Auditorium di Casatenovo. Oltre 50 anni di cinema e teatro

Chicago

Chicago

Sabato 15 marzo - Ore 21:00

Domenica 16 marzo - Ore 15:00, 17:30 e 21:00

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Miglior film a Martin Richards
Miglior attrice non protagonista a Catherine Zeta-Jones
Migliore scenografia a John Myhre e Gordon Sim
Migliori costumi a Colleen Atwood
Miglior montaggio a Martin Walsh
Miglior sonoro a Michael Minkler, Dominick Tavella e David Lee

Roxie Hart, onde biondo platino alla Jean Harlow, viso innocente e voce da bambina, ammazza l'amante che le aveva fatto credere di poterla introdurre nel mondo dello spettacolo solo per portarsela a letto. Una volta in carcere, incontra la ballerina Velma, tutta nera in caschetto alla Louise Brooks, che ha appena fatto fuori la sorella e il marito, rei di tradimento.

Si affidano entrambe al leggendario avvocato Billy Flynn, capace di far assolvere chiunque, purché pagato profumatamente. Il legale decide di attirare l'attenzione della stampa su Roxie che, già prima del processo, è divenuta una star. 

Renée Zellweger
(Roxie Hart)
Regia
Rob Marshall
Catherine Zeta-Jones
(Velma Kelly)
Prodotto da Harvey Weinstein
Marty Richards
Richard Gere
(Billy Flynn)
Montaggio Martin Walsh
Taye Diggs
(Capo orchestra)
Musiche Danny Elfman
Christine Baranski
(Mary Sunshine)
Costumi Collen Atwood
Dominic West
(Fred Casely)
Sceneggiatura Bill Condon
Lucy Liu
(Kitty Baxter)
Trucco Joanne Samuel
John C. Reilly
(Amos Hart )
Scenografia John Myhre
Queen Latifah
(Mama Morton)
Soggetto Fred Ebb
Bob Fosse
Colm Feore
(Martin Harrison)
Mya Harryson
(Mona)
Durata 1h e 53'

Valutazione Pastorale (dal sito della CNVF della Conferenza Episcopale Italiana)

Giudizio: Accettabile-riserve, brillante ***

Tematiche: Danza; Musica; Teatro

La storia di "Chicago" nasce nel 1924 quando in città una certa Beulah Annam uccise l'amante. Maurine Watkins, giornalista del Tribune, scrisse in prima pagina la cronaca dell'avvenimento e, nel 1926, una piece teatrale. Seguirono due film e poi, nel 1975, la prima versione sotto forma di musical in palcoscenico ad opera di Bob Fosse. Fermatasi dopo la morte di Fosse nel 1987, l'idea di tradurre in film quel musical é finalmente arrivata in porto con la regia di Rob Marshall, ex assistente coreografo proprio di Fosse. Il risultato é, sul piano strettamente artistico, di grande pregio e di forte efficacia. Recuperando la migliore tradizione del versante 'riflessivo' del musical (da "West Side Story" a "Cabaret"), il copione disegna un affresco crudo e impietoso della Chicago anni '20 e delle regole che ne scandivano la vita. La scarna sequenza dei fatti parla di amanti, omicidi, ricatti, soprusi, compromessi: tutto finalizzato alla volontà di arrivare al successo, costi quel che costi, anche e soprattutto fingendo, assumendo altre identità, vendendosi a vario titolo a stampa, fotografi, affaristi di commercio. Ogni momento é accompagnato da balli e canzoni: quasi sempre notevoli, coinvolgenti, anche commoventi, inseriti come contraltare 'spettacolare' dell'azione che si è appena vista. L'omicidio é spettacolo, il tribunale é spettacolo, qualcuno manovra, qualcuno é manovrato. Ne emerge una visione della vita cinica e ingannevole, che il film da un lato denuncia dall'altro fa scorrere con naturalezza dentro il rutilante luccichio della messa in scena. Dal punto di vista pastorale, se é positivo il collocare ambienti e personaggi nella loro palese negatività, riserve vanno espresse per il fatto che un film di taglio brillante possa non far capire in pieno l'amarezza di una visione della vita dove tutti servono a tutti e con l'inganno si ottiene libertà.

Utilizzazione: per quanto detto sopra, il film, sia in programmazione ordinaria sia in altre circostanze, é da utilizzare per spettatori adulti, tenendo ben netta la distinzione tra l'alto livello professionale dello spettacolo e la distanza comunque da prendere, sotto il profilo etico e morale, dai fatti raccontati e dai tipi di vita proposti.

La critica

"Claustrofobico nelle parti che riguardano la 'realta', il film è brillante e divertente nelle scene coreografate, che si offrono come altrettanti omaggi al genere e in cui il regista (esperto del palcoscenico, ma al debutto al cinema) riesce a dare il meglio di sé. Ciò detto, il fondo è pessimista, cupo perfino, come un musical del tempo che fu non si sarebbe neppure sognato". (Roberto Nepoti, 'la Repubblica', 22 febbraio 2003)

"Niente di male, se il 'Chicago' di Marshall non si limitasse a riverniciare a nuovo un centone di luoghi comuni sui perversi intrecci fra la gloria e il delitto, l'assassinio e l'entertainment. Puntando tutto sugli effetti di montaggio, anziché sulle coreografie vere e proprie (una barbarie per gli amanti del musical, a meno di chiamarsi Busby Berkeley). E su un cast abbastanza stravagante per far colpo, ma tutt'altro che ispirato. Chi si aspettava che Renée Zellweger sapesse danzare? Nessuno, forse nemmeno lei. Difatti ha imparato a ballare, tecnicamente parlando, ma dai suoi movimenti perfetti non trapela il minimo pathos. Va meglio con l'atletica Catherine Zeta-Jones, meno digiuna in materia, ma anche qui siamo lontani dall'emozione di una ballerina vera. Basta poi aggiungere al mazzo un improbabile Richard Gere 'singing and dancing', e il quadro è completo. Siamo di fronte a un puro prodotto, fabbricato da cima a fondo con tenacia e perizia, ma lontano da un vero musical - genere che esige una dedizione quasi religiosa - quanto una scatoletta di tonno può esserlo dal marlin pescato da Hemingway nei Caraibi. (...) Ma forse non è giusto accusare 'Chicago'. Perché in fondo è il perfetto emblema di ciò che sta diventando molto cinema americano. Un prodotto in cui nulla si crea ma tutto si ricicla. Uno spettacolo in cui tutto è citazione ma è scomparsa l'eccitazione delle prime volte, come sempre accade quando un'arte non guarda più fuori ma solo dentro se stessa". (Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero', 7 febbraio 2002).

"Sostenuto da una formidabile scienza di ballettologo, nutrita di citazioni di Fred Astaire, Marilyn, Busby Berkeley e altri grandi del Pantheon cinemusicale, Marshall ripropone la vicenda in una prospettiva intellettuale che verrebbe voglia di definire più europea che americana. E' evidente, negli spunti ironici e corrosivi di satira sociale, il potente modello di 'L'opera da tre soldi' di Brecht e Weill; ma qualcosa nel modo di raccontare sembra ispirarsi ai giochi di memoria di Alain Resnais quando alla realtà si sommano le fantasie in un succedersi di lampi nevrastenici e rutilanti. Bisogna riconoscere che Hollywood, con film come questo, sta facendo un magnifico sforzo nella direzione di un cinema moderno, rinnovando quadri e stili". (Tullio Kezich, 'Corriere della Sera', 22 febbraio 2003)

"Con lo sceneggiatore Bill Condon, Marshall ha avuto un'idea brillante: rappresentando la realtà trasfigurata attraverso gli occhi dell'attricetta Zellweger, tutta presa dai sogni di celebrità, i numeri musicali non vanno a interrompere il racconto, ma vi s'intrecciano in un montaggio frenetico. Con un risultato che potrebbe risultare troppo frammentario, se non fosse per il carisma accattivante degli interpreti. Dei tre protagonisti, solo la Zeta-Jones può vantare un'esperienza di ballerina e si vede; ma la Zellweger e Gere, ben guidati da Marshall, hanno saputo risolvere il problema da veri attori, giocando di stile. Ne esce un film d'impeccabile professionalità e di gran divertimento, che trasuda una consolidata cultura dello spettacolo. Cosicché alla domanda iniziale è facile rispondere che oggi il musical è più vivo che mai". (Alessandra Levantesi, 'La Stampa', 7 febbraio 2003)

"Su tutti, naturalmente, le molte occasioni delle due protagoniste, una Renée Zellweger perfezionista e perfetta (pare davvero la Ginger Rogers un po' buzzurra e disarmata dei film non musicali) e una Catherine Zeta-Jones che, ballando, cantando e tentando disperatamente di risalire ai favori della cronaca, riscatta tanti personaggi mediocri; non sarà Liza Minnelli, non ne ha la voce né il carisma, ma ha un impatto corporeo sbrigativo e un po' sciatto che ogni tanto la richiama. Qualche volta è l'imperfezione a fare la differenza, e Chicago ci dimostra cosa può essere il musical oggi, come il ballo e il canto possono assorbire la narrazione senza soluzione di continuità, come il fasto può raccontarci la miseria". (Emanuela Martini, 'Film Tv', 25 febbraio 2003)

"Sarà che non ho mai visto lo spettacolo di Bob Fosse a Broadway (era sempre tutto esaurito, maledizione), ma mi sono parecchio divertito a vedere sullo schermo la ballata della nera 'Chicago'. Fedele allo spartito, Rob Marshall danza con estri virtuosi fra un tetro carcere (il braccio della morte è vicino) e le luci del varietà, cantando la favola delle due assassine che volevano essere famose. Tutti sono bravi: Richard Gere si ricorda di essere stato al 'Cotton Club' e fa la sua arringa da cattivo avvocato a tempo di tip tap; Renée Zellweger, stufa di fare la casalinga grassottella, e Zeta-Jones si contendono la scena con furia criminale; ma il migliore forse è John C. Reilly marito invisibile. La morale è cinica e crudele. Contro le Gang di Scorsese sarà una bella gara come Oscar anti-patriottico e per niente innocente". (Claudio Carabba, 'Sette', 27 febbraio 2003)

"Il film, premiatissimo dalla stampa estera in Usa che gli ha dato tanti Golden Globe e una spinta verso l'Oscar, non esiste. Il quarantenne Rob Marshall è coreografo e regista di musical teatrali, ha appena diretto un suo Cabaret a Broadway, e incolla quadri di numeri musicali uno dopo l'altro con un effetto di ricchezza visuale, una abbondanza alla 'Moulin Rouge'. 'Chicago' è il suo esordio al cinema, che però è un tableau freddo di esercizi coreografici. E non basta l'idea di Bill Condon per liberare gli attori dall'imbarazzo, anche se ballano e cantano solo nei sogni di Roxie. Catherine Zeta-Jones a momenti sembra Cyd Charisse e s'impone con la sua carica erotica sul palco nel numero 'All That Jazz', ma l'eco si perde subito nel vuoto drammaturgico di Marshall, che riduce la disperata sfida dell'esistere in una farsetta dove il povero Richard Gere è costretto a restare in mutande, e che mutande. Dei boxers a striscioline pallide, che l'ex American Gigolò finge di sfilarsi circondato da un muro di girls. Commedie acidissime come 'Prima pagina' di Ben Hecht mettono unghie e comicità al vetriolo nella regia di Howard Hawks e Billy Wilder. Questa pièce arrivata al grande schermo sembra solo uno spunto di mondanità, un'allusione mucciniana alle Veline, alla voglia di apparire, piuttosto che una radiografia della Chicago gangster, giungla e paradiso. Le mitragliette bianche che spuntano in mano alle ballerine, ormai rassegnate al duetto - due assassine valgono più di una al botteghino - gettano sul film una luce di quella Broadway per cui i turisti fanno la fila a Times Square". (Mariuccia Ciotta, 'Il Manifesto', 7 febbraio 2003)

Catherine Zeta Jones

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