continuità (anche crudele) della natura e della specie, dall'altro l'immanenza nelle cose umane di una atemporale spiritualità. Forse 'The Tree of Life' è opera non sempre calibrata, ma quanti film ci regalano l'emozione di penetrare in una dimensione dell'anima?" (Alessandra Levantesi Kezich, 'La Stampa', 17 maggio 2011)
"Il più atteso, il più pretenzioso, il più fischiato (dalla critica). Si può riassumere così 'The Tree of Life', il film che segnava il ritorno sul grande schermo di Terrence Malick, quattro pellicole all'attivo in quarant'anni di carriera. (...) Un po' troppo eppure troppo poco, perché l'innesto fatica ad attecchire, la grandezza visionaria raggiunge il manierismo, la storia in sé (padre duro e insoddisfatto delle proprie realizzazioni che vorrebbe imporre ai figli la propria volontà, madre dolce e comprensiva, ragazzi ribelli in cerca del proprio io) abbastanza tradizionale. Naturalmente, Malick conosce il mestiere, e lo conosce bene: gli attori, Brad Pitt in primis, rispondono magnificamente, luci costumi, inquadrature sono da manuale, la sensibilità estetica che gli è propria permette degli effetti pittorici di grande suggestione, c'è un uso sapiente della tecnologia." (Stenio Solinas, 'Il Giornale', 17 maggio 2011)
"In principio era il cinema, e il cinema era presso Dio. E il Verbo di Terrence Malick e 'The Tree of Life' dice moltissimo, pure troppo: una scala infinita, autobiograficamente eretta in una famiglia texana anni 50 per salire su verso il cielo e giù lungo la storia del cosmo, compresi dinosauri e Big Bang. Sulla scorta di Giobbe, si parte dal conflitto Natura e Grazia e si arriva panicamente alla comprensione del tutto, a una novella Città della Gioia, dove Jack (adulto Sean Penn) potrà riconciliarsi con il padre-padrone Brad Pitt. Ma non c'è narrazione, quanto (di)mostrazione, in un film-mondo che offre risposte ed elude domande: una cosmogonia assoluta, totalitaria e iper-americana, che rivela il senso della vita per il regista, ma per lui solo. Affascinante, ambiziosissimo e irrisolto: è l'Albero del bene e del Malick, in prima persona autoriale. Ed esclusiva." (Federico Pontiggia, 'Il Fatto Quotidiano', 19 maggio 2011)
"Non è un fulmine di guerra l'introverso regista texano Terrence Malick, che ha cominciato la carriera nel 1973 e a Cannes ha portato la sua quinta opera. Una ogni sei e mezzo dunque. Tutte noiosissime. Tanto è vero che la critica snob ne va pazza. Dicono che non ami farsi fotografare, di sicuro non concede interviste e la leggenda vuole che il suo studio sia precluso perfino alla moglie. Chissà se alla poveretta verrà risparmiata la visione del suo ultimo film, 'The Tree of Life', che non sarebbe neanche brutto se non fosse infestato da due interminabili e incomprensibili parentesi filosofeggianti sulla nascita del mondo e sul senso della vita. Con apparizioni di dinosauri, colate di lava, funghi atomici, deserti, spiagge, montagne, il tutto inondato da funeree musiche sacre, roba insomma da far scappare Piero Angela. Accanto a questa doppia razione di fuffa d'autore, si snoda un dramma familiare intenso e crudele, ambientato negli anni Cinquanta a Waco, guarda caso, città natale di Malick. (...) Avvertenza: non fidatevi delle locandine. Sean Penn, spacciato come protagonista, appare dieci minuti scarsi. Sempre a naso in su tra i grattacieli, ai giorni nostri. Forse cerca un altro film." (Massimo Bertarelli, 'Il Giornale', 20 maggio 2011)