Sabato 12 gennaio - Ore 21:00
Domenica 13 gennaio - Ore 16:00 e 21:00
Sabato 19 gennaio - Ore 21:00
Domenica 20 gennaio - Ore 16:00 e 21:00
Miglior regia a Ang Lee
Migliore fotografia a Claudio
Miranda
Migliori effetti speciali a Bill Westenhofer, Guillaume Rocheron,
Erik-Jan De Boer e Donald R. Elliott
Miglior colonna sonora a Mychael
Danna
La magica avventura di Pi Patel, figlio del guardiano dello zoo di Pondicherry, in India, che insieme alla famiglia si sta trasferendo in Canada, a bordo di una grande nave da carico. Superstite di un tragico naufragio, Pi si ritrova alla deriva nell'Oceano Pacifico, su una scialuppa di salvataggio, in compagnia di una zebra, una iena, un orango e una enorme tigre del Bengala di nome Richard Parker. Insieme a loro inizierà una dura lotta per la sopravvivenza...
Basato sul romanzo di Yann Martel Vita di Pi vincitore del Booker Prize nel 2002
Regia: Ang Lee
Interpreti: Suraj Sharma, Rafe Spall, Irrfan Khan,
Gérard Depardieu, Tabu, Adil Hussain, Ayush Tandon
Sceneggiatura: David Magee
Musiche: Mychael Danna
Ang Lee gareggia a testa alta con Yann Martel: natura vs. cultura, individuo vs. relazione, che sia il suo film summa?
Dal celebre romanzo di Yann Martel (premiato nel 2002 con il prestigioso Booker Prize), Vita di Pi approda sullo schermo con il pluripremiato Ang Lee, dopo una lunga e difficile gestazione: quasi dieci anni di controversie e l’avvicendamento di diversi registi e sceneggiatori, per trovare infine la coppia formata dal regista taiwanese e David Magee, che ha riscritto la sceneggiatura nel 2010. Lunghissimo anche il casting per scegliere il giovane protagonista: l’ha spuntata l'esordiente Suraj Sharma, un’altra scommessa di Ang Lee, che fatta eccezione per Gérard Depardieu non ha voluto volti noti nel cast.
La storia inizia e finisce a Montreal con Martel che, in crisi da pagina bianca, s’imbatte fortunatamente nella vicenda bigger than life di Piscine Molitor Patel (a 17 anni di età è interpretato da Suraj Sharma, contemporaneo da Irrfan Khan e adolescente da Ayush Tandon): conosciuto da tutti come Pi, cresce sereno e multi-religioso a Pondicherry, India, negli anni ‘70, il padre (Adil Hussain) possiede uno zoo e il ragazzo passa le giornate tra tigri, zebre e ippopotami. Dopo avere tentato di fare amicizia con una tigre del Bengala di nome Richard Parker, il padre lo ammonisce: “La tigre non è tua amica! Gli animali non pensano come noi e chi trascura questo fatto viene ucciso!”. Quando Pi ha 17 anni, sull’onda dei cambiamenti politico-sociali del Paese, il padre e la madre (Tabu) decidono di emigrare in Canada alla ricerca di una vita migliore. Pi deve lasciare il suo primo amore, per imbarcarsi con genitori e alcuni animali dello zoo su una nave giapponese, dove incontrano uno chef sgarbato (Gérard Depardieu). Ma durante la notte accade l’impensabile: la nave affonda, Pi miracolosamente sopravvive e si trova su una scialuppa in pieno oceano Pacifico con una zebra, una iena e un orangutan. Non rimarrà nessuno di questi, ma qualcuno manca all’appello: Richard Parker. E’ con lui che Pi dovrà fare i conti, and is a matter of life and death...
3D – la prima volta per Ang Lee - delicato e fascinoso, splendide inquadrature marine, con il gioco di specchi tra oceano e cielo riproposto più volte, Ang Lee vince la sfida: la sua Life of Pi gareggia a testa alta con il libro di Martel per stile, pathos e, soprattutto, presa empatica. Suraj Sharma fa il suo, con una prova fisicamente impegnativa e poeticamente totalizzante, e il suo nemico-amico Richard Parker non è da meno: una convivenza forzata, la loro, che Lee e Magee rievocano senza sindrome da peluche, ovvero, senza addomesticare la fiera e senza imbambolare l’uomo. Il fiato è sospeso, e nel bel mezzo dell’oceano spunta un interrogativo: che Vita di Pi sia il film summa di Ang Lee? Natura versus cultura, individuo versus società, afflati mistici e pragmatico sincretismo, i temi cari al regista taiwanese ci sono tutti, e brillano come (quasi) non mai. Sarà il mare? (Federico Pontiggia)
"II giovane e il mare, per parafrasare Hemingway. Cineasta taiwanese hollywoodiano, apolide e migrante, Ang Lee trova finalmente il «non luogo» ideale nell'oceano Pacifico dove ambienta, claustrofobia al contrario, i 227 giorni alla deriva di un ragazzo indiano che perde in un naufragio i genitori mentre trasferiscono uno zoo in Canada e finisce per restare solo in una scialuppa con Sorella Tigre, senza avere le stimmate francescane. (...) Ricco di pustole, ferite, ematomi, cicatrici, segni d'arsura, l'ignudo debuttante Suraj Sharma è perfetto, accompagna l'evolversi interiore della storia, soffrendo in astratto e concreto. Certo Lee, che continua a credere più nel sentimento che nella ragione, ha vinto una difficile scommessa con un libro «impossibile», dal quale rinomati colleghi si erano velocemente allontanati perché si trattava di mescolare un elemento primordiale, l'acqua, per di più tridimensionale, con un'esperienza interiore che mette tutto in forse e tra parentesi. La fotografia di Claudio Miranda, giocando a rimpiattino tra cielo e mare, con innesti di azzurri dalla Florida, è splendida ma la forza del film è che non è mai retorico, dolciastro, buonista, resta un gradino sopra già in zona mitica o mitologica. Non dubitiamo che all'autore peccatore di 'Brokeback Mountain' sia spuntata l'aureola." (Maurizio Porro, 'Il Corriere della Sera', 20 dicembre 2012)
"A volte i film si danno la mano, come se il cinema costringesse a tornare su certi soggetti per elaborarli e approfondirli. È il bello di quest'arte collettiva in cui i progressi tecnici, estetici, narrativi sono indissolubilmente fusi gli uni negli altri (e a disposizione di chiunque li porti avanti, come in una staffetta). (...) Ang Lee dettaglia con immagini spesso indimenticabili i modi incredibili con cui questo incrocio fra Robinson e Noè affronta la sua odissea (sì, c'è anche un pizzico di Ulisse). Ma l'avventura si colora di esperienza mistica, il dolore diventa stupore, la meraviglia trapassa in orrore (e viceversa); e alla fine un dubbio radicale plana su tutto ciò che abbiamo visto. Non solo perché quella tigre di incredibile verismo è fatta al computer, ma perché un'esperienza così estrema non si racconta senza correre rischi altrettanto estremi. Se ne esce scossi e soprattutto dubbiosi. Quello che lancia Ang Lee è un messaggio di fede malgrado tutto, o di profonda, inesorabile disperazione? I bei film non danno risposte. Per fortuna." (Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero', 20 dicembre 2012)
"Il protagonista si chiama Pi perché diminutivo di Piscine (va letto alla francese), stravagante nome di battesimo. Pi era un nomignolo necessario, visto che Piscine, storpiato dai compagni di scuola, facilmente diventava un insulto.(...) Proprio quando Pi trova l'amore la famiglia è costretta a trasferirsi in Canada, dove il padre è riuscito svendere gli animali dello zoo. La regia fin qui sembra piatta, in attesa dell'evento. E quello arriva improvviso come un pugno allo stomaco. Sulla nave, in una notte di tempesta, mentre Pi grida di gioia bagnato dal mare e dalla pioggia, la nave comincia a imbarcare acqua. Dopo qualche drammatico minuto, mentre la nave affonda, sull'unica scialuppa di salvataggio calata in mare troviamo Pi in una minuscola arca di Noè in compagnia di una iena, una zebra e un orango. (...) Siamo fin troppo abituati a un cinema che vuole far agire più i nostri nervi che il nostro pensiero, ma Ang Lee ci riesce in maniera sorprendente. Perché qui non ci sono scene di massa, non ci sono grandi scenografie o strabilianti invenzioni. (...) Su tutto c'è la rappresentazione della forza di un ragazzo nel tenersi in vita, sveglio con la mente, sempre allerta per poter affrontare le continue emergenze alle quali il regista alterna momenti di pausa, di spettacolo (la pioggia di pesci, altre tempeste, le notti di luna) e anche di riflessioni sulla vita. In queste scene l'istinto di sopravvivenza prorompe con una forza disperata. Ci sono poi altre sorprese prima dell'arrivo alla terza parte dove il protagonista mette in dubbio la propria versione dei fatti, come se gli autori si volessero affrancare dal semplice film d'avventura. Ma il film zoppica proprio quando cerca di essere profondo uscendo dall'emozione. Inoltre, durante tutti i 127 minuti, raccontando la propria storia, Pi ci invita a credere fermamente nell'esistenza di Dio solo perché (unico tra tutti i passeggeri della nave) lui è riuscito a salvarsi, in una visione un po' troppo facile ed egocentrica della fede universale." (Luca Raffaelli, 'La Repubblica', 20 dicembre 2012)
"Ang Lee, il taiwanese-americano più premiato del cineglobo, può permettersi tutto. Così, mentre in carriera è passato trionfalmente dal genere eccentrico intimista al letterario very english, dal cappa e spada orientale ai kolossal fumettistici, dall'erotico gay a quello etero, con 'Vita di Pi' ha deciso di fornirci un saggio concentrato della sua onnipotenza. (...) Ang Lee, in effetti, è di un'abilità straordinaria per come gestisce i suoi stregoni digitali - a volte sembra che gli eventi siano osservati dall'alto del cielo, altre dalla profondità dell'acqua e altre ancora dalle pupille socchiuse di Richard Parker - e, insieme, per come gioca senza esibirle le sue (e dello sceneggiatore David Magee) citazioni d'alta classe, spazianti tra 'Il libro della giungla' e 'Robinson Crusoe', tra la pittura onirica e bidimensionale di Rousseau il Doganiere (con il conforto della fotografia di Claudio Miranda) e i dilemmi di Dostoevskij (direttamente menzionato nelle discussioni iniziali tra Pi e il padre). Riprendendo la premessa, si può prediligere o meno la preponderante ambizione di regia o anche misurarne l'effettiva consistenza: ma le numerose sequenze memorabili, come l'apparizione dell'isola dei suricati o il notturno marino illuminato dalla fosforescenza medusea, rendono il film uno di quegli spettacoli totali destinati a nutrire a lungo l'immaginario collettivo." (Valerio Caprara, 'Il Mattino', 20 dicembre 2012)
"Romanzo di formazione, favola spiritualista, racconto d'avventura, riflessione filosofico/trascendente? Vincitore del «Man Booker Prize» 2002, il best seller 'La vita di Pi' (Piemme) dello scrittore ispano-canadese Yann Martel è un po' tutte queste cose, intrecciate con un garbo che ha reso credibile e appassionante per sette milioni di lettori la più incredibile delle storie. (...) La cronaca di giornate senza tempo, di albe e tramonti che si susseguono; l'autodisciplina di Pi che, consapevole di non doversi mai lasciare andare all'inedia e alla rassegnazione, si impegna a tenere un diario e a provvedere a Richard: queste cose sulla pagina sono ben raccontate, ma sullo schermo diventano straordinarie. Lavorando con gli effetti speciali come mai nessuno prima, il taiwanese Ang Lee continua a stupirci per il suo eclettico talento formale: qui in immagini di magica bellezza conferisce all'avventura un incanto rarefatto, come di una vita che proprio in quanto appesa a un filo può sublimarsi in una dimensione soprannaturale." (Alessandra Levantesi Kezich, 'La Stampa', 20 dicembre 2012)
"Ang Lee, il regista di Taiwan che ha fatto fortuna in America, è riuscito nell' arco di una quindicina d'anni a vincere ben sei premi fra i più significativi del panorama cinematografico internazionale. (...) La regia, pur accettando dalla sceneggiatura (e dal romanzo) vari episodi di contorno, si è sforzata di tratteggiare con attenzione i turbamenti e certe crisi mistiche di Pi, facendo poi leva in primo piano su quella tempesta micidiale, abilmente ricostruita in un bacino idrico di Taiwan, e su quella tigre frutto ovviamente di effetti speciali ottenuti grazie al computer. Così si può anche seguire, specie con l'ausilio, nelle immagini, del 3D, ma in molti passaggi comunque il racconto ristagna e, nonostante il mare infuriato e tanti minacciosi nuvoloni neri, i ritmi lenti se non addirittura fiacchi stentano in più punti a convincere. Ang Lee poteva darci di più." (Gian Luigi Rondi, 'Il Tempo Roma', 20 dicembre 2012)
"Un romanzo esotico di formazione e di sopravvivenza, redatto da uno scrittore all'epoca non molto conosciuto, anzi in piena crisi creativa, che decise di andare in India per trovare la giusta ispirazione per un romanzo in costume di ambientazione irlandese. Trovò l'India, ma non le corde giuste per il romanzo che aveva in testa, finché gli umori e i tempi di quella terra indiana lo hanno spinto verso altri lidi e altre storie più fantastiche. Nasce così 'Vita di Pi', che racconta la storia di un ragazzino che di nome fa Piscine Molitor Patel. (...) 'Vita di Pi' segna l'esordio di Ang Lee nel cinema in 3D e vi assicuriamo che è un passaggio che lascia il segno. Chi scrive non ama il 3D per il semplice motivo che spesso è del tutto inutile. Invece Ang Lee riesce davvero a sfruttare appieno la terza dimensione, rendendo dinamico un film che per la maggior parte del tempo vede un ragazzino e una tigre immobilizzati su di una scialuppa. Alcune sequenze sono davvero straordinarie, come quella dei pesci volanti e quella dell'approdo all'isola delle piante carnivore. Per tutto il film, senza mai sospendere l'incredulità, ci si chiede come Ang Lee sia riuscito a girare un film come questo. Vedere per credere." (Dario Zonta, 'L'Unità', 20 dicembre 2012)
"A partire dal romanzo di Yann Martel, 'Vita di Pi' di Ang Lee ci offre uno spettacolare apologo sulla forza della fede, il mistero del creato e la crescita spirituale al cospetto della maestosità dell'universo. Protagonisti un diciassettenne e una tigre del bengala che per sopravvivere devono imparare a convivere su una barca alla deriva nell'oceano per 227 giorni. Il naufragio diventa così la metafora della ncerca umana della salvezza." (Alessandra De Luca, 'Avvenire', 20 dicembre 2012)
"East e ovest, Taiwan (dove sono state realizzate le riprese) e Hollywood (che paga), Esopo (tra)vestito da Kipling e in 3D, un Dio buono per tutte le stagioni, un messaggio edificante. Gerard Depardieu, il magnifico direttore della fotografia di David Fincher, Giobbe e un tocco di National Geographic, sono gli ingredienti dell'ultimo pot-pourri di Ang Lee, 'Vita di Pi' tratto dal celebre romanzo di Yann Martel. Presentato in apertura del New York Film Festival, l'ottobre scorso, il film del regista di 'Brokeback Mountain' era uno dei titoli più quotati per la corsa agli Oscar, e il titolo su cui puntava di più la Twentieth Century Fox. Ma in un autunno/inverno di cinema autoriflessivo, non pacificato, persino scomodo ('Zero Dark Thirty', 'Lincoln', 'Django Unchained', 'Flight'...) come questo, per una volta, quel semplicismo divulgativo con cui Lee in genere mette d'accordo tutti sembra aver fatto un buco nell'acqua. Anzi risulta più irritante del solito. Incarnazione ideale di quell'idea di cinema che coniuga allo stesso tempo due nozioni molto riduttive dell'arte e della cassetta (...), 'Life of Pi' mette in scena il cocciuto téte à téte tra un ragazzo indiano e una tigre, persi nel Pacifico su una scialuppa di salvataggio miracolosamente sopravvissuta al naufragio che ha inghiottito la nave giapponese su cui il teen ager viaggiava verso il Canada insieme alla famiglia e allo zoo di cui erano proprietari. (...) Barca bianca e rossa, tigre gialla e nera, mare di tutti i blu e di tutti gli umori possibili, che spesso diventa tutt'uno con il cielo... Ang Lee addotta una palette di colori primari e un décor minimal, ideale per la terza dimensione. Claudio Miranda, alchimista dei fotogrammi digitali di 'Zodiac' e 'The Curious Case of Benjaimin Button', è la scelta ideale per la fotografia, che ha momenti bellissimi e tempi contemplativi. Un autore dalla mise en scène più forte e inventiva (tra quelli interessati al testo anche M. Night Shyamalan) sarebbe forse riuscito a incorporare visivamente la componente allegorica del libro su quella fragilissima barchetta, nel rapporto tra bimbo e felino. Ang Lee, invece, ha bisogno di un prologo e di un epilogo, parlatissimi, ambientati a Toronto, per essere sicuro che anche le sedie capiscano che qui si parla del potere della religione. Il che, paradossalmente, fa di 'La vita di Pi' un film che non ha alcuna fiducia nella fantasia e, ancor peggio, nel potere magico del suo racconto." (Giulia D'Agnolo Vallan, 'Il Manifesto', 20 dicembre 2012)
"Si chiama Piscine Molitor, accorciato in Pi per sfuggire agli sfottò dei compagni. Il padre parte dall'India, con tutta la famiglia, destinazione Canada, trasferendo, su nave, il suo zoo; un nubifragio lascia Pi orfano, sperduto su una barca e in compagnia di una pericolosa tigre. Per sopravvivere, i due dovranno imparare a convivere. Pellicola di formazione e di avventura, tra ragione e fede, confinale ambiguo. L'ora centrale è puro grande cinema firmato Ang Lee." (Maurizio Acerbi, 'Il Giornale', 20 dicembre 2012)
"Piacerà anche a coloro che avevano forti dubbi sulla possibilità di portare acconciamente sullo schermo il best seller di Yann Martel (quel che incanta sulla pagina può risultare artificioso sul telone). Bè gli scettici possono star tranquilli. Ang Lee è uno dei pochi che sanno far bene tutto. E nemmeno stavolta smentisce la sua fama." (Giorgio Carbone, 'Libero', 20 dicembre 2012)
"Dal celebre romanzo di Yann Martel, il pluripremiato regista Ang Lee riabbraccia la natia Taiwan, sperimenta per la prima volta il 3D, regala splendide inquadrature a specchio tra oceano e cielo e, soprattutto, firma il suo film summa: sincretismo e destino, natura versus cultura, individuo e relazione, tutti i suoi temi ritornano qui con nitore stilistico e pathos umanista." (Federico Pontiggia, 'Il Fatto Quotidiano', 20 dicembre 2012)