Sabato 8 Dicembre - Ore 16:00 e 21:00
Domenica 9 Dicembre - Ore 16:00 e 21:00
Carica di ricordi degli anni di guerra, Gemma si reca a Sarajevo con suo figlio Pietro per assistere a una mostra in memoria delle vittime dell'assedio, che include le fotografie del padre del ragazzo. Diciannove anni prima, Gemma lasciò la città in pieno conflitto con Pietro appena nato, lasciandosi alle spalle suo marito Diego, che non avrebbe mai più rivisto, e l'improvvisata famiglia sopravvissuta all'assedio: Gojko, l'irriverente poeta bosniaco, Aska, la ribelle ragazza musulmana e la piccola Sebina. L'intenso amore e la felicità tra Diego e Gemma non erano abbastanza per colmare l'impossibilità di Gemma a concepire figli. Nella Sarajevo distrutta dalla guerra, i due trovarono una possibile surrogata, Aska. Gemma spinse Diego tra le sue braccia per poi essere sopraffatta dal senso di colpa e dalla gelosia. Ora una verità attende Gemma a Sarajevo, che la costringe ad affrontare la profondità della sua perdita, il vero orrore della guerra e il potere di redenzione dell'amore.
Regia: Sergio Castellitto
Interpreti: Penélope Cruz, Emile Hirsch, Sergio Castellitto, Adnan Hasković, Pietro Castellitto, Saadet Aksoy, Luca De Filippo, Jane Birkin, Mira Furlan, Jovan Divjak
Sceneggiatura: Sergio Castellitto, Margaret Mazzantini
Fotografia: Gianfilippo Corticelli
Montaggio: Patrizio Marone
Musiche: Eduardo Cruz
Dal romanzo della Mazzantini, Castellitto ritrova la Cruz: la storia d'amore tiene, ma la guerra di Sarajevo è fuori fuoco
Gemma (Penelope Cruz) va a Sarajevo per la tesi di laurea e conosce il poeta Gojiko (Adnan Haskovic), la sua comune d’artistucoli e il fotografo americano Diego (Emile Hirsch): scoppia l’amore e la guerra. L’assedio di Sarajevo e l’assillo di una maternità: Gemma è sterile, ma fortissimamente vorrebbe un figlio. Aborti spontanei e poi l’idea a due teste con Diego: trovare una surrogata, ovvero Aska (Saadet Aksoy), e finalmente avere quel bambino a lungo agognato. Tra peripezie e tormenti, il figlio arriva, e con lui in fasce Gemma torna in Italia, lasciandosi alle spalle la guerra, Diego e Gojko. 19 anni dopo, torna con il figlio Pietro (Pietro Castellitto) per una mostra fotografica sulle vittime del conflitto: tra gli scatti, quelli di Diego, e fioccano i ricordi.
Dal romanzo omonimo della moglie Margaret Mazzantini, è Venuto al mondo di Sergio Castellitto, che segna la seconda collaborazione con la Cruz dopo Non ti muovere. Il genere guida è il melodramma, chiamato a tenere insieme il versante pubblico - la guerra di Sarajevo - e quello privato - la guerra e pace di Gemma e Diego. Complice la bravura degli interpreti ben diretti da Castellitto - la Cruz e Hirsch, ma anche Haskovic - i frammenti del discorso amoroso si compongono con un certa armonia, sebbene la lacrima sia facile e l’enfasi questa conosciuta: esagerato, zeppo di musica (basterebbe per dieci film, Castellitto dice che l’ha messa per il pubblico), iperbolico oltre le intenzioni, ma ancora Venuto al mondo terrebbe.
E’ il versante “geopolitico”, viceversa, a franare: battute inopinate, l’orrore della guerra, quando va bene, meramente illustrato, e la sensazione di un passo decisamente più lungo della gamba. Se la regia arpiona qualche bella immagine e brandelli di pathos autentico, il racconto di Castellitto finisce per stigmatizzare il vorrei ma non posso della sceneggiatura scritta da marito e moglie. Ovvero, il libro a cui è sostanzialmente fedele: Venuto al mondo ok, ma come? PS: Lasciamo riposare in pace Matarazzo, davvero non è il caso. (Federico Pontiggia)
"Com'è difficile restare indifferenti alla prosa di Margaret Mazzantini - che ci si lasci trasportare e anche travolgere dal suo gusto forte o che, come fanno quelli che hanno l'aria di saperla lunga, si ostentino alzate di sopracciglio - così sarà difficile restare indifferenti, sottrarsi all'emozione vedendone la traduzione cinematografica firmata dal marito Sergio Castellitto. Che piaccia o meno il risultato. (...) I piani temporali si intersecano. L'impianto è evidentemente e scopertamente melodrammatico. Come 'Il dottor Zivago'. Piena legittimità e dignità, non dovrebbe neanche esserci bisogno di puntualizzarlo e c'è poco da fare gli schizzinosi. L'impressione che passa, per chi conosca il libro (caso in cui è autorizzato il confronto), è che qualcosa del suo vigore vada se non perso un po' disperso. Può darsi che un po' per esempio dipenda dall'enfasi che il calore ridondante del personaggio di Gojko assume nell'incarnarsi in un attore, Adnan Haskovic, peraltro efficace. Può darsi che un altro po', e anzi è proprio su questo fronte che va più puntato il dito, dipenda da Diego (Emile Hirsch), la cui caratterizzazione all'insegna dell'esaltazione sfiora parecchio il rischio dell'americanata molto esteriore. E il dubbio viene accentuato dalla competizione con Penelope Cruz, che è Gemma come già era stata Italia in 'Non ti muovere'. Cruz, cui la maturazione (ma ha solo 38 anni) più il trucco del terzo piano temporale del racconto donano fascino da vendere, è interprete di statura, sensibilissima e mutevole, se stessa e per niente trasformata dal divismo hollywoodiano. Non era facile trovarle qualcuno accanto alla stessa altezza. Se la cava con onore il ragazzo Pietro Castellitto, figlio di Margaret e Sergio, nei panni di Pietro trascinato con sé dalla madre a Sarajevo, rimpiangendo da ragazzetto tirato su nella bambagia la vacanza con gli amici in Sardegna. Mentre Sergio riserva a sé la particina del carabiniere solido rifugio per una donna e un bambino piovuti dalla tragedia. Cospicuo impegno produttivo. Commovente malgrado qualche nota troppo strillata. Ma viva la faccia di un po' di esagerazione". (Paolo D'Agostini, 'La Repubblica', 8 novembre 2012)
"È noto che per restare fedele a un romanzo a volte il cinema deve «tradirlo», un compito che può risultare impervio se a sceneggiare il film è l'autore del libro come nel caso di 'Venuto al mondo', ispirato al best seller di Margaret Mazzantini che ne ha scritto l'adattamento a quattro mani con il regista, Sergio Castellitto. (...) Il problema è che da un certo momento in poi i colpi di scena sono troppi e finiscono con il neutralizzarsi a vicenda sottraendo emozione al romanzo sentimentale e relegando sullo sfondo il motivo della guerra. Peccato perché la regia di Castellitto è matura e gli interpreti (soprattutto Hirsch), finché il copione li sorregge, risultano convincenti". (Alessandra Levantesi Kezich, 'La Stampa', 8 novembre 2012)
"Fummo fra i pochi, qualche tempo fa, a criticare positivamente 'La bellezza del somaro', curioso tentativo di mescolare il grottesco e il surreale con la commedia di costume. Ci spiace dunque registrare, oggi, il fallimento dell'operazione 'Venuto al mondo' (almeno sul piano artistico, su quello commerciale chissà: il romanzo di Margaret Mazzantini è un best-seller e magari il film replicherà tale successo). Colpisce, nel film, l'enorme divario fra le ambizioni e il risultato: 'Venuto al mondo' è una straziante storia d'amore - con annesso struggente desiderio di maternità - sullo sfondo della tragedia di Sarajevo, percorsa in un arco narrativo di trent'anni, dalle Olimpiadi invernali del 1984 al giorno d'oggi. (...) II resto è un susseguirsi di ribaltoni melodrammatici che, durante la visione, ci ricordavano irrefrenabilmente la mitica telenovela di Chiquito e Paquito ai tempi di Avanzi: «Chiquito, io non sono tuo padre, sono tua madre!». Il difetto è nel manico, in un romanzone eccessivo che al cinema era necessario sfrondare. Penelope Cruz, nella parte in cui interpreta una cinquantenne, è truccata come una settantenne del secolo scorso. Altri attori rimangono, nell'arco di trent'anni, sorprendentemente uguali. Recitano tutti sopra le righe, e per di più - nell'edizione doppiata - parlano tutti un italiano perfetto, anche i bambini bosniaci: tutto artificioso, tutto «costruito». Film di grande impegno produttivo, e tra l'altro benissimo girato: ma nel complesso un'occasione perduta". (Alberto Crespi, 'L'unità', 8 novembre 2012)
"È un melodramma che dissemina via via i colpi di scena, facendo aprire i fazzoletti al pubblico più delicato". (Valerio Cappelli, 'La Repubblica', 6 novembre 2012)
"(...) nel film di Sergio Castellitto, da giovedì nelle nostre sale, qualche ferita sembra chiudersi lasciando cicatrici intorno alle quali disegnare fiori. (...) Al racconto dei drammatici momenti della guerra si alterna quello ambientato nel presente, carico di tensioni tra una madre che fa i conti con un doloroso passato e un figlio che non sa. Ma neanche lo spettatore sa tutto fino in fondo. Un colpo di scena nel finale ci rivela la verità su Pietro, una verità dolorosa, ma che è necessario accettare per poter andare avanti. E se fino a un certo punto l'ossessione di Gemma per la mancata maternità e la disperazione che la spinge a comperare il figlio di un'altra donna rischia di incanalare la storia su binari più banali e prevedibili, il ribaltamento finale apre le porte a riflessioni più complesse riguardo le tragiche conseguenze della guerra sulla vita dei civili. Castellitto usa tutte le chiavi del melodramma per riaprire le ferite dei personaggi e farne uscire le emozioni, ma all'odio, alla violenza, allo stupro, alla distruzione si mescolano il bisogno di pace e amore, di amicizia e dolcezza. I personaggi vittime di una tragedia sono pronti a vivere di nuovo: non sarà mai più come prima, ma lo spettro della morte è lontano. Così la sofferenza va di pari passo con la speranza, come dimostrano le scene nel finale che alludono a una vera e propria rinascita, oltre la rimozione, verso una definitiva riconciliazione". (Alessandra De Luca, 'Avvenire', 6 Novembre 2012)
"È la seconda volta dopo 'Non ti muovere' che Sergio Castellitto si ispira come regista a un romanzo di sua moglie, Margaret Mazzantini, sceneggiandolo insieme con lei, ed è la seconda volta che per il personaggio femminile al centro si rivolge a Penelope Cruz. Qui l'attrice spagnola si dibatte in un carattere complesso sempre in equilibrio fra una travolgente storia d'amore e un forte, inappagato desiderio di maternità, soddisfatto alla fine solo per interposta persona. (...) Oggi e ieri, alternati fra loro grazie a un testo cui la regia di Castellitto dà ad ogni svolta molta scioltezza narrativa riuscendo a non far percepire fratture stilistiche fra le pagine intime e raccolte, affidate soprattutto ai tormenti psicologici di Gemma, e quelle corali, desolate e convulse della guerra. In cifre in cui le immagini sanno tenersi sempre nell'equilibrio giusto fra il pubblico e il privato, con un rigore così attento da non smarrire l'incisività neanche in un finale in cui la commozione si fa con prepotenza in primo piano. Il merito va dato anche all'interpretazione di Penelope Cruz che sa disegnare con sapienza sul suo volto i tormenti spesso laceranti di Gemma. Dà vita a Diego l'attore americano Emile Hirsch ('Le belve', 'Killer Joe'). Pietro è Pietro Castellitto, figlio di Sergio e Margaret. Visto di sfuggita in un film del padre, qui è già così esperto da saper reggere anche i primi piani". (Gian Luigi Rondi, 'Il Tempo', 6 Novembre 2012)
"Amore, su tutto, ma anche voglia di maternità, amicizia, guerra, morte, musica, rimozione e stupri etnici. Il tutto per la durata di 132 minuti e con, sullo sfondo, la guerra bosniaca. Insomma fa bene a dire Sergio Castellitto che questo 'Venuto al mondo', (...) tratto dall'omonimo libro della moglie Margaret Mazzantini, è un «film sui fondamentali, gli archetipi della vita umana, un film molto ambizioso»". (Francesco Gallo, 'L'Eco di Bergamo, 6 novembre 2012)