Mercoledì 14 marzo - Ore 21:00
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Il dottor Anton, che opera in un campo profughi in Africa, torna a casa nella monotona tranquillità di una cittadina della provincia danese. Qui si incrociano le vite di due famiglie e sboccia una straordinaria e rischiosa amicizia tra i giovani Elias e Christian. La solitudine, la fragilità e il dolore, però, sono in agguato e presto quella stessa amicizia si trasformerà in una pericolosa alleanza e in un inseguimento mozzafiato in cui sarà in gioco la vita stessa dei due adolescenti.
Regia: Susanne Bier
Interpreti: Mikael Persbrandt, Markus Rygaard, William Jøhnk Nielsen, Trine Dyrholm, Ulrich Thomsen, Anette Støvelbæk, Toke Lars Bjarke, Camilla Gottlieb
Sceneggiatura: Susanne Bier, Anders Thomas Jensen
Montaggio: Pernille Bech Christensen
Durata: 1 ora e 53 minuti
Miglior film straniero
Valutazione Pastorale (dal sito della CNVF della Conferenza Episcopale Italiana)
Giudizio: consigliabile, problematico, dibattiti
Tematiche: Adolescenza; Amicizia; Famiglia - genitori figli; Male; Matrimonio - coppia; Solidarietà-Amore
Dice Susanne Bier che "il film esplora la nascita delle relazioni violente nei figli adolescenti e le difficoltà degli adulti che, con l'esempio personale, tentano di indicare la strada del comportamento civile, arrivando a 'porgere l'altra guancia'. Ci si chiede se la nostra cultura 'avanzata' sia il modello per un mondo migliore o se piuttosto il caos sia in agguato sotto la superficie della civilizzazione". Due ragazzi che saranno uomini, e due uomini in difficoltà a rapportarsi con loro: la partitura drammatica messa in scena dalla Bier e dal suo sceneggiatore parte da situazioni tristemente ordinarie (il bullismo a scuola, le liti per futili motivi in strada) e scarta all'improvviso su percorsi collaterali tanto imprevisti quanto rischiosi. Anton cerca di trasferire nel contesto 'moderno e avanzato' di Copenaghen la pazienza, la solidarietà, la fiducia che mette nel lavoro tra i disperati in Africa. Ma ci sono ferite su entrambi i fronti: fisiche da un lato, interiori dall'altro, nell'uno e nell'altro caso si tratta di recuperare la dignità violentata dell'essere umano. E' una rivoluzione etica quella che il copione azzarda. Un sogno coraggioso e provocatorio, un nuovo inizio a partire dal perdono. Una proposta che il buonismo contemporaneo rifiuta, se è vero che alla c.s. al festival di Roma la regista si é sentita accusare di aver ceduto ad un finale troppo 'mieloso'. La Bier si conferma autrice attenta e inquieta, e il film, dal punto di vista pastorale, é da valutare come consigliabile, problematico e adatto per dibattiti.
Utilizzazione: il film é da utilizzare in programmazione ordinaria, e in seguito come proposta per avviare riflessioni sui molti temi importati che affronta. In ogni caso attenzione é da tenere per la presenza di minori e piccoli, anche in vista di passaggi televisivi o di uso di dvd o di altri supporti tecnici.
Ambizioso e riuscito apologo morale su famiglia, educazione e non-violenza: attori perfetti, la Bier al suo meglio
Non sappiamo se l’auspicio della Bier si realizzerà, se vivremo domani In un mondo migliore. Di certo il cinema della regista danese ha fatto un bel passo avanti. Non è nuovo il suo film, bensì attuale. L’attualità non è il contenuto ma il gesto, l’atto di chi vuol afferrare il reale totalmente: cinema-mondo.
In gioco non tanto il presente, ma le modalità con cui la Cultura, l’Autore, possono e devono farsene carico. Se è vero - per la Bier certamente lo è - che il mondo è sprofondato nel caos, al momento fondativo e originario, tutto deve essere azzerato e rimesso in discussione, compresi assoluti morali e categorie di giudizio con cui siamo abituati a decifrarlo. Come se all’apice della sua complessità - che poteva ancora suggerire uno sguardo analitico, periferico e situazionale - il reale fosse esploso di colpo, disintegrando quadro, etica e cornice.
La Bier va oltre lo schianto, non si accontenta di registrare le macerie, ma vuol ricomporre, ri-edificare. Assistita dal solito Thomas Jensen (sceneggiatura), si chiede quale prezzo siamo disposti a pagare per difendere gli ideali; che efficacia può avere l'educazione in un mondo rassegnato alla violenza; che futuro consegnare al futuro. In breve circoscrive vulnus e destino dell’Occidente. Senza per questo rinunciare al suo stile eccitabile e arrovellato, al cote familiare, alla meccanica della passioni. Marchi di fabbrica verrebbe da dire, se non fossero grumi di un clima diffuso, tutto mal di pancia e frenesia, emotività e (melo)dramma. E se lo script non lesina scorciatoie drammaturgiche, è il cinema a fare la differenza, ad autenticare tutto grazie alla partecipazione con cui la regista danese aderisce ai conflitti dei suoi personaggi, alle piaghe del loro vissuto personale, alla fragilità di modelli e progetti di vita. Non trascura nessuno - padri e figli, mogli e mariti - quasi che l'estasi e il tormento di ciascuno fosse in fondo anche il suo.
La scena sembra frazionata, è interiorizzata, si rivela intrecciata: il bullismo e la scuola, la separazione e il lutto e, per tutti, fatica di vivere, riottosità sociale (che mina autorità e sistemi educativi: del resto come porgere l'altra guancia quando gli altri conoscono solo la legge del pugno?), l'indisponibilità degli affetti, il livore comunitario. Siamo in Danimarca, potremmo essere ovunque. Eppure il ritorno in patria ha giovato alla Bier che, dopo il mezzo passo falso americano (Noi due sconosciuti), ritrova cuore, viscere e macerazione in un dramma morale che interpella lo spettatore mettendolo a disagio, tirandolo in mezzo. Da osservatore a osservato. Decisiva la scelta di eludere il racconto di formazione classico, utilizzando l’infanzia come termometro dei conflitti che agitano il presente.
Questi figli - questi, non i citrulli del cinema italiano, il cui
respiro, al confronto, somiglia a un rantolo - sono la posta in gioco di
domani. La Bier intercetta un malessere reale, ne prende parte, si
schiera. Alterna tensione e quiete, dilata tempi e temi, compone
immagini, musica e fotografia in un affresco impressionista e kantiano.
Cerca dentro i suoi personaggi - e negli attori diretti alla perfezione
- una legge morale (ancora) possibile.
Nei cieli stellati presagi
dell'avvenire. Il suo, continuando così, sarà di sicuro radioso.
(Gianluca Arnone)