Martedì 22 gennaio 2013 - Ore 21:00
Ingresso gratuito
La Francia è sotto l'occupazione tedesca. Gli ebrei vengono prima costretti a portare la stella gialla, poi vengono allontanati da ogni luogo pubblico, dal loro impiego, dalle scuole. Nel quartiere di Montmartre vivono molte famiglie ebree tra cui quella di Joseph, 10 anni. Nella notte tra il 15 e il 16 Luglio, oltre 13.000 ebrei furono arrestati a Parigi. Vennero divisi in 2 categorie: le famiglie con figli e le persone nubili. Le prime, radunate nello stadio del velodromo d’inverno, il Vel d’Hiv di Parigi. I secondi smistati nel campo di Drancy, alla periferia della capitale francese, in attesa di essere deportati ad Auschwitz. Ma un mattino Joseph e gli altri bambini vengono separati dai genitori...
Tutti i personaggi sono realmente esistiti e tutti gli avvenimenti, anche i più drammatici, sono realmente accaduti nell'estate del 1942.
Regia: Roselyne Bosch
Interpreti: Jean Reno, Mélanie Laurent, Gad Elmaleh, Hugo Leverdez, Joseph Weismann, Oliver Cywie, Mathieu Di Concerto, Romain Di Concerto, Sylvie Testud, Anne Brochet, Jean-Michel Noirey, Roland Copé, Raphaëlle Agogué
Sceneggiatura: Roselyne Bosch
Fotografia: David Ungaro
Montaggio: Yann Malcor
Musiche: Christian Henson
Durata: due ore e 5 minuti
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Valutazione Pastorale (dal sito della CNVF della Conferenza Episcopale Italiana)
Giudizio: consigliabile, problematico, dibattiti
Tematiche: Male; Razzismo; Storia
Dice la regista Rose Bosch: "Ci sono molti film francesi sul nazismo e la deportazione degli ebrei, ma nessuno sul collaborazionismo e sulla retata del Velodromo d'Hiver. E' un avvenimento di cui si parla pochissimo, se pensiamo che per 14.000 ebrei deportati da Parigi e un totale di 75.000 morti nei campi, nei libri di storia si spendono poco più di tre righe. (...)Solo ora si comincia a studiare ed elaborare il collaborazionismo. I francesi per molto tempo non hanno saputo se considerarsi resistenti o collaborazionisti (...). Ecco dunque rivelarsi un altro tassello di quella microstoria che confluisce nella Storia grande, quella occupata da Nazismo e Shoa. Accanto ai nomi tragicamente più noti, la memoria si fa carico di ampliare i contorni, di rendere omaggio, tardivo ma commosso, a quanti hanno perso la vita senza la minima colpa. "Vento di primavera" (poco indovinato titolo italiano) si colloca dunque nella costruzione di un ricordo il più collettivo possibile. Come in altre occasioni, l'argomento resta oltremodo difficile da approcciare, tra impossibile realismo e commozione incombente. Ma bisogna provarci. E il film, dal punto di vista pastorale, é da valutare come consigliabile, problematico e adatto per dibattiti.
Utilizzazione: il film é da utilizzare in programmazione ordinaria, e in molte occasioni successiva per avviare riflessioni sul tema centrale, anche a livello didattico.
"Piacerà a coloro che non hanno smesso di appassionarsi alle storie sull'Olocausto. Per 'La rafie' del Vel d'Hiv' la Francia ha messo insieme una big production (grandi mezzi, un cast ricco di bei nomi)." (Giorgio Carbone, 'Libero', 28 gennaio 2011)
"Si straparla di diritti dell'uomo, ma solo i cittadini hanno diritti. Lo ricorda "Il vento di primavera' (In originale 'La rafie', ovvero 'La retata') di Roselyn Bosch. (...) Senza l'efficacia allusiva di 'Mr. Klein' di Losey e dell' 'Ultimo métro' di Truffaut o il respiro storico di 'Laissez-passer' di Tavernier, 'Il vento di primavera' ha dalla sua solo la dimensione del film tv, tempestato ora di didascalie ora di ridondanti vocativi per far capire allo spettatore chi ha davanti. Il pathos è affidato alle vicende dei singoli qualsiasi e dei loro bambini, uno dei quali (Hugo Leverdez) è preso come simbolo di una generazione sterminata. Mélanie è l'infermiera che assiste la massa di deportati nella prima tappa del loro tragitto verso la morte. Ma, appunto, la rappresentazione di morti veri meriterebbe qualcuno più abile di Roselyn Bosch." (Maurizio Cabona, 'Il Giornale', 28 gennaio 2011)
"La giornalista-produttrice Rose Bosch colma oggi con 'Vento di primavera' ('La rafie') una lacuna storica che dovrebbe provocare ancora vergogna e in patria ha interessato 3 milioni di spettatori indignati. Documentata e discreta, l'autrice racconta nel film il rastrellamento degli ebrei francesi ad opera dei tedeschi e dei connazionali collaborazionisti del regime di Vichy, addì Parigi, all'alba del 16 luglio '42. (...) E pochissimi i superstiti, come si evince dalla storia raccontata come un thriller di guerra con attenzione 'truffautiana' alle psicologie violentate dei piccoli. (...) Risultato, un film di non scontato valore educativo morale, dove i divi entrano nel gruppo e giocano la partita della Storia insieme coi minorenni. Jean Reno è medico senza frontiere e Mèlanie Laurent, che già combattè i nazi con Tarantino in 'Bastardi senza gloria', si riserva la zona più sentimentale oliando i meccanismi del cinema della memoria, che è quasi come una tautologia." (Maurizio Porro, 'Corriere della Sera', 28 gennaio 2011)
"Soffia oggi in sala 'Vento di primavera', in occasione della Giornata della Memoria: diretto dalla francese Rose Bosch, riporta al cinema la Shoah vista dal basso, con gli occhi di un bambino. Prove convincenti degli attori, regia illustrativa, non mancano pathos né ombre che si allungano sul nostro presente: come memento, 'La rafie' (titolo originale) può bastare." (Federico Pontiggia, 'Il Fatto Quotidiano', 27 gennaio 2011)
"«Chissà se un giorno qualcuno farà un film su quello che ci è accaduto. No, credo che nessuno oserà mai, perché è disumano». Quindici anni dopo queste affermazioni, ascoltate per caso in un documentario, qualcuno ha osato: la regista Rose Bosch, che in 'Vento di primavera' ha voluto raccontare la storia di Joseph Weissman e dei tredicimila ebrei deportati dai nazisti nei campi di sterminio con la complicità del governo collaborazionista di Vichy. Una pagina in parte rimossa dalla memoria collettiva della Francia. Un film necessario, dunque, come possono esserlo quelle opere che, senza veli e ipocrisie, mettono popoli e nazioni a confronto con il proprio passato, per quanto doloroso e imbarazzante possa essere. I fatti narrati sono tutti veri, come i personaggi. Parigi, estate 1942, la Francia è sotto l'occupazione tedesca. E per gli ebrei il copione è tragicamente noto. (...) Con sensibilità e senso di partecipazione - inserendo in controcampo scene delle riunioni del governo di Vichy e di Hitler e della sua lugubre corte sulla terrazza del Berghof mentre, tra un cocktail e una torta, decidono la sorte di milioni di persone, e - Bosch segue i destini incrociati di vittime e carnefici da Montmartre al Vélodrome, da Beaune-La-Rolande fino all'hotel Lutetia, dove furono raccolti i sopravvissuti dopo la liberazione. E racconta, con qualche libertà sui tempi dell'azione, le storie di quanti orchestrarono e collaborarono a quell'orrore e ne portano per sempre il marchio d'infamia, la tragedia di coloro che ebbero fiducia e vennero traditi, le vicende di quelli che si opposero o tentarono di farlo con coraggio e a rischio della propria incolumità, e l'audacia di quanti riuscirono a fuggire. Come sottolinea la stessa Rose Bosch - che durante tre anni di ricerche ha dovuto superare non pochi ostacoli, a conferma delle zone d'ombra che ancora permangono - le sfide erano molteplici: «Come rappresentare una simile barbarie restando il più possibile vicina al senso di umanità? Come girare frontalmente, senza abbassare lo sguardo, ma senza rendere la vista delle scene intollerabile? Come mostrare la violenza senza mascherarla, ma senza nemmeno sublimarla? E come rendere giustizia ai 'Giusti' di Francia, coloro che hanno aiutato gli ebrei, senza dare l'impressione di voler unicamente fornire ai francesi una coscienza pulita?». Per affrontarle la regista assume diversi punti di vista. Quello dei bambini prima di tutto, ingenuo ma acuto. Poi quello dell'infermiera Annette Monod - emblema di quanti cercarono di opporsi a quella vergogna e riconosciuta da Israele "Giusto tra le nazioni" - che tenta di incidere nella coscienza dei soldati suoi connazionali chiedendo loro di disobbedire a quegli ordini immorali e disumani. Ma allo stesso tempo prova anche a mettere lo spettatore al centro dell'azione, affinché anch'egli possa sentirsi, per quanto possibile, umiliato, ingannato, maltrattato. Quanto ai francesi che non restarono muti osservatori, oltre che dal personaggio di Annette, la gratitudine passa anche attraverso altre figure secondarie che compaiono nel film ma che esprimono partecipazione e condivisione del dramma degli ebrei. Del resto, come si legge prima dei titoli di coda, il mattino della retata ben dodicimila persone inserite nelle liste di Vichy riuscirono a rendersi irreperibili. In un Paese occupato e con un governo tanto condiscendente non avrebbero potuto trovare rifugio se non nelle case dei vicini che accettarono di ospitarli pur consci del pericolo che correvano. Ma è altrettanto vero che dei tredicimila ebrei prelevati quella mattina di luglio sopravvissero solo in 25, e nessuno dei 4.051 bambini finiti sui treni. (...) Ma la regista vuole stemperare ancora di più l'angoscia, regalando un finale consolatorio e aperto alla speranza.(...) E se c'è un'immagine simbolo dell'orrore raccontato da Vento di primavera - film intenso per quanto didascalico - è sicuramente quella di Nono (...) Nella realtà quel bimbo si chiamava Jacquod. E non tornò." (Gaetano Vallini © L'Osservatore Romano - 29 gennaio 2011)