Maria aspetta una bambina, non è incinta più ma aspetta lo stesso. Aspetta che sua figlia nasca, o muoia. E se c'è una cosa che Maria non sa fare è aspettare. E' per questo che i tre mesi che deve affrontare, sola, nell'attesa che sua figlia Irene esca dall'incubatrice, la colgono impreparata. Abituata a fare affidamento esclusivamente sulle proprie forze e a decidere con piena autonomia della propria vita, Maria si costringe ad un'apnea passiva che esclude il mondo intero, si imprigiona nello spazio bianco dell'attesa. Ma questo sforzo di isolamento doloroso consuma anche l'ultimo filo di energia a disposizione: la bolla di solitudine in cui Maria si è rinchiusa è messa a dura prova e alla fine esplode. E' necessario che Maria salvi se stessa per riuscire a salvare la bambina. Non c'è che una soluzione: consentire al mondo di irrompere nella propria esistenza e concedersi il privilegio di ritornare a vivere. E così inventarsi la forza per accompagnare Irene alla nascita.
Soggetto tratto dall'omonimo romanzo di Valeria Parrella.
Regia | Francesca Comencini |
Sceneggiatura | Francesca Comencini |
Federica Pontremoli | |
Fotografia | Luca Bigazzi |
Montaggio | Massimo Fiocchi |
Margherita Buy | Salvatore Cantalupo |
Guido Caprino | Maria Paiato |
Gaetano Bruno | Antonia Truppo |
Valutazione Pastorale (dal sito dell'Associazione Cattolica Esercenti Cinema - ACEC)
Giudizio: Complesso - problematico - dibattiti
Tematiche: Donna; Famiglia - genitori figli; Matrimonio - coppia
Dal libro della Parrella, Francesca Comencini in Concorso con la madre-non madre Margherita Buy. Femminile e discreto
Dal libro omonimo di Valeria Parrella (Einaudi), Francesca Comencini porta in Concorso a Venezia Lo spazio bianco, commedia drammatica interpretata da una misurata Margherita Buy, tra le papabili per la Coppa Volpi.
E’ lei a portare sullo schermo la 40enne Maria, e il suo "paradosso": aspetta una bambina, ma non è più incinta, ovvero attende che la sua piccola Irene, accolta a sei mesi dall’incubatrice, nasca o muoia. Abbandonata dal compagno (Guido Caprino) di una notte o poco più, sostenuta unicamente da un collega insegnante e dagli alunni attempati di una scuola media serale, Maria cerca in sé le forze per tornare a vivere dopo la "botta" e dare vita alla bambina, sulla scia solidale dell’exemplum di una vicina magistrato e di altre donne nella sua medesima condizione.
Dopo il corale e sociologico A casa nostra, la Comencini sceglie un close-up sull’essere donna oggi, che dalla prospettiva particolare, se non "insolita", di una madre non ancora madre riesce nondimeno a illuminare l’hic et nunc dell’Italia in rosa, di cui denuncia - sommessamente ma neanche troppo - discriminazioni, difficoltà e aspirazioni. Con piccole falle di sceneggiatura e qualche caduta di coerenza drammaturgica (prolissità, sequenze oniriche e flashback poco amalgamati, napoletanità a tratti macchiettistica) non sempre ereditati dal libro, Lo spazio bianco è un piccolo film senza clamori, ma dignitoso e discreto, con un pubblico d’elezione femminile, a cui probabilmente saprà dire di più e meglio che a noi. (Federico Pontiggia)
La Comencini ripiega sul privato per raccontare l'altra faccia della crisi. Più aperta alla speranza
Se A Casa nostra era stato il mosaico cupo, macroscopico, dell'Italia oggi, Lo spazio bianco ne è un intimo frammento, un riverbero interno. Là era l'intreccio di misfatti pubblici e disfatte private a delineare le proporzioni della crisi – politica, collettiva, morale -, stavolta il procedimento è sineddotico, il taglio personale, il malessere circoscritto, ma l'effetto di risonanza non meno contestuale. Nell'adattare l’omonimo romanzo di Valeria Parrella, Francesca Comencini ha operato uno slittamento decisivo, trasformando il disagio interiore in inquietudine generale, lo smarrimento del singolo in spaccatura sociale. Il dramma di una madre – Maria (tra le prove migliori di Margherita Buy), che aspetta la nascita definitiva della figlioletta Irene, nata prematura e imprigionata in un'incubatrice dalla quale non sa se uscirà mai – che rifrange un'angoscia più grande. Non è sbagliato parlare di dramma vaginale per l'ultimo film della Comencini, ma limitante sì. La regista non ha voluto fare un film sulle e per sole donne, ma costruire attorno alla solitudine di un personaggio un’atmosfera, un colore ambientale. La storia che racconta Lo spazio bianco è a densità zero: non succede nulla, tutto è attesa, ripetizione, sonorità musicali e interiori. E' un film liquido dove è facile scivolare fuori, smarrirsi. La Comencini dice tutto dove non racconta nulla, nella messa in scena di una Napoli atipica, sempre deserta, nelle volte in cui ci fa vedere la Buy al telefono mentre "parla" con nessuno, nelle parentesi oniriche, talvolta forzate, come quella del balletto in ospedale con le altre "madri in attesa", tutte nude ad eccezione della protagonista, incapace fino in fondo di spogliarsi, di consegnarsi senza difese. E' da questa ritrosia ad aprirsi all’altro, in questa crisi di fiducia che la Comencini riparte per avviare un nuovo confronto tra cinema , società e politica. Più aperta alla speranza stavolta. In attesa che dall'incubatrice prima o poi esca anche l'Italia. (Gianluca Arnone)