Sabato 9 maggio | Ore 21:00 |
Domenica 10 maggio | Ore 16:00 e 21:00 |
E’ uno schema narrativo vecchissimo, e per questo sempre nuovo, adoperato addirittura già nell’Iliade. Aiace ed Ettore, guerrieri di eserciti diversi, nel libro settimo si feriscono in duello e vengono ricoverati nella stessa tenda. E avviene l’incontro fra mondi inconciliabili, che la malattia e la paura della morte rendono più disponibili e percettivi. I cuori di Alberto e di Angelo ingrippano nella stessa notte. Così dice Angelo, giovane carrozziere di ex borgata, ex sottoproletario, un ex tutto diventato qualcosa che Alberto, sceneggiatore di successo, bravo e matto, rumoroso e squilibrato come un rinoceronte, non capisce. Diventano amici in sala rianimazione. Si legano in modo istantaneo, sorpresi loro stessi di capirsi così profondamente. Ma sono due maschi, e quindi paludano spesso le emozioni dietro lo scherno, lo scherzo. Come adolescenti al primo viaggio in tenda. Appena fuori, la vita gli sembra talmente cambiata, sempre consapevoli come sono di ogni battito cardiaco, che diventano indispensabili l’uno all’altro. Continuare a stare insieme significa stare con l’unica persona al mondo che – in quel momento - ti capisce. Alberto, che è strutturalmente un uomo solo, non riesce a dare stabilità al suo rapporto con la fidanzata, e si installa come un paguro nella conchiglia, la casa di Angelo, lì al Pigneto, sopra la carrozzeria specializzata in auto d’epoca. Un mondo imperscrutabile, ora bellissimo, ora sinistro. Ma in quella casa c’è una famiglia, una moglie, Rossana, attraente di suo e in più incinta, una specie di donna al quadrato; e i due figli, Perla e Airton, una adolescente furiosa e un bambino impaurito dagli eventi...
Soggetto liberamente tratto da “Una questione di cuore” di Umberto Contarello
Regia | Francesca Archibugi |
Sceneggiatura | Francesca Archibugi |
Fotografia | Fabio Zamarion |
Montaggio | Patrizio Marone |
Antonio Albanese | Kim Rossi Stuart |
Micaela Ramazzotti | Francesca Inaudi |
Chiara Noschese |
"Troppi anni dopo 'Il grande cocomero', ancora complice un ospedale, Francesca Archibugi ritrova la densità e la misura della commedia ben scritta che commuove. In quartieri che furono neorealisti, ambienta credibili sussulti cardio/esistenziali. Albanese è al meglio 'cinico creativo', ma Kim Rossi Stuart è di nuovo un miracolo: trasognato senza essere lesso, lampi di Nino Manfredi, dolore e dialogo sottopelle." (Alessio Guzzano, 'City', 17 aprile 2009)
"L'andamento del racconto è verosimile, senza forzature, con particolari accurati, simboli discreti, acute notazioni d'ambiente. Unica nota stonata, forse, la visita ad Alberto, degente in ospedale, dei vip del nostro cinema: con Carlo Verdone che si fa il verso, simpaticamente fuori luogo. Ma, se lo sono, si tratta di peccati veniali. Il cast principale, quello funziona molto bene: e Albanese, in un 'carattere' insolito per il nostro cinema, è davvero eccellente." (Roberto Nepoti, 'la Repubblica', 17 aprile 2009)
"La Archibugi dimostra in questo film di saper usare al meglio tutti gli strumenti di cui può disporre un regista. Come la sceneggiatura (firmata in prima persona) che sa evitare le tante trappole che un tema così poteva disseminare, a cominciare dal facile pietismo che può innescare la malattia. E come la scelta dei due protagonisti, che ti saresti aspettato di vedere in ruoli opposti e che invece in questo modo sanno rendere sempre interessanti personaggi che potevano essere stereotipati. Perché il colto e raffinato intellettuale che scopre i valori dell'amicizia e della solidarietà e l'ex proletario che rivela sensibilità e impensate generosità, ribaltando il quadro umano d'inizio film, non sono certo una trovata originalissima. Ma nel film dell'Archibugi funzionano e da spettatore ti ritrovi a seguire l'evoluzione dei due amici di corsia per scoprire come andrà a finire. Certo, il personaggio di Alberto è più interessante perché più complesso (e sicuramente più vicino alla regista) e a lui sono affidate le scene più indovinate, come i battibecchi con l'infermiera dal volto triste (Chiara Noschese) o la lezione di sceneggiatura al piccolo Airton (Andrea Calligari). Senza contare che Albanese ha una carica di simpatia capace di vivificare an¬che i personaggi più antipatici. Ma anche Kim Rossi Stuart, il cui personaggio ha un'evoluzione psicologica (e medica) più scontata, riesce a evitare pietismi o lacrimucce ricattatorie. Per non parlate delle due donne, la Ramazzotti e la Inaudi, convincenti in due ruoli non certo facili. Resterebbe da rispondere alla domanda iniziale (magari modificata così: che tipo di commedia si può fare oggi in Italia senza scadere nella farsa o nella fiction televisiva?) e poi chiedersi perché la realtà, la realtà vera di questi anni, più brutti che sporchi e cattivi, finisca per apparire irrimedia¬bilmente edulcorata o troppo distante dalle nostre commedie, anche da quelle ben fatte e piacevoli come 'Questione di cuore'. Ma sono domande troppo complesse e forse troppo difficile per tutti, registi e critici compresi..." (Paolo Mereghetti, 'Corriere della Sera', 17 aprile 2009)
"La bravura degli attori, specialmente di Kim Rossi Stuart, è grande; la drammaticità della vicenda pure, e anche la presenza di Micaela Ramazzotti nella parte della moglie di Kim è (essenziale per espressività e femminilità profonde). La finezza dell'attrice nel vedere spegnersi ilmarito e fingere di nulla di simile alla eloquenza di Rossi Stuart con le sue gambe deboli, il colorito terreo, i piccoli gesti affaticati, i sorrisi forzati della paura. Albanese, bravissimo sempre, sembra una molla caricata di vitalità: chiede e chiede al nuovo amico divenuto ormai indispensabile, vuole lavorare con lui e sperimentare i vantaggi della fatica fisica, si mescola alla famiglia di lui, pare un cinghiale che frughi alla ricerca di nutrimento. Bisogna essere davvero bravi per ottenere qualcosa di simile, e lo è Francesca Archibugi, da sempre architetto dei sentimenti, investigatrice delicata e forte del cuore della gente, eccellente direttrice d'attori e analista d'Italia." (Lietta Tornabuoni, 'La Stampa', 17 aprile 2009)
"Francesca Archibugi dice che con 'Questioni di cuore' voleva fare un film sull'Italia anche se in modo sghembo, lavorando cioè su questo incontro altrimenti impossibile tra mondi umani. E per farlo usa il cinema, o meglio le sue memorie: ci sono i luoghi della Roma pasoliniana, la Torpignattara dei fratelli Citti, la borgata Gordiani dove Anna Magnani correva dietro il camion cadendo a terra, uccisa dai fascisti in 'Roma città aperta'. Una geografia oggi radicalmente mutata tra studenti, migranti, senegalesi o cingalesi, e loft e gallerie di tendenza - ma nei suoi primi film Matteo Garrone aveva rifondato l'immaginario delle periferie romane con poetica lucidità. La cosa più divertente del film, non so se voluta, è la messinscena del cinema italiano. Che forse è spesso così mediocre per l'incapacità di uscire dai propri riferimenti, di guardarsi intorno, di inventare nuovi orizzonti. Assurdo no che uno sceneggiatore 'colto' si stupisca di fronte a un ragazzo africano immigrato che parla francese - come se fossero tutti analfabeti (la scena è davvero infelice). O che scopra all'improvviso il razzismo ... L'impressione però è che anche Archibugi ci rimane un po' chiusa nel mondo che vorrebbe spalancare proprio come il suo sceneggiatore. Ogni dettaglio è scritto fino a diventare ovvio. Non ci sono sorprese in questo incontro impossibile - ma un certo pudore tra uomini nel dirsi sentimenti e paure è raccontato bene. Tutto è come deve essere, come è già: personaggi, battute, situazioni, ... Anche l'idea di un cinema 'popolare' che commuove e parla a tutti: senza spigoli o almeno quel po' di ironia indispensabile." (Cristina Piccino, 'Il Manifesto', 17 aprile 2009)
"Sostengono splendidamente l'impresa - una delle più felici della felice carriera di Francesca Archibugi due attori che, pur fino ad oggi tra i migliori del nostro cinema, qui ci hanno dato di certo il meglio di sé: con semplicità e autorità, con calore ma anche con misura. Kim Rossi Stuart, è un carrozziere con un lieve accento romanesco che, per il suo personaggio, ricorre magistralmente a tutte le inflessioni più sottili, soprattutto di mimica, imponendosi spesso solo con uno sguardo o addirittura con un batter di ciglia. Di fronte a lui Antonio Albanese trascorre con meditatissimi accenti da una euforia solo in apparenza superficiale a una partecipazione mesta eppur generosa, disegnando con sommessa evidenza sul suo volto la realtà che intuisce e cui si adegua. Spesso, a sua volta, in silenzio." (Gian Luigi Rondi, 'Il Tempo', 17 aprile 2009)
"'Questioni di cuore' non è tanto una commedia venata di drammaticità, ma un film drammatico vero e proprio screziato con lampi di giocosa comicità. Ed è proprio la figura dolente di Angelo (un superbo Rossi Stuart) emaciato e sofferente, con occhiaie e denti ingialliti, a cadenzare il passo della truppa attoriale: rigenerando il rapporto e il passaggio di testimone simbolico/familiare con Alberto, chiudendo la sua presenza terrena nel mostrare le piccolezze da carrozziere arricchito che non fattura migliaia di euro. Un sempliciotto e provinciale materialismo che prova a fondersi con uno sbrodolante e autoreferenziale intellettualismo: c'è molta Italia contemporanea in 'Questione di cuore'." (Davide Turrini, 'Liberazione', 17 aprile 2009)
"E' davvero un teatro delle parti, un calarsi improvviso in una realtà funzionale, dove tutto assume un significato diverso e più vero. La prima parte del film in questo mondo è la più bella (peccato sia troppo breve). Francesca Archibugi poi estende la trama al confronto di vite diverse. Qui qualcosa si perde, fino a toccare dei momenti fastidiosi perché appiccicaticci, come la scena del pestaggio di un uomo di colore nel quartiere del Pigneto richiamando forzatamente - e non sentitamente - recenti fatti di cronaca." (Dario Zonta, 'L'Unità', 17 aprile 2009)