Sabato 29 Dicembre - Ore 21:00
Domenica 30 Dicembre - Ore 16:00 e 21:00
Lunedì 31 Dicembre - Ore 21:00
Martedì 1 Gennaio 2013 - 16:00 e 21:00
Si segnala che l'iniziativa promozionale
Vieni al cinema alla
domenica sera: costa meno!
è sospesa e riprenderà domenica 13
gennaio 2013
Perché Cetto La Qualunque, Rodolfo Favaretto e Frengo Stoppato finiscono in carcere? E, soprattutto, perché riescono a uscirne? Qual è il destino che li unisce? C'è qualcuno che trama nell'ombra? O costui preferisce farlo in piena luce? Tre storie, tre personaggi con un destino che li accomuna: la politica con la “p” minuscola. Cetto La Qualunque, il politico “disinvolto” che abbiamo imparato a conoscere, questa volta alle prese con una travolgente crisi politica e sessuale (in lui le due cose viaggiano sempre di pari passo). Rodolfo Favaretto, che rincorre il sogno secessionista di un nordista estremo, e che per vivere e combattere la crisi commercia in migranti clandestini. Frengo Stoppato, un uomo stupefacente, in tutti i sensi, che torna dal suo buen retiro incastrato da una madre ingombrante, con un sogno semplice semplice: riformare la chiesa e guadagnarsi la beatitudine. Un ritratto folle ma non troppo dell'Italia di questi anni, in una girandola di situazioni paradossali e travolgenti. In realtà, forse, è semplicemente: neorealismo.
Regia: Giulio Manfredonia
Interpreti: Antonio Albanese, Paolo Villaggio, Nicola Rignanese, Fabrizio Bentivoglio, Lunetta Savino, Lorenza Indovina, Vito, Teco Celio, Bob Messini, Luigi Maria Burruano, Davide Giordano, Maria Rosaria Russo, Alfonso Postiglione
Sceneggiatura: Antonio Albanese, Piero Guerrera
Fotografia: Roberto Forza
Montaggio: Cecilia Zanuso
Musiche: Paolo Buonvino
Le maschere di Albanese per ridere di un'Italia da pianto. Ma il "cinepanettone politico" non trova un'identità
"Personaggi ridicoli". Antonio Albanese lo ha ribadito più volte, presentando Tutto tutto niente niente: "Proviamo a ridere dell'Italia attraverso tre caratterizzazioni desolanti, una fauna che detesto profondamente". E allora, dopo aver regalato a Cetto La Qualunque il brivido dell'one man show cinematografico (Qualunquemente), Albanese e il regista Giulio Manfredonia tentano di bissare il precedente successo di botteghino triplicando le "maschere": al politico corrotto e sessuomane si aggiungono il sempre più "fumato" Frengo (vecchia conoscenza tra i personaggi creati da Albanese) e il leghista scafista nonché - ovviamente - secessionista Rodolfo Favaretto (new entry nel catalogo del comico di Lecco). Tutti e tre - primi non eletti delle rispettive liste - finiscono in galera per differenti motivi, tutti e tre vengono fatti uscire da un sottosegretario lisergico e manovratore (Fabrizio Bentivoglio) per colmare il disavanzo di tre voti utili in un parlamento governato da perdizione, nani e ballerine. Ma gestire queste tre "cellule impazzite" sarà molto più arduo di quanto credesse.
Forse lo rivaluteremo tra qualche decennio, Tutto tutto niente niente, quando la realtà delle cose (si spera) sarà differente dal momento storico-politico che stiamo vivendo: oggi come oggi, però, il film di Manfredonia rimane sospeso in un limbo che sembra impedirgli di andare al di là del grottesco a cui ormai da tempo la cronaca stessa ci ha abituati e, cosa ancor più drammatica, riesce a strappare solamente qualche sorriso rispetto alle risate che, invece, prometteva.
Albanese è bravo, lo sappiamo, ma probabilmente le sue maschere non riescono a rendere sulla lunga distanza del racconto filmico: che in questo caso, maggiormente rispetto al precedente, tenta di affiancare ai tre protagonisti ulteriori spalle per garantire dinamismo e tempi comici (su tutti, oltre al già citato - e indubbiamente riuscito - sottosegretario interpretato da Bentivoglio, la convincente Lunetta Savino nei panni della mamma invasata di Frengo, decisa a far beatificare il figlio da vivo...): comicità che però non va oltre le gag più o meno indovinate, schiacciata dalle sue stesse ambizioni (anche scenografiche, basti pensare al trucco e ai costumi o alla scelta di ambientare la "politica romana" in edifici che non a caso ricordano i marmi del ventennio fascista dell'Eur), scissa tra il pensare alto (le caricature di Grosz o il cabaret di Valentin durante la Repubblica di Weimar, come ricordato da Bentivoglio) e lo sfogo becero e populista affidato ai tre "mostri" di Albanese. "Sono una escort", sussurra languidamente una bellissima ragazza a Cetto La Qualunque, che ringrazia ma di primo acchito rifiuta l'offerta: "Vedi, io adesso ho proprio bisogno di un troione"... Tutto tutto niente niente: l'Italia è questa, ci provano a dire Manfredonia e Albanese: tra 50 anni, magari, riscopriremo "come eravamo", oggi siamo troppo vicini sia per coglierne l'eventuale denuncia sia per comprendere l'aspetto ridanciano della questione. Quello che resta è la sensazione di trovarsi di fronte ad un insieme di schizzi, pennellate estemporanee di un'epoca che forse, al cinema, le maschere di un certo tipo non sono più in grado di inquadrare.
"II bravissimo Antonio Albanese si fa uno e trino diretto da Giulio Manfredonia superandosi in volgarità ma sempre un gradino sotto il reale, nel grottesco cabaret sulla nostra classe politica che, dall'inizio, viene arrestata. Cetto, quello del Nord Est, lo strafatto mistico, in una farsa a sketch di stampo tv che non riesce a mordere e resta una falsa satira dalla battuta solo greve: non lascia traccia nella coscienza dello spettatore. Ideologicamente, tutti d'accordo: ma dove viene fuori il discorso sulle idee?" (Maurizio Porro, 'Corriere della Sera', 13 dicembre 2012)
"Concepita come l'affresco di un'Italia stravolta dai giochi di potere e dalla corruzione, la commedia non è sempre ben calibrata, ma offre materia di che ridere amaro e a denti stretti." (Alessandra Levantesi Kezich, 'La Stampa', 13 dicembre 2012)
"Albanese non sbaglia un colpo nel reggere i tre personaggi (spesso in scena assieme, grazie alle magie del digitale). È il film, spesso, a mancare. La regia di Giulio Manfredonia è enfatica, eccede in effetti grotteschi e primi piani dal basso, spesso sottolinea in modo eccessivo ciò che sullo schermo non c'è. Il vero «autore» del film è il costumista Roberto Chiocchi, che si diverte a creare un mondo di potenti e politici esagerato, psichedelico, «felliniano». Con il risultato che il paradosso è meno assurdo della realtà, e 'Tutto tutto niente niente' sembra qua e là un tg girato da Frengo: sballato e innocuo." (Alberto Crespi, 'L'Unità', 13 dicembre 2012)
"Non convince (...) 'Tutto tutto niente niente' di Giulio Manfredonia in cui Antonio Albanese interpreta tre personaggi: le gag più o meno riuscite del protagonista non sono infatti sostenute da una solida struttura narrativa capace di farci notare la differenza tra sketch televisivi e cinema." (Alessandra De Luca, 'Avvenire', 13 dicembre 2012)
"Che pasticcio. Niente a che vedere con il precedente, quello sì spassoso, 'Qualunquemente'. Antonio Albanese triplica i suoi personaggi, ma il divertimento è meno che dimezzato. I riesumati Cetto La Qualunque e Frengo, con l'aggiunta del negriero secessionista Olfo, fanno ridere davvero poco. Nonostante strepiti e battutacce da osteria." (Massimo Bertarelli, 'Il Giornale', 13 dicembre 2012)
"Piacerà a coloro che già avevano mostrato di gradire 'Qualunquemente' esordio cinematografico di Cetto. Il regista è sempre Giulio Manfredonia ottimo professionista capace di imbrigliare (e non è impresa da poco) gli eccessi mattatoriali di Albanese." (Giorgio Carbone, 'Libero', 13 dicembre 2012)