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In un sobborgo di Sydney, due infermiere, una governante e un avvocato assistono Elizabeth Hunter sul letto di morte. I figli Sir Basil, un attore che fatica ad affermarsi a Londra, e Dorothy , la moglie di un principe francese che non le ha garantito il benessere economico, vengono convocati al suo capezzale. La signora Hunter, anche nel momento estremo della sua vita, rimane una forza per coloro che la circondano. Entrambi i figli, che nel passato si erano allontanati dalla madre accusandola di non essere capace di amarli, tentano di riconciliarsi con lei e ripercorrono con la mente le difficoltà dell'adolescenza, condividendo un comune obiettivo: lasciare l'Australia con l'eredità della donna.
In concorso al Festival di Roma 2011
Regia: Fred Schepisi
Interpreti: Geoffrey Rush, Charlotte Rampling, Judy Davis, Dustin Clare, Colin Friels, Helen Morse, Alexandra Schepisi, Robyn Nevin, Elizabeth Alexander
Sceneggiatura: Judy Morris
Fotografia: Ian Baker
Montaggio: Paul Grabowsky, Kate Williams
Musiche:
Durata: 1 ora e 58 minuti
Schepisi tra commedia e tragedia, in Concorso: disinvolta messa in scena di una famiglia disfunzionale in un "teatrino" della crudeltà
Diretto da Fred Schepisi e tratto da un classico della letteratura australiana, l’omonimo romanzo dello scrittore premio Nobel Patrick White, The Eye of the Storm inscena vizi e ancora vizi di una disfunzionale famiglia, nobile solo nei titoli, in una black comedy giocata tra il passato di una vecchia signora che “pretende di decidere come morire” e un presente in cui tutti cercano il proprio tornaconto.
Schepisi, riuscendo alla perfezione nel suo intento, fa agire i tre protagonisti con la riluttanza di chi non ha mai imparato ad amare, li rende viziati da un manierismo di superficie che mal cela il disprezzo reciproco. Elisabeth Hunter, dispotica e morente, è una superba Charlotte Rampling, circondata dal solo lusso della sua villa e da uno stuolo di servitù pronto ad assecondarla in ogni capriccio, pur di godere dei suoi benefici. Da lucida cerca il modo più adatto di teatralizzare la morte e, nei momenti confusionali, rivive il passato nei flashback del devastante uragano avvenuto in seguito all’allontanamento di sua figlia Dorothy. Lei è Judy Davis, capace con una smorfia di svelare l’avidità, ricevuta in dono da una madre che nulla le ha risparmiato, reduce, per di più, da un matrimonio fallito e caduta in miseria, fuori luogo tra quelli del suo rango, ma di cui non può fare a meno.
E ora, figliola prodiga, armata della sua sfacciataggine, si presenta al capezzale della madre a chiedere le sue spettanze. E poi c’è Basil. Con il quale si riafferma il talento del premio Oscar Geoffrey Rush (Shine, 1996), ora nelle vesti di un blasonato (ma neanche poi tanto!) attore teatrale (stroncato dalla critica) donnaiolo (e imbranato) emigrato a Londra per seguire la sua passione. Le recensioni negative, si sa, arrivano anche in Australia e sua madre non manca di farglielo sapere. Ma solo per lui, il suo prediletto, sfoggia trucco e parrucco. Nessun particolare sfugge all’occhio della macchina da presa neanche i segni della decadenza, catturati attraverso i dettagli su piccole defaillance poco nobiliari; più volte si sofferma sugli insetti che infestano il cibo avariato, in rimando all’elemento naturale che percorre il film trasversalmente: l’uragano, portatore di distruzione ma non di vera catarsi. (Angela Sanseviero)