Sabato 31 marzo - Ore 21:00
Domenica 1 aprile - Ore 16:00 e 21:00
Ulisse, un ex discografico di successo, vive nel retro del suo negozio di vinili e arrotonda le scarse entrate vendendo "memorabilia" su e-bay. Ha una figlia, Agnese, che vive a Parigi con la madre Claire, un'ex cantante. Fulvio, ex critico cinematografico, scrive di gossip e vive presso un convitto di religiose. Anche lui ha una bambina, di tre anni, che non vede quasi mai a causa del pessimo rapporto con l'ex moglie Lorenza. Domenico, in passato ricco imprenditore, è oggi un agente immobiliare che dorme sulla barca di un amico e, per mantenere ben due famiglie, fa il gigolo con le signore di una certa età. Ha un rapporto conflittuale con i due figli più grandi ed è perennemente in ritardo con gli alimenti da versare alla sua ex moglie e all'ex amante Marisa, da cui ha avuto un'altra figlia. Dopo un incontro casuale, durante la ricerca di una casa in affitto, Domenico realizza di avere incontrato due poveracci come lui e propone ad Ulisse e Fulvio di andare a vivere insieme per dividere le spese di un appartamento. Inizia così la loro convivenza e la loro amicizia.
Regia: Carlo Verdone
Interpreti: Carlo Verdone, Micaela Ramazzotti, Pierfrancesco Favino, Marco Giallini, Diane Fleri, Nicoletta Romanoff, Nadir Caselli, Valentina D'Agostino, Maria Luisa De Crescenzo, Giulia Greco, Gabriella Germani, Roberta Mengozzi
Sceneggiatura: Carlo Verdone, Pasquale Plastino, Maruska Albertazzi
Fotografia: Danilo Desideri
Montaggio: Antonio Siciliano
Musiche: Gaetano Curreri, Fabio Liberatori
Valutazione Pastorale (dal sito della CNVF della Conferenza Episcopale Italiana)
Giudizio: Complesso, brillante
Dice Verdone nelle 'note di regia': "Non riesco a vedere il mio lavoro non attento alla realtà che stiamo vivendo (...) Sulla carta questo soggetto non sembrava molto adatto per una commedia, ma la convivenza forzata dei tre poteva far scattare momenti divertenti nella inevitabile conflittualità dei loro caratteri e delle loro abitudini (...) Ho voluto sinceramente raccontare un'emergenza sociale di oggi attraverso una commedia. Un serio problema rappresentato senza alcuna presunzione, con serietà ma anche efficace ironia...". I risultati sono in linea con queste premesse. Passati i sessanta, Verdone, insieme ad alcuni suoi abituali collaboratori, costruisce un copione che prevede tre protagonisti, a ciascuno dei quali affida il compito di rappresentare uno spicchio dell'attuale disagio generazionale: per sè conferma il ruolo dell'uomo semplice, autentico, legato a passioni giovanili che faticano a diventare lavoro (la musica) eppure destinato a subire gli strali della cattiva sorte. Non tutti i guai del terzetto sembrano, a dire il vero, da attribuirsi alla sfortuna (Domenico scherza un po' troppo su mogli e figli vari; Ulisse all'inizio vorrebbe che la figlia abortisse...) ma il recupero finale va nelle giusta direzione di ridare fiducia e importanza alle giovani generazioni, ossia agli adulti di domani. Al personaggio interpretato da Giallini, Verdone affida i momenti di comicità più diretta e scoperta; su di sé e su Favino misura invece gli effetti dell'incontro tra preoccupazione, amarezza, sorriso, tra le delusioni affettive e quelle professionali. Sulle note di un colorato spartito da commedia all'italiana, l'attore/regista disegna i chiaroscuri di 'emergenze' vere: la famiglia, la casa, il lavoro, la convivenza con sconosciuti. Il campanello d'allarme e l'umorismo suonano insieme: siamo invitati a non confonderli. Dal punto di vista pastorale, il film è da valutare come complesso e certamente brillante.
Utilizzazione: il film è da utilizzare in programmazione ordinaria e in seguito come proposta di commedia italiana ritratto della attualità e della quotidianità. Per alcuni momenti, attenzione è da tenere per minori e piccoli anche in vista di passaggi televisivi o di uso di dvd e di altri supporti tecnici.
Molte generazioni, un solo paese: tra rimpianti e precariato, l’italiano di Verdone ride amaro
Rimpiangere il passato o detestare il presente? Pende comunque dalla parte sbagliata la bilancia esistenziale dei tre protagonisti di Posti in piedi in paradiso. Un discografico di successo (Verdone) travolto da onde sonore sintonizzate sui nuovi mercati; un imprenditore rovinato dal vizio del gioco e dall’azzardo in camera da letto (Giallini); un critico cinematografico (Favino) caduto in disgrazia con il proprio direttore per averne sedotto (per email!) la moglie.
Tre moschettieri dalla spada spuntata e le calze bucate, eternamente in bolletta e stretti nella morsa dei matrimoni falliti, dei figli a carico e degli alimenti da pagare. Vite tremebonde e terremotate, smarrite e speculari, costrette nella trincea di un appartamento bombardato dal passaggio della metropolitana, tagliato fuori dal mondo, con poco campo (per i cellulari) e anche meno spazio (per vivere).
Il dominio della crisi si è esteso fino a intaccare il cinema di Carlo Verdone, al suo ventitreesimo film da regista. Se Io, loro e Lara terminava con l’espatrio (volontario) del comico romano, il ritorno in patria è da apolidi, lo scenario sconosciuto, scomodo, ristretto. Disponibili solo posti in piedi. Sospinta da una grande allucinazione collettiva la nave Italia è andata avanti senza rendersi conto che il mare delle possibilità e della ricchezza (il paradiso) intanto si stava prosciugando. Nelle secche son finiti tutti, tanto che la generazione dei 60, 50, 40enni – provvida solo di nostalgie e rimpianti – può confondersi con le successive – quella dei nati precari (che sono in definitiva più preparati, ergo più responsabili dei loro padri) - e condividerne infamia e destino.
Dentro questa visione d’insieme, disincantata e a tratti feroce (climax raggiunto con la festa di compleanno della Ramazzotti), Verdone non ha più nemmeno bisogno di orchestrare farse e indossare maschere (come sempre felice la scelta dei volti): la realtà è diventata talmente iperbolica e sfasciata, deformata e finta, che è sufficiente rispecchiarla. Si ride di riflesso, ma guardarsi fa male. Quei posti in piedi sono anche per noi. (Gianluca Arnone)
"L'Italia salvata dai ragazzini, ovvero gli adulti di oggi salvati dagli adulti di domani. Il Bel paese come un covo di morti di fame che per giunta si vergognano di ammetterlo. (...) Come Verdone, che negli ultimi film ha messo il turbo e ha deciso di inchiodare le miserie di questi anni con l'arma del ridicolo. (...) 'Posti in piedi in Paradiso' magari non sviluppa fino in fondo tutti i suoi personaggi e rallenta un poco in sottofinale, quando la macchina comica sterza verso un misuratissimo epilogo sentimentale, ma resta un piccolo gioiello e uno dei rari film comici italiani di questi anni che rivedremo in futuro con piacere. Anche perché Verdone sa rinnovarsi restando miracolosamente fedele a se stesso, anzi ormai quasi esibisce certi tic e certe manie (il rock, i vinili, i malanni come terreno d'incontro amoroso), ritagliandosi a sorpresa un ruolo defilato e quasi tutto di sponda. Per dare massimo spazio ai coprotagonisti: come Giallini con i suoi deliri erotico-mercenari (...). Ma soprattutto una Micaela Ramazzotti al suo meglio. Basterebbe il modo geniale con cui addenta una zolletta di zucchero, i tempi perfetti delle sue scene, il mix di tenerezza e follia, eros e infantilismo, che il personaggio si porta addosso come una seconda pelle, per farne una star. Anche se le star hanno bisogno di tutto un cinema, intorno, e in Italia continuiamo ad avere solo dei film." (Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero', 2 marzo 2012)
"Realizzato su una sceneggiatura ben congegnata e brillante, senza dubbio, di cui sono coautori Pasquale Plastino e Maruska Albertazzi. Ma non si rende del tutto giustizia a 'Posti in piedi in Paradiso' - nuovo film di e con Carlo Verdone, il suo ventitreesimo da regista - se ci si limita a illustrare trama, situazioni e fisionomia dei personaggi come sono stati concepiti in fase di pur eccellente scrittura, dalla quale molto dipende di un gioco di ritmi e incastri così fluido. Bisogna vedere il film e apprezzare come la materia sia stata animata dalle interpretazioni per godere pienamente della riuscita di questa commedia della piena maturità, che riesce a combinare magnificamente il dna tipicamente italiano della commedia che al tempo stesso fa ridere ed è ricca di risonanze drammatiche e sociali, realistiche e malinconiche, con il pieno raggiungimento di uno standard, completo di umori brillanti e romantico-sentimentali, capace di parlare a qualsiasi pubblico di qualsiasi luogo. Carlo Verdone in piena forma, come inventore, come regista, come attore. Si direbbe all'alba di un nuovo ciclo di ispirazione creativa." (Paolo D'Agostini, 'La Repubblica', 2 marzo 2012)
"Mentre tante commedie di voga programmano la scalata al botteghino 'a prescindere' (dall'originalità, dalla qualità, dal buon gusto), Carlo Verdone può centrare il medesimo obiettivo regalando film-film agli spettatori. È questo il senso di ogni nuovo incontro con l'autore romano, uno dei pochissimi (l'unico?) a non avere svenduto la propria popolarità senza peraltro doversi genuflettere ai precettori del cinema d'essai. La prima dote che identifica 'Posti in piedi in Paradiso' è, non a caso, la generosità: maschera ormai storicizzata, puntuale entomologo e cronista del costume, il registattore ha avuto ancora il coraggio di offrire ruoli chiave a un trio di colleghi, personaggi autosufficienti con i quali giostrare in sintonia all'interno di un racconto rifinito e non pretestuoso. (...) 'Posti in piedi in Paradiso' funziona nella corale di signore e signori che ci rassomigliano e proprio per questo non hanno alcun bisogno d'esibirsi come scimmie nelle gabbie dei consueti zoo cinematografici. Peccato solo che si noti uno sfarinamento nei finali prolungati, in cui la beatificazione dei figli più maturi e assennati dei padri sembra a caccia di un approdo un po' troppo riparato." (Valerio Caprara, 'Il Mattino', 2 marzo 2012)
"Carlo Verdone ci dice cose serie. Però divertendoci. Come ai tempi migliori della grande commedia all'italiana. Queste cose serie si dipanano tutte attorno a un problema sociale oggi molto sentito e diffuso, quello dei padri separati che, con ex mogli non di rado aspramente vendicative, finiscono quasi in miseria per pagare gli alimenti e il mantenimento di figli frequentati tra vari ostacoli molto saltuariamente. Il divertimento scaturisce dalla spigliatezza, dal brio e dalla vitalità con cui Verdone, sceneggiatore, regista e attore, ha poi affrontato questo problema con trovate, sorprese, invenzioni che giocano spesso anche con gli accenti della farsa, non cedendo mai, però, al troppo facile, anzi, con risentimenti a volte persino raccolti e pensierosi. (...) Una girandola di situazioni comiche, alcune, appunto, spinte - ma con misura - verso la farsa, con un florilegio di dialoghi esilaranti quasi ad ogni battuta, specie quelle - è la cifra del film - pronunciate con contegno serio. Ripreso, ad ogni svolta, specie verso un finale che tende al lieto, dalla recitazione dei tre: colorata e festosa, ma spesso abilmente interdetta, quella di Verdone; sempre sopra le righe ma con misure magistrali, quella di Giallini; comicamente dignitosa tra impacci e imbarazzi quella di Favino. Non dimentico in mezzo a loro Micaela Ramazzotti. È una cardiologa con molte traversie sentimentali. Alla fine però sarà felice anche lei. Insieme con il pubblico, che è tutto una risata. (Gian Luigi Rondi, 'Il Tempo Roma', 2 marzo 2012)
"È una straordinaria commedia dell'incompatibilità, questo 'Posti in piedi in Paradiso' di Carlo Verdone. Incompatibilità fra uomini e donne. Fra padri e figli. Fra coinquilini coatti. Fra desideri e bisogni. Fra uomini e oggetti. Come raramente capita di vedere in un film italiano, 'Posti in piedi in Paradiso' è pieno di letti che si schiantano, di armadi che cadono, di braccioli di divano che si staccano. Nello stesso tempo rigurgita di coppie che scoppiano, di amori che si rompono, di legami che si spezzano. Come nella miglior tradizione, il lavoro del comico consiste, prima di tutto, nel fare a pezzi il mondo. Nel far deflagrare le sue maschere. Per poi provare, ridendo, a rimettere insieme i pezzi. I modelli di riferimento sono alti: 'La strana coppia' (1968) di Gene Sacks e 'L'appartamento' (1960) di Billy Wilder. Dal primo Carlo Verdone riprende l'idea dei maschi da poco divorziati che coabitano nello stesso appartamento, dal secondo l'idea di usare la commedia per mostrare come le condizioni economiche e sociali influiscano sulla dimensione esistenziale e condizionino i sentimenti e le dinamiche sentimentali. (...) In un intreccio in cui tutti gli snodi sono determinati dalla tecnologia (telefonini senza campo, sms, skype, email ed e-bay...), con una Micaela Ramazzotti mai così brava (Marco Giusti: «La Shirley MacLaine svampita del Tiburtino»), Verdone trova un leggerezza quasi wilderiana nel raccontarci con sublime ironia la nuova, ridicola e devastante povertà italiana." (Gianni Canova, 'Il Fatto Quotidiano', 2 marzo 2012)
"Già nel precedente 'Io, Lara e gli altri', Carlo Verdone si era creato una posizione di personaggio che da una parte sta dentro la storia, dall'altra ha una funzione di osservatore sia pur coinvolto. Ovvero, il comico romano che per anni ci ha divertito recitando tipi presi dalla vita - fossero il popolano tracotante o il borghese bigotto - preferisce ora ritagliarsi ruoli costruiti a propria misura. (...) Nel porre sul piatto i problemi economico-affettivi che affliggono parte non indifferente della popolazione maschile, Verdone li affronta con il piglio moralista del comico che ridendo castiga i costumi. Tuttavia il suo è un tono mai sarcastico, riscattato da un sentimento di affettuosa tolleranza verso chi (lui stesso incluso) corre il rischio di deviare dalla giusta via. In questo mondo di adulti confusi e in crisi, il segnale di salvezza stavolta viene dalla generazione dei figli; e anche da una figura femminile, che pur essendo la classica squinternata tanto cara all'immaginario di Verdone, tira fuori a sorpresa un buon senso equilibratore. II personaggio è affidato a Michela Ramazzotti, che lo incarna deliziosamente con una perfetta miscela di tenerezza e tempi brillanti: i suoi duetti con Verdone sono fra i più esilaranti e nell'universo prevalentemente maschile del film la sua presenza accende lo schermo di luminosa leggiadria." (Alessandra Levantesi Kezich, 'La Stampa', 2 marzo 2012)
"Oggetto da maneggiare con cura, il nuovo film di Carlo Verdone, anche e soprattutto nelle chiacchiere da bar. Da quando l'abbiamo visto in proiezione stampa, una settimana fa, sono numerosi gli amici e i colleghi che ci hanno chiesto ansiosi: com'è, com'è? Un nuovo Verdone è sempre un evento e la voglia di risate intelligenti, nonostante tutto, è tanta. La risposta non può che essere doppia: andateci tranquilli, perché si ride parecchio, ma siate pronti, perché è un film tristissimo, quasi disperato. E in questa doppia natura si nasconde l'essenza profonda di 'Posti in piedi in Paradiso', che non è un semplice film comico: semmai una commedia dal contesto amaro, o piuttosto una tragedia con momenti esilaranti (come non sarebbe dispiaciuto a Molière e Eduardo). (...) La bravura sempre più eccelsa del Verdone attore si capisce, negli ultimi film, da come questo impareggiabile mattatore sappia trasformarsi in 'spalla' quando intuisce le potenzialità comiche di un partner. Giallini, strepitoso, è il vero motore comico del film; e anche la Ramazzotti è buffissima, anche se il personaggio dell'imbranata coatta è simile a quelli già interpretati per Avati e Virzì. Quando Verdone usa i sacri strumenti della farsa - come nella scena della rapina, ovviamente disastrosa, e nell'ancor più tragicomica sequenza della festa a casa di Gloria - si muore dal ridere. Ma il contesto, si diceva, è drammatico. 'Posti in piedi in Paradiso' è la vera commedia sulla crisi, il bisogno di denaro è il tirante principale della storia." (Alberto Crespi, 'L'Unità', 2 marzo 2012)
"Si può ridere della solitudine e sopravvivere (di espedienti, equivoci e miserie assortite) anche in una disadorna casa di ringhiera squassata dal passaggio della metro. (...) Si parlerà di ritorno alla commedia all'italiana (si ride molto e non solo, in effetti) senza dimenticare che il segno malinconico di Verdone, una vertigine che attraversa tutti i suoi film, è qui non meno nascosto che altrove. Giallini ricorda il Gassman di Risi, Favino è un critico cinematografico in disgrazia di raro conformismo ed efficacia, Verdone strappa il sorriso con la prima 'periartrite' dopo 20 secondi e Micaela Ramazzotti, strepitosa, è una sciocca che si fa ricordare." (Malcom Pagani, 'Il Fatto Quotidiano', 1 marzo 2012)