Sabato 16 febbraio | Ore 21:00 |
Domenica 17 febbraio | Ore 16:00 e 21:00 |
Il film è vietato ai minori di 14 anni
New York, anni Settanta: Frank Lucas è il tranquillo autista di uno dei più importanti boss della malavita afroamericana della città. Alla morte dell’uomo, Frank prende il suo posto e decide di dare vita alla sua personalissima versione del Sogno Americano. Mantenendo un basso profilo ed una stringente etica professionale, Frank Lucas diventa in breve tempo il primo trafficante di droga di New York, riuscendo a far arrivare eroina purissima a prezzi concorrenziali contrabbandandola direttamente dall’Asia all’interno delle bare dei soldati morti in Vietnam. Lucas riesce presto a debellare tutta la concorrenza – inclusa la Mafia italoamericana – e ad entrare con attività di facciata nel mondo che conta in città. Ma il detective Richie Roberts si accorge che qualcosa è cambiato nel controllo del traffico di droga, e presto capisce che c’è in giro un nuovo boss, che è stato in grado di rimpiazzare lo status quo della malavita newyorkese. Roberts ha anche l’intuizione che lo porterà a capire che il nuovo boss è nero: la sua strada e quella di Lucas si incroceranno presto... Tratto da una storia vera
Regia | Ridley Scott |
Sceneggiatura | Steven Zaillian |
Durata | 2h 37' |
Denzel Washington | Russell Crowe |
Cuba Gooding Jr. | Josh Brolin |
RZA | John Ortiz |
John Hawkes | Ted Levine |
Yul Vazquez | Carla Gugino |
Chiwetel Ejiofor | Norman Reedus |
Common | Armand Assante |
KaDee Strickland | Jon Polito |
Valutazione Pastorale (dal sito dell'Associazione Cattolica Esercenti Cinema ACEC)
Giudizio: accettabile, problematico
Tematiche: Droga; Famiglia; Gangster; Violenza
Alla base c'è un articolo pubblicato sul New York Magazine che proponeva la storia vera di un trafficante di eroina di colore che, alla morte del suo boss, prese in mano il comando e sconvolse le regole del traffico di droga. Un altro lato oscuro della recente storia americana viene dunque alla luce, e l'inglese Scott, con la consueta abilità, ne fa un ritratto epico ed epocale: una sorta di bandito che sconvolge le nascenti regole del West. Di fronte all'eroe del Male, il Bene si fraziona e resta all'inizio stordito. Poi si riprende e alla fine chiede agli altri di pagare il conto. Ma quel trafficante é "l'American gangster" e per sconfiggerlo ci vuole un altro americano, puro e deciso. Due moralità parallele si scontrano, e in questo difficile duello, il copione mostra il meglio di una drammaturgia secca, precisa, incalzante. Dal punto di vista pastorale, il film é da valutare come accettabile, e nell'insieme problematico.
Utilizzazione: il film è da utilizzare in programmazione ordinaria, con attenzione per la presenza di minori. Stessa cura é da tenere per i più piccoli in vista di passaggi televisivi o di uso di VHS e DVD.
Pusher Washington e sbirro Crowe per Scott: due ottimi attori sprecati e una vita (Frank Lucas) snaturata
Denzel Washington e Russell Crowe. Uno spacciatore, l'altro sbirro. A metterli l'uno contro l'altro, il regista Ridley Scott, alla terza collaborazione con Crowe (Il gladiatore, Un'ottima annata). Al centro del gangsta-bio, la moralità: una moralità altra, pistola in mano, e eroina blue magic in vena. La prima la impugnano sia il Frank Lucas di Washington che il Richie Roberts di Crowe, dalla seconda si astengono entrambi, ma su opposti versanti combattono per controllarla. Crowe consegna in centrale un milione di dollari di banconote non segnate, divenendo inviso ai colleghi corrotti e lo zimbello di tutti gli altri, ma non è un buon marito, né un buon padre.
Speculare è Washington, tutto famiglia, casa e "lavoro": apprendista dal boss di Harlem Bumpy Johnson, alla sua morte ne prende il posto, senza l'appariscenza dei pusher negri alla Leroy "Nicky" Barnes (Cuba Gooding Jr.) ma con l'understatement di chi punta in alto: al cielo, dove volano i cargo della US Air Force di ritorno dal Vietnam con il loro carico di morte. Morte doppia: soldati uccisi dai vietcong ed eroina purissima, pronta da tagliare e mettere in strada. Roba da negri? Può un negro arrivare a tanto? Dalla polizia alla mafia italiana, non ci crede nessuno. A torto. Perché Frank Lucas è un negro che fa' la cosa giusta: il bianco. Brutale quando serve, spietato quanto basta, razionale (quasi) sempre: non bluffa, non le spara grosse (a parole), tiene in pugno fratelli e cugini, rispetta la madre, non cerca le donne d'altri, sceglie per moglie una bellezza non convenzionale, si accorda con la mafia, fa una montagna di soldi, ma per sé sceglie l'ombra. Fino a quando uno sventurato pellicciotto di cincillà illuminerà la sua fine... Dopo 158 minuti (troppi!!!), un cartello consuma l'epilogo della storia - vera - di Lucas, back in the Seventies, l'America prostrata dalla guerra in Vietnam, anche sul fronte interno: i reduci ridotti a zombie dall'eroina e la polizia con due occhi chiusi sul narcotraffico di Cosa Nostra.
Il Padrino, Serpico, Scarface, Quei bravi ragazzi, tutto quello che volete, ma American Gangster ci dice - vorrebbe dirci... - un'altra cosa: la morale non è mai bianco o nero. Fin qui tutto bene, ma il problema non è la caduta del vero Frank Lucas nell'articolo di Mark Jacobson (New York Magazine, 2001), ma l'atterraggio del saggio sul film di Scott. Che incollando su pellicola la carta di Jacobson perde molto, moltissimo: soprattutto, Harlem, in costante e colpevole fuoricampo, e l'eccezionalità di Lucas, gangster negro sui generis, a scapito dell'usurato poliziotto (classica dicotomia tra rigore professionale e vita privata alla deriva, e non solo) di Crowe, divo della stessa grandezza di Washington, e indi con pari numero di inquadrature nel film. Qualcuno potrà abboccare nei virtuosismi registici di Scott, che porta la camera là dove pochi altri riuscirebbero, ma è anche vero che nessuno gliel'aveva chiesto. Peccato, due ottimi attori quasi sprecati e una vita - quella del vero Frank Lucas - sofisticata.
PS: Speriamo vada meglio con altri tre progetti messi in cantiere da una Hollywood sempre più sotto effetto stupefacente (sarà lo sciopero degli sceneggiatori?): doppio "spin-off" per l'heroin dealer Leroy "Nicky" Barnes: una serie tv prodotta da Forest Whitaker e il documentario diretto da Marc Levin, appena uscito nelle sale americane; il biopic sul narcotrafficante Jon Roberts, già oggetto del doc. Cocaine Cowboys, con il volto di Mark Wahlberg. (Federico Pontiggia)
"Dalla storia vera del trafficante di eroina di colore che, alla morte del suo boss, cambiò le regole e conquistò il mercato, il regista di 'Blade Runner' trae un romanzo criminale di formazione nel contesto del nascente capitalismo della droga, affidato a un divo sicuro. Croce e delizia. Perché da un lato Washington imposta la sua regolare recitazione forte e concentrata intorno a un eroe negativo che inventa un suo modo di fare mercato con un certo stile. Dall'altro lato, proprio l'eleganza dell'attore, la sua tradizione borghese di 'nero emancipato', riducono l'impatto del ruolo, patinandolo di letteratura nel gusto realistico- pop del film. Neanche l'antagonista, il poliziotto Roberts (un forte Crowe) è esente dalla lista di norme intorno all'investigatore scapigliato e integerrimo. Ambientazioni coinvolgenti, ritratto d'epoca riuscito, ma risalta l'inerzia dello sguardo. Né Scorsese né Ferrara. Voglia d'intrattenimento, ma colto." (Silvio Danese, 'Quotidiano Nazionale', 18 gennaio 2008)
"Che una storia così bella sia rimasta per tanti anni sconosciuta, la dice lunga sugli Usa. Che a portarla sullo schermo, senza una sbavatura, sia il più versatile e classico dei grandi inglesi, Ridley Scott, conferma che la saga criminale resta uno dei mezzi preferiti dagli Usa per raccontare il loro lato in ombra. Magari invitando a collaborare i veri Lucas e Roberts, felici (specie Lucas) di contribuire all'edificazione del loro mito. Tanto più che il poliziotto, arrestato il gangster, diventò il suo avvocato e grazie al suo aiuto smantellò la correttissima sezione Narcotici della Grande Mela ... Ma la notizia migliore è che una vicenda così simbolica e complessa, quasi una controstoria dell'America, magistralmente scritta (da Steve Zaillian), montata (Pietro Scalia) e fotografata (Harris Savides), non ceda nemmeno un secondo alla tentazione dello stile ma resti puro, irresistibile, travolgente racconto. Servito da una regia ancora più invisibile del suo protagonista ma non meno efficace nel dare a ogni scena e a ogni personaggio il giusto peso. Senza appiattirsi sui due divi, Washington e Crowe, ma tenendoli al centro di un affresco traboccante di vivacità, intelligenza, comprimari (citiamo almeno lo sbirro traditore Josh Brolin, il padrino anglomane Armand Assante, la mammina di ferro Ruby Dee), sorretto dai ritmi e dai colori dei più spudorati anni 70. Un po' come fece anni fa il quasi-debuttante P.T. Anderson con 'Boogie Nights' e il mondo del pomo, eletto a metafora di tutta un'epoca. Ma col nitore e l'impudenza del cinema-cinema, che nel bene e nel male riesce a rendere chiara, coerente, rassicurante, perfino una storia così cupa e terribile." (Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero', 18 gennaio 2008)
"Sono due le peculiarità che fanno di 'American gangster' un poliziesco di qualità superiore. La prima è il disegno di una coppia di characters fortemente connotati, messi in opposizione ma tratteggiati, anche, dallo sceneggiatore Steven Zaillian con un'inversione particolarmente efficace degli stereotipi del genere. (...) Pur affascinante, l'opposizione non sarebbe sufficiente senza il valore aggiunto del linguaggio, che Ridley Scott (di nuovo in forma dopo un paio di film da dimenticare) usa sapientemente per stimolare nello spettatore l'attesa dell'incontro tra i due protagonisti. Il film è un'autentica lezione di montaggio: la storia è raccontata focalizzando a turno ora su Koberts, ora su Lucas; col procedere, si alternano scene più brevi, come ad accorciare le distanze fino alla convergenza dei due destini. A qualcuno sembrerà una notazione troppo tecnica ma è proprio il montaggio che, in un film del genere, dà la possibilità di emozionarsi e godersi la vicenda. Si aggiunga che Scott è uno dei pochi registi capaci di tenere sotto controllo Russell Crowe, ricavandone un'ottima performance. Quanto a Denzel Washington, non è mai tanto bravo come nelle parti da cattivo. Nel 2001 si aggiudicò l'Oscar per il poliziotto putrido di 'Training Day': chissà che il suo padrino di Harlem non gliene frutti uno di più?." (Roberto Nepoti, 'la Repubblica', 18 gennaio 2008)
"Nel copione di Steve Zaillan lo scontro, previsto e attesissimo, fra il gangster nero e il poliziotto bianco è rimandato per quasi due ore e mezza fino al sottofinale, quando Crowe arresta Washington all'uscita della chiesa sulle note di un inno religioso. A sorpresa, nel dialogo che si imbastisce in carcere, sul conflitto fra i due subentra una specie di rispettosa agnizione reciproca in cui ciascuno riconosce all'altro il diritto di rappresentare un personaggio della stessa commedia umana. In tutto ciò c'è un briciolo di verità, ma anche il palese intento di chiudere alla pari il match fra i due divi. A riportare nei termini reali questa deformazione formazione 'da cinema' ha provveduto il 31 ottobre scorso la diffusione sulla rete TV Bet un documentario in cui il vero Frank Lucas parla e straparla di sé e delle proprie gesta." (Tullio Kezich, 'Corriere della Sera', 18 gennaio 2008)
"Terry George ha scritto un primo copione per il regista Antoine Fuqua, ma il film è stato cancellato per motivi di budget. È subentrato Steven Zaillian, premio Oscar per 'Schindler's List', che ha strutturato il film alla Plutarco: le vite parallele di Lucas e di Roberts, il gangster e lo sbirro. Il problema del film è tutto lì (e si è aggravato quando, per la parte del poliziotto, è stato scelto un divo come Crowe): Lucas e Roberts devono avere la stessa presenza sullo schermo, e mentre la storia del primo è sconvolgente, quella del secondo è intessuta di cliché. Di sbirri onesti e macilenti, dalla vita privata devastata, ne abbiamo visti a centinaia. Ridley Scott si conferma un regista senz'anima: dategli un grande copione ('Blade Runner', 'Il gladiatore', 'Le crociate') e farà un grande film, dategli una schifezza ('Hannibal Lecter' docet) e farà una schifezza. Qui fa un normale poliziesco, decisamente troppo lungo (157 minuti), senza minimamente scavare nella personalità di Lucas e senza raccontare la Harlem anni '60 e '70 che dovrebbe essere molto più di uno scenario. 'American Gangster' è perfetto per una futura tesi di laurea sul tema: come prendere un'emozionante storia vera e trasformarla in un film falso." (Alberto Crespi, 'L'Unità', 18 gennaio 2008)
"Un buon film, forte, solido e ben costruito, con lampi di vero talento. (...) I1 meccanismo parrebbe elementare, schematico, senza alcune immagini o inquadrature molto belle: l'incontro assai tardivo tra i due protagonisti, le immagini di morti per overdose, un assalto, l'eleganza dei neri in cappello di chinchilla e stivali d'argento coi tacchi, un requiem sbagliato per New York: 'E' diventata una fogna a cielo aperto: tutti rubano'" (Lietta Tornabuoni, 'La Stampa', 18 gennaio 2008).
"Investire centinaia di milioni di dollari in 'American Gangster' di Ridley Scott ha già avuto il suo tornaconto, ma artisticamente i1 film denota una carenza d'idee impressionante perché associata al nome di un regista che - con 'I duellanti', 'Alien' e 'Blade Runner' - realizzò il miglior cinema di trent'anni fa, all'incirca l'epoca nella quale si conclude la vicenda di 'American Gangster', inaugurata dai traffici di eroina dal Vietnam e dalla Cambogia che la guerra favoriva. La sceneggiatura di Steven Zaillian condensa più film in uno, estenuante e ripetitivo. 'American Gangster' mescola infatti quadretti familiari patriarcali in stile 'Padrino' a solitudini poliziesche in stile 'Blade Runner' dello stesso Scott." (Maurizio Cabona, 'Il Giornale', 18 gennaio 2008)
"Seppur tratto da una storia vera, 'American gangster' è il regno artificiale del manicheismo poetico ed estetico (buono/cattivo, bianco/nero, ben vestito/mal vestito) dal continuo rilancio speculare. E Ridley Scott è sempre lui: messa in scena spettacolare ma sostanza del racconto, impeto e furore dei caratteri (sfrangiati e intagliati nel manicheismo di cui sopra) mutuati da qualcos'altro di sedimentato nella memoria cinematografica col rischio di non farsi sentire. Due ore e trenta di echi inevitabili, vicinissimi: ritmo febbrile alla Scorsese, sfida mancata tra i protagonisti alla Mann, impianto livido newyorkese alla Lumet. Brandelli di senso epico e lirismo di riporto per mancanza (o banalità) dei propri. Probabile che l'ennesimo budget miliardario abbia definitivamente seppellito il talento degli oramai lontanissimi esordi." (Davide Turrini, 'Liberazione', 18 gennaio 2008)
"Piacerà a un vasto pubblico, probabilmente. Non si può negare che 'Amencan Gangster' mantenga quel che promette. Nella fattispecie un prodotto di alta efficienza degno della factory di cinema (cioè Hollywood) più reputata del secolo. Per la saga di Frank Lucas si sono scomodati solo grandi professionals. Un famoso regista (Ridley Scott). Un grande sceneggiatore (Steve Zaillain). E naturalmente due grossi mattatori (Denzel Washington e Russell Crowe) per due ore e mezza impegnati allo spasimo a guardarsi in cagnesco, a giocare a chi è più affascinante. Particolare non trascurabile, tutti i big sono stati messi in grado di lavorare nelle migliori condizioni, con un budget superiore ai 100 milioni di dollari. Insomma 'American gangster' non delude. Ma nemmeno è il caso di dire ti manda in paradiso. Non ha il rigore antropologico dei 'Bravi ragazzi' di Scorsese né l'impatto spettacolare di 'Heat' o 'Collateral . Appartiene alla categoria dei buoni prodotti stagionali. Non dei film epocali. Come un tempo avremmo preteso da Ridley." (Giorgio Carbone, 'Libero', 18 gennaio 2008)
"Azione e psicologia, affanni e considerazioni attente di quegli anni, sul pubblico, sul privato, mentre, nonostante le necessarie pause per spiegare ed illustrare, i inarrestabili, tra sorprese, colpi di scena, scontri a fuoco, non ultimo quello che finirà per mettere i due uno di fronte all'albo dopo un assalto che consente a Ridley Scott di scrivere pagine infuocate di grande cinema. Lo assecondano, ciascuno per proprio conto, due interpreti carichi anch'essi di Oscar e alle soglie di riceverne quasi certamente degli altri. Il poliziotto è Russell Crowe, dimesso, ostinato, spesso ferito. Con modi, pur in tanto dinamismo, anche interiori. Il boss della droga è un gelido Denzel Washington, con sfumature però anche umane e, pur con momenti ironici, persino dolorose. Un duetto esemplare." (Gian Luigi Rondi, 'Il Tempo', 18 gennaio 2008)
"I1 ritmo blues dell'attore Denzel Washington è lo specchio del film, lento, fluviale, ipnotico, action con risvolto esistenziale, lievemente dopato. La cinepresa di Ridley Scott pedina ipnotica le vite incrociate di Frank Lucas (Washington) e Ritchie Roberts (Russell Crowe), il poliziotto che cerca di incastrarlo. (...) Colori ocra. ambientazione surriscaldata, una discesa epica alle origini del crimine contemporaneo. Con invenzioni visive che portano dritti all'inferno, come quelle ragazze schiave che raffinano la droga, tutte nude per non poterne sottrarre neanche un granello." (Piera Detassis, 'Panorama', 24 gennaio 2008)