Sabato 1 marzo | Ore 21:00 |
Domenica 2 marzo | Ore 16:00 e 21:00 |
Gegè, Luca, Gabriella, Chiara, Ernesto, Alfredo, Marco e Flavia hanno in comune quell'ora settimanale in cui si ritrovano tutti insieme per fare terapia di gruppo dall'anziana dottoressa Lojacono. Ed è lì che li vediamo per la prima volta. E sono talmente presi dal raccontarsi che neanche si sono accorti che la psicanalista è morta sotto i loro occhi. Allora decidono di continuare a vedersi settimanalmente per proseguire le sedute di terapia da soli.
Carlo Verdone (Gege) |
Regia | Carlo Verdone |
Antonio Catania | Montaggio | Claudio Di Mauro |
Margherita Buy (Flavia) |
Scenografia | Maurizio Marchitelli |
Stefano Pesce (Marco) |
Fotografia | Danilo Desideri |
Fiamma Satta |
Sceneggiatura | Carlo Verdone Piero De Bernardi Pasquale Plastino |
Anita Caprioli (Chiara) |
Musiche | Lele Marchitelli |
Durata: 1h e 56'
"Film corale, capitanato da Verdone nei panni di Gegé, cinquantenne dominato ancora dalla figura ingombrante del padre. Fra gli altri in terapia spiccano Margherita Buy, Anita Caprioli, Antonio Catania. Un bel cast di attori italiani per un autore che cerca di uscire dalle strettoie della gag e di ritrovare il tono giusto della commedia amara e di costume. Verdone tenta la carta della svolta definitiva e il film è dedicato a tutti coloro che hanno nostalgia dell'autore di 'Compagni di scuola' e di 'Maledetto il giorno che ti ho incontrato'". (Piera Detassis 'Panorama', 5 dicembre 2002)
"Vitale, divertente, in complesso ottimista, 'Ma che colpa abbiamo noi' è un film tutt'altro che banale o semplificatorio. Nessuno si aspetta da Verdone un trattato sulla psicanalisi, d'accordo: le esigenze dello spettacolo restano in primo piano; a tratti, magari, prendono un po' la mano. (...) Ciò non toglie che le tipologie umane e relative nevrosi siano trattate con sensibilità e autenticità, che lo sguardo posato sulle insicurezze contemporanee appaia maturo, comprensivo, piacevolmente rasserenato. Il tutto, poi, immerso in un bel ritmo da commedia nera, di respiro più internazionale della corrente produzione italiana. Bene assortito il gruppo degli interpreti, che stanno in parte con entusiasmo e convinzione. O sono solo bravi, oppure un po' di terapia di gruppo, durante le riprese, l'hanno fatta davvero". (Roberto Nepoti, 'la Repubblica', 11 gennaio 2003)
"Ci perdoni Carlo Verdone se proprio non ci riesce di condividere due suoi pallini cinematografici: Margherita Buy e la psicanalisi (ammesso ci sia la differenza). Maledetto il giorno che i tre si sono incontrati e speriamo si perdano di vista: se no lui si fa indurre all'inevitabile ottimismo trionfante che scolora i finali e impedisce la 'melanconicità' (stile 'Compagni di scuola'), lei gorgheggia titubanze perenni, Freud fa sempre capolino in versione acqua e sapone (...) Gag, amarezze, amori cibernetici, etero e gay che spasimano per l'anima gemella altrui, mammoni, bobbisti, forzati del sonno in vagone, adepte del sesso mercenario: tutti uniti per scoprire la psicanalisi e la malattia della quale pretenderebbe di essere la cura". (Alessio Guzzano, 'City', 10 gennaio 2002)
"Il 2003 del cinema italiano si apre in modo promettente con questo film: uno spettacolo divertente che non rinuncia all'intelligenza e al buongusto, professionalmente impeccabile, privo di spocchia pur avendo le caratteristiche del prodotto autoriale. Nel gestire la sua popolarità, Verdone non vive di rendita e procede in controtendenza. Anziché buttare un film sull'altro, lavora per mesi alla sceneggiatura e ne cura la realizzazione con meticolosità maniacale. Nel caso in esame si profila poi un valore aggiunto, da talento in perfetta crescita. Incarnando un personaggio parente dello Zeno di Svevo, a disagio con la figura paterna come con le donne e la società, Carlo, pur lavorando assai sulle psicologie, sa menare l'affondo che garantisce la risata. Il tutto all'interno di una scelta che pochi comici accetterebbero: infilarsi in un concertato alla pari". (Tullio Kezich, 'Corriere della Sera', 4 gennaio 2003)
"Splendido cinquantenne e autore dal fermo e solidissimo mestiere Verdone conferma occhi attenti e sguardi non banali (si pensi, per esempio, all'assai psicoanalitica scena d'apertura: quel dolly che entra nell'antica casa, mentre le voci si rincorrono fuori campo), e una sapientissima maestria nella direzione degli attori, di cui piace segnalare la raggiunta maturità della finora solo bella Anita Caprioli, la riuscita recidività di Margherita Buy e il coraggioso spirito di adattamento della grimaldiana Lucia Sardo. Se c'è un difetto è nella parte centrale, qua è là prolissa, dove par di capire quanto l'autorattore romano non abbia avuto il cuore di tagliare. Per amore dei 'suoi'. E per non dover dire, mi dispiace". (Aldo Fittante, 'Film Tv', 14 gennaio 2003)
"Ha impiegato un anno e mezzo Carlo Verdone a preparare il suo nuovo film dopo l'imprevedibile flop di 'C'era un cinese in coma' L'autore l'ha scritto con Piero De Bernardi, Pasquale Plastino e Fiamma Satta, come dire quattro mesi e mezzo a testa. E adesso attende con trepidazione il giudizio del pubblico, quello nordista per tradizione meno caloroso nei suoi confronti di quello centro-sudista. Entrambe le fette, comunque, probabilmente stufe delle commedie sulle nevrosi da psicanalisi. Colpa esclusiva del depresso cronico Woody Allen, intendiamoci, che ci ha rifilato almeno una decina di pellicole in tema. 'Ma che colpa abbiamo noi', che nel titolo ricalca chissà perché una vecchia canzone dei Rokes, è una commedia difficilmente destinata a lasciare un segno nella storia del nostro cinema, ma comunque meritevole di essere vista. Intanto è ben fornita di umorismo e al tempo stesso è priva di volgarità, due perle rarissime a Cinecittà. Peccato che, tanto per restare in argomento, nell'albo d'oro di Verdone, ci sia un altro film, più riuscito e forse anche più divertente, 'Maledetto il giorno che t'ho incontrato', guarda caso anche quello con Margherita Buy. Le quasi due ore, se servono a mettere a fuoco vizi e virtù di tutte le figurine in cammino, sono eccessive, perché la pur pungente satira sulla psicanalisi, si sfarina, rischiando di far passare in sottordine le molte battute folgoranti. Quasi un'occasione sprecata". (Maurizio Cabona, 'Il Giornale', 10 gennaio 2003)
"Tra 'Compagni di scuola', di cui accoglie e potenzia l'impianto corale, e 'Io e mia sorella', da cui preleva l'equilibrata misura dei personaggi per lo sfondo di amarezza del sorriso, c'è questo ventesimo lungometraggio di Verdone a cui va l'affetto, prima di ogni giudizio, per la sincera inquietudine alla ricerca di un'opera complessa e divertente non ancora raggiunta e inutilmente anelata. Ma se invece andasse bene così? Forse quando Verdone abbandonerà il residuo di un vetusto complesso di inferiorità che non ha più ragione di esistere?". (Silvio Danese', Il Giorno', 24 gennaio 2003)
"Eccezionale: una commedia italiana che parla di psicoanalisi, che segue gli otto pazienti di una terapia di gruppo, e che non sfotte, non fa battute ignoranti, non descrive macchiette, non ridicolizza, ma si limita ogni tanto a un'ironia leggera. In uno dei suoi film più riflessivi e cauti, Carlo Verdone racconta coralmente personaggi la cui malattia rappresenta l'esasperazione nevrotica di guai e malesseri esistenziali tra i più comuni e diffusi: il che permette agli spettatori di identificarsi con loro, e consente al regista di esaminare il nostro alterato presente". (Lietta Tornabuoni, 'La Stampa', 24 gennaio 2003)
"Con 'Ma che colpa abbiamo noi' Carlo Verdone tenta la commedia corale. Una bella piroetta per un comico a vocazione mattatoriale già definito il nuovo Fregoli. In realtà di film corali Verdone ne ha diretti altri due, 'Compagni di scuola', a tutt'oggi il suo migliore, e 'Viaggi di nozze', più facile ma senz'altro godibilissimo. Ma che colpa abbiamo noi vorrebbe collocarsi a metà strada fra la ferocia del primo e il tratto caricaturale del secondo, con qualche ambizione in più sul fronte della commedia umana. (...) Ma il film, scritto da Verdone con Piero De Bernardi, Pasquale Plastino e Fiamma Satta, non regge fino in fondo il salto a una dimensione più drammatica, anzi giocando su due tavoli finisce col disperdere il proprio potenziale comico. Per dirla in psicoanalese, il Super Io 'adulto' di Verdone impedisce al suo inconscio irridente di sfrenarsi in libertà, e francamente è un peccato". (Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero', 10 gennaio 2003)