Mi chiamo SamI am sam |
Sabato 6 aprile | Ore 21:00 |
Domenica 7 aprile | Ore 15:00, 17:30 e 21:00 |
Sam Dawson è un padre mentalmente ritardato che cresce la propria figlia Lucy con l'aiuto di uno straordinario gruppo di amici. I problemi iniziano quando Lucy compie sette anni e sviluppa capacità intellettive superiori a quelle del padre: il loro legame affettivo viene minacciato da un'assistente sociale che vorrebbe dare Lucy in affidamento a una famiglia più adeguata. Sam inizia una lotta insieme a Rita Harrison, un'abile e super efficiente avvocato.
Rita Harrison Michelle Pfeiffer |
Regia Jessie Nelson |
Sam Dawson Sean Penn |
Musiche John Powell |
Annie Dianne Wiest |
Sceneggiatura Jessie Nelson |
Margaret Calgrove Loretta Devine |
Scenografia Aaron Osborne |
Ifty Doug Hutchison |
Montaggio Richard Chew |
Randy Carpenter Laura Dern |
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Lucy Diamond Dawson Dakota Fanning |
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Turner Richard Schiff |
Durata: 2h e 10' |
Valutazione Pastorale (dal sito dell'Associazione Cattolica Esercenti Cinema - ACEC)
Giudizio: Accettabile, semplice, dibattiti
Tematiche: Bambini; Famiglia - genitori figli; Handicap
Cinema e handicap: le consuete osservazioni avanzate già in altre circostanze. Se il cinema europeo, che ha la pretesa autoriale del 'realismo', utilizza handicappati 'veri', quello americano trova nell'handicap il punto di partenza per mettere in mostra esemplari prestazioni attoriali (qui Sean Penn, come in passato Dustin Hoffmann). In entrambi i casi non mancano rischi e pericoli di vario tipo: la facile commozione, la immediata contrapposizione tra buoni e cattivi (qui il perfido pubblico ministero), qualche accomodamento sul piano narrativo per facilitare la soluzione finale. Ne deriva che evidenziare difetti è esercizio forse a sua volta superfluo. Un cinema che affronti questi temi serve, è comunque utile, mette lo spettatore di fronte a situazioni quotidiane difficili che richiedono saggezza, capacità di giudizio, sincerità e fanno parte di un vivere civile che coinvolge tutti i cittadini. Dire che il film è lungo (132'), un po' zuccheroso e ripetitivo non significa togliergli il merito di metterci di fronte a situazioni che comunque esistono e ci interpellano. Dal punto di vista pastorale, il film è dunque da valutare come accettabile, semplice nello svolgimento e adatto a dibattiti.
Utilizzazione: il film può essere utilizzato in programmazione ordinaria, e con più pertinenza in occasioni mirate per avviare riflessioni sui temi attuali che propone.
"Superperformance di Sean Penn, che ci dà dentro per rendere le difficoltà del protagonista disabile mentale. Film a tesi, lacrimevole e correttissimo fino alla scorrettezza. Bellissima Pfeiffer condannata a un ruolo senza spigoli. Sena Penn è uno dei grandi attori del nostro tempo. Un suo film merita sempre di essere visto, anche quando il metodo Actor's studio gli prende la mano". (Piera Detassis, 'Panorama', 10 gennaio 2002)
"Un padre minorato psichico lotta per crescere sua figlia, che il tribunale vuol dare a una famiglia adottiva. Melodramma? Macché: commedia, sia pure strappalacrime come non si vedeva da anni. Perché Sean Penn è strepitoso, Los Angeles non è mai stata più colorata e più triste. E la regista Jessie Nelson, mano felice, usa tutto con grazia: i Beatles, 'Kramer contro Kramer', un impagabile coro di amici 'strambi' (veri minorati e grandi caratteristi), Michelle Pfeiffer rampante redenta. Arte o furbizia, a 'Mi chiamo Sam' non si resiste". (Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero', 15 marzo 2002)
"Nei primi minuti del film, un uso nervoso della cinepresa tenta di rendere il senso dell'instabilità del protagonista; poi Jessie Nelson se ne scorda e si concentra sul suo programma ricattatorio. Con che diritto si potrebbero criticare intenzioni tanto buone - se non oneste - edificanti - se non sincere - condivisibili da chiunque non sia nemico del bene, della giustizia e dell'amore? Non saremo certo noi a dire che, a far piangere così, ci vuole poco; o che, quanto più gli occhi ti diventano lucidi, tanto più ti arrabbi con chi ti sta estorcendo emozioni a comando. Né saremo noi a sostenere - quando mai? - che Sean Penn abbia scelto consapevolmente, in vista degli Oscar, il tipo di parte da minorato sublime a cui i distributori di statuette pare non sappiano resistere". (Roberto Nepoti, 'la Repubblica', 17 marzo 2002)
"Quando Hollywood decide che scade la cambiale dell'handicap. Se va bene, vien fuori 'Rain Man'. Se va male, ti trovi nell'artificio a scopo di estorsione: soldi, benevolenza, compassione, consolazione. Penn si concentra come un allievo dell'Actor's Studio per fare un cameriere che, dotato di quoziente intellettivo di 7 anni, alleva la figlia dopo la fuga della madre (...) Divertente la sua mania per i Beatles, ma è troppo colta. In fondo onesta la questione che pone. Per questo è un film doppiamente colpevole". (Silvio Danese, 'Il Giorno', 14 marzo 2002)
"Sean Penn è candidato all'Oscar per il migliore attore, e magari lo vince. Non tanto perché sia bravo come è, quanto perché interpreta un ritardato mentale e si conosce l'equivalenza hollywoodiana per i malati (...) Al pathos della malattia si somma in 'Mi chiamo Sam' il pathos del bambino: il protagonista ritardato mentale è padre di una bambina della quale si è sempre occupato con amore ed efficienza dopo l'abbandono della madre". (Lietta Tornabuoni, 'La Stampa', 22 marzo 2002)