Auditorium di Casatenovo. Oltre 50 anni di cinema e teatro

The Artist

The Artist

Sabato 25 febbraio - Ore 21:00

Domenica 26 febbraio - Ore 16:00 e 21:00

OscarOscarOscarOscarOscar

Miglior film
Miglior regista
Miglior attore protagonista
Migliore colonna sonora
Migliori costumi

Hollywood 1927. George Valentin é un divo del cinema muto all'apice del successo. Nel 1929 però tutto cambia. Il cinema acquista la parola e con l'arrivo dei film sonori Valentin scivola nell'oblio. In parallelo la giovane Peppy Miller, che aveva cominciato con lui come comparsa, diventa a poco a poco grande protagonista. Quando George, ormai in disgrazia e senza soldi, è sull'orlo del suicidio, Peppy arriva in tempo per salvarlo. Subito dopo la ragazza gli propone una copione da realizzare all'insegna di musica e tip tap. Il provino che fanno insieme trova grande consenso: l'inizio per George di una nuova carriera.

Regia: Michel Hazanavicius

Interpreti: Michel Hazanavicius

Sceneggiatura: Jean Dujardin, Bérénice Bejo, John Goodman, James Cromwell, Missi Pyle, Penelope Ann Miller, Malcolm McDowell

Fotografia: Guillaume Schiffman

Montaggio: Tariq Anwar

Musiche: udovic Bource

Durata: 1 ora 1 40 minuti

 Biglietti esselunga Vieni al cinema alla domenica sera - a Casatenovo costa meno Prendi sei e paghi cinque - Tessere a scalare

Valutazione Pastorale (dal sito della CNVF della Conferenza Episcopale Italiana)

Giudizio: consigliabile, poetico, dibattiti **
Tematiche: Cinema nel cinema; Storia

"Il mio punto di partenza -dice Hazanavicius- è stato un attore del muto che non vuole saperne del sonoro... appena mi è venuta in mente l'idea della giovane stellina e dei destini incrociati, tutti gli elementi hanno iniziato ad avere un senso, compresi i temi: orgoglio, celebrità, vanità. Una visione dell'amore molto all'antica, molto pura. I film che a mio parere sono invecchiati meglio sono i melodrammi. Storie d'amore molto semplici che hanno dato vita a grandi film, addirittura a capolavori...". Il regista francese ha voluto spiegare bene le motivazioni di un'opera così azzardata: non un film sul cinema muto, ma proprio un film interamente muto, con poche didascalie esplicative. E naturalmente in Bianco&Nero. Certamente un azzardo, una scommessa, vinta grazie alla vigorosa intensità delle immagini e dei volti degli interpreti. Hazanavicius riesce a non far cadere sullo spettatore il peso della ricerca formale, e anzi a trasmettere il senso di un'estetica visiva, che si fa veicolo di stupore e di bellezza. Il gioco a specchi del cinema nel cinema diventa suggestione nostalgica e moderna. La storia d'amore tra George e Peppy si fa struggente favola nell'intreccio tra realtà e finzione, e la forza degli sguardi mette a nudo quanto di superfluo ha creato il cinema successivo per mascherare vistose carenze espressive. Un prodotto di qualità per un film che, dal punto di vista pastorale, è da valutare come consigliabile, poetico nell'insieme e adatto per dibattiti, laddove lo si voglia prendere come spunto per parlare del momento di passaggio tra muto e sonoro.

Utilizzazione: il film è da utilizzare in programmazione ordinaria, e da proporre anche in seguito per la sua intensa originalità narrativa.

The Artist

cinematografo.it - Fondazione ente dello spettacolo ***** Muto, ma parla alla testa e al cuore: premiato a Cannes e in odore di Oscar, il com'eravamo di Michel Hazanavicius merita sonori applausi...

E’ muto, quasi muto, eppure parla: al cuore e alla testa. E’ The Artist, diretto dal francese Michel Hazanavicius, che reduce dalla rievocazione di genere di OSS 117 ci riporta indietro nel tempo della settima arte, quando le labbra si muovevano ma non usciva alcun suono. Hollywood, 1927: George Valentin è una superstar del muto. Avete in mente Rodolfo Valentino e William Powell, ecco, ma Jean Dujardin, l’attore che lo interpreta, non teme confronti, tanto è bravo, ammiccante, ironico e charmant. Non a caso, è stato il miglior attore di Cannes 64.

E non sono solo mossette e mossettine: accompagnato dal suo fedele e istrionico cagnolino, può tutto, compreso sbattere in prima pagina su Variety la ragazza che all’uscita dall’ennesima proiezione trionfale gli si para davanti. Osmosi di successo: Peppy Miller (Bérénice Bejo, stupenda e sensuale, due eufemismi) farà di quel contatto carriera, fino a ritrovarsi nei titoli di testa con gli stessi caratteri cubitali che sulla Bibbia del cinema si chiedevano: “Who’s that girl?”.

Madonna, insomma, è lei: neo finto, occhi che hanno senza chiedere e un’attrazione che non scema per il (non) suo George. Che, viceversa, se la passa male: arriva il ’29, soprattutto arrivano i talkies, i “film parlanti”, un incubo che non può accettare. Rifiuto ricambiato: la Kinograph lo scarica per puntare proprio su Peppy, lui si produce e dirige da solo per un flop muto, ma colossale. La moglie se ne va, perché nemmeno con lei George parla, e si porta dietro la casa: George prende residenza nell’oblio dei fan, ridotto al bicchiere e forse pura a una pallottola in testa. Per fortuna, c’è chi resta, e gli resta vicino: Peppy se ne prende cura, troppa cura, finché...

Già inserito in extremis nel Concorso di Cannes 64 e premiato, The Artist potrebbe agevolmente inserirsi in palmares ai prossimi Oscar: con gli attori protagonisti, e in prima persona, come già "preannunciato" dai critici di New York e Washington. Operazione dichiaratamente postmoderna nella rievocazione di quella transizione muto-sonoro che ritorna oggi nello switch tra pellicola e digitale, sala e rete, non ha nel calligrafismo e nell’esibita perfezione la freddezza del metacinema quando si fa troppo cerebrale: l’arte pulsa, ma il cuore batte emozioni eterne. Anche se non le udiamo, le sentiamo altrove, eccome.

Nel cast anche la star Penelope Ann Miller (sosia dei bei tempi andati di Singin’ in the Rain), il produttore John Goodman e l’extra Malcom McDowell (Singin’ in the Rain nella seconda versione di Arancia meccanica?), il film non solo è lo struggente e charmant com’eravamo del cinema, ma il come siamo oggi, magari con gli attributi cambiati un po’. Ma intatta è la canaglia nostalgia per un cinema che non è più. Ed è ancora. Lunga vita a The Artist! (Federico Pontiggia)

The Artist

La critica

"Un film in bianco e nero e completamente muto: la scommessa non poteva essere più rischiosa eppure Michel Hazanavicius l'ha vinta a mani basse, raccogliendo finora l'applauso più caloroso e entusiasta della stampa. (...) La storia di 'The Artist' è di quelle che rassicurano il pubblico (ascesa e caduta di un divo del muto ma con riscatto e lieto fine incluso), a ricordarci che il cinema che regala sogni e non incubi ha ancora i suoi fan, pure tra i paladini della 'politique des auteurs'. (...) Girato come un vero film muto, con il formato quadrato e le didascalie per spiegare i dialoghi, fotografato in un raffinato bianco e nero d'epoca, il film gioca con l'immaginario di Hollywood dove tutti i produttori sono grassi e fumano sigari giganteschi e racconta il momento cruciale del passaggio dal muto al sonoro: il vecchio divo (Jean Dujardin) non vi si adegua mentre la giovane comparsa sì (Bérénice Bejo), condannando all'oblio il primo e al successo la seconda. Ma il piacere del film non è tanto nel seguire la storia quanto nel modo in cui il regista gioca con gli ostacoli che gli derivano dal girare un film senza parole e che trovano nel sogno del protagonista (ogni cosa fa rumore ma lui non riesce a emettere un suono) il suo momento più esilarante e indovinato." (Paolo Mereghetti, 'Il Corriere della Sera', 16 maggio 2011)

"'The Artist' è la 'bomba' che non ti aspetti. Un film in bianco e nero, muto, pieno di rimandi, che parla di cinema nella Hollywood degli anni 30. Sembra il classico paradosso che piace tanto ai francesi, l'anti Avatar che strappa applausi in piena 3D mania. Una follia. Invece non c'è traccia di leziosità intellettuale, e i critici, evento rarissimo, sono entusiasti. (...) Più tardi, un altro trionfo: tredici muniti di applausi dal pubblico. La platea, superati i primi cinque minuti (necessari per prendere le misure, 'sintonizzarsi' sulla preistoria del cinema, abituarsi ai mancati dialoghi) si distende e capisce che le possibilità emotive delle immagini sono infinite, anche se guardano indietro invece che al domani tecnologico. Finora, è la sorpresa del festival. (...) Questo film è una storia d'amore e un atto d'amore per il cinema" (Valerio Cappelli, 'Il Corriere della Sera', 16 maggio 2011)

"Ci sono film fatti con tanta minuziosa passione che non sembrano frutto del lavoro di un autore e nemmeno dei suoi collaboratori, ma di tutti coloro che diedero forma, in origine, al mondo rievocato; e forse di tutti gli spettatori che hanno tenuto in vita quel mondo esistito solo al cinema per pochi decenni ma ancora vivo nella nostra memoria, dunque in certo modo più vero del vero. È il caso dell'irresistibile 'The Artist' di Michel Hazanavicius, osannato dalla migliore platea che potesse augurarsi un lavoro simile. Una tribù cosmopolita di cinefili pronti a andare in estasi per ogni dettaglio di questo film muto fatto proprio come ai tempi del muto, dalle luci ai costumi, dai titoli di testa al gioco delle inquadrature, dalla magistrale colonna sonora al linguaggio del corpo e ai mille prestiti e citazioni con cui Hazanavicius e i suoi portentosi protagonisti, Jean Dujardin e la franco-argentina Bérénice Béjo, danno vita a personaggi e intreccio." (Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero', 16 maggio 2011)

"Regalo di Cannes ai cinefili, che in Francia sono quasi un partito politico. 'L'artista' di Michel Hazanavicius (cognome lituano, ma è nato a Parigi) è il trionfo della citazione colta e popolare al tempo stesso, è un gioco di 'cinema nel cinema' raffinatissimo che ha strappato un lunghissimo applauso alla proiezione stampa. Ed è anche un film coraggioso: è in bianco e nero e totalmente muto, con le didascalie, come i gloriosi film ante-1927. (...) Giocato sui registri del mélo e della commedia musicale, ma con un'ironia di fondo che lo rende di fatto una commedia, 'L'artista' è un curioso esperimento di stile in cui la cinefilia non deborda e permette al film di essere godibile. Ci sono alcuni attori anglofoni (John Goodman, Malcolm McDowell, James Cromwell) ma i due protagonisti sono francesi: Jean Dujardin è un comico televisivo che in Francia è una star, Bérénice Bejo è un'attrice nata in Argentina che a teatro ha fatto anche 'L'opera da tre soldi'. Sono bravissimi: basterebbe il numero di tip-tap nel finale per consacrarli hollywoodiani ad honorem." (Alberto Crespi, 'L'Unità', 16 maggio 2011)

"Sorpresa, il film-rivelazione di Cannes 2011 è muto e in bianco e nero. E conquista la Croisette nell'era del 3D, tra cupissime storie d'autore e blockbuster fracassoni. Cade giù la sala dalle ovazioni quando scorrono i titoli di coda di 'The Artist', diretto dal regista francese Michel Hazanavicius e invitato al Festival in extremis, a pochi giorni dall'inaugurazione. Sia la stampa internazionale sia il pubblico in abito da sera rimangono incantati da quest'opera originalissima, ambientata negli anni Venti, che ha per protagonista un divo del cinema muto silurato da Hollywood all'avvento del sonoro e poi risorto grazie all'amore di una donna. E' un film esilarante, pieno di grazia ed eleganza, un omaggio al cinema del passato. Lo interpretano, applauditissimi, Jean Dujardin e Bérénice Bejo. Risate e battimani scandiscono la proiezione e ce n'è anche per il cane, un personaggio in piena regola che strappa boati di entusiasmo." (Gloria Satta, 'Il Messaggero', 16 maggio 2011)

"La rivelazione di questo Festival s'intitola 'L'artiste', è un film muto, è un film in bianco e nero e quando finisce ti rendi conto che il cinema è questa cosa qui, la recitazione e l'immagine, la musica, il racconto scritto e l'emozione che l'insieme trasmette. (...) Il film è un film francese, e già questo è significativo: il regista si chiama Michel Hazanavicius, da noi purtroppo sconosciuto, ma le sue parodie dei film anni Sessanta di 'OSS 117' (lo '007' d'oltralpe), ne hanno fatto in patria un campione d'incassi. Francese è Jean Dujardin, attore popolarissimo fra i suoi connazionali; Bérénice Bejo è invece argentina di nascita, ma francese d'elezione, nonché moglie dello stesso Hazanavicius. 'L'Artiste' è però anche un omaggio al cinema americano dell'età del jazz, quando King Vidor, Lang, Murnau e Lubitsch sbarcano a Hollywood per girare le prime grandi produzioni, Hitchcock e John Ford muovono i primi passi, Billy Wilder debutta come sceneggiatore. E' un omaggio che si avvale di grandi caratteristi, James Cromwell, John Goodmann, addirittura Malcom McDowell in un brevissimo cameo, e del décor che segnò quell'epoca: la casa di Peppy Miller, l'attrice che il parlato porta al trionfo e che sarà l'ancora di salvezza di Valentin, è quella di Mary Pickford, così come il letto in cui Valentin si sveglia dopo l'incendio che gli ha distrutto la casa. Ironico e malinconico, 'L'Artiste' non è una parodia né un pastiche, ma intelligentemente e con leggerezza recupera lo spirito di un mondo scomparso e lo fa rivivere sotto i nostri occhi." (Stenio Solinas, 'Il Giornale', 16 maggio 2011)

"Come fare un film muto, in bianco e nero, con le didascalie, una star col balletto alla Fairbanks, una fanciulla timida e un cane così simpatico che chiama la battuta: 'Gli manca solo la parola', e avere successo. Nel 2011? Sì. A Cannes? Al festival internazionale del cinema di Cannes. Quando? Ieri, oggi. E domani. Diretto dal francese Michel Hazanavicius, 'The Artist', che doveva figurare fuori concorso e ora si trova in competizione tra i papabili a un premio, ha il fascino dell'antichità rivisitata, l'ironia dell'attualità decaduta e mitizzata e una dose di romanticismo esplicito che lo salva dal sospetto di operazione nostalgica. Anzi, è una sfida decidere di azzerare i modelli di comunicazione cinematografica del terzo millennio e riportare il pubblico indietro di ottant'anni, espressioni marcate, volti sovrapposti ad antiche memorie, gesti puntualizzati." (Silvio Danese, 'Nazione- Giorno - Carlino', 16 maggio 2011)

"Un film muto e in bianco e nero sugli splendori e le miserie della vecchia Hollywood: una scommessa azzardata sulla quale pochi avrebbero avuto il coraggio di puntare, ma una scommessa stravinta. Perché 'The Artist', il film dello sconosciuto Michel Hazanavicius messo all'ultimo minuto in concorso dal direttore Thierry Fremaux, è la vera rilevazione di questo festival disseminato di celebrati maestri." (Titta Fiore, 'Il Mattino', 16 maggio 2011)

"Risate, applausi, spettatori rapiti, almeno quelli un po' più agée. Inserito all'ultimo momento in gara, 'The Artist' di Michael Hazanavicius, potrebbe essere l'outsider che spiazza le previsioni di un concorso grandi firme. (...) La scommessa era temeraria, ma, stando all'accoglienza della stampa, Hazanavicius l'ha vinta su tutta la linea. (...) Il viaggio nel passato è reso possibile dalle prove degli attori, stupendi interpreti di un'epoca leggendaria che non hanno avuto la fortuna di vivere. (...) Bérénice Bejo, che sembra fatta apposta per il look Anni 20, ha superato i timori fidandosi a occhi chiusi dell'autore. (...) L'altra magnifica presenza di 'The Artist' è John Goodman, nei panni del produttore Al Zimmer, stazza imponente e sigaro in bocca, come nella migliore tradizione dei tycoon hollywoodiani." (Fulvia Caprara, 'La Stampa', 16 maggio 2011)

"Sicuramente è un esercizio di stile, ma anche se fosse solo quello (e non è) il film 'The Artist' del regista francese Michel Hazanavicius, passato in concorso qui al Festival di Cannes, sarebbe sicuramente un bell'esercizio di stile. Anomalo, per cominciare. Il film infatti è muto (o meglio: non parlato), proprio come muto era il cinema delle origini, è girato con lo stile e il formato della pellicola di allora, in bianco e nero, naturalmente e si ispira al filone avventuroso-romantico tipico di molte pellicole dell'epoca che rimestavano in un certo qual esotismo da cartolina per titillare l'immaginario di un pubblico che non conosceva ancora (fortunatamente) le gioie effimere del turismo low cost o della crociera 'all inclusive'. Ma il film, come accennavamo, è anche qualcosa di più: il tentativo di rintracciare e descrivere quel particolare momento, alla fine degli anni Venti del secolo scorso, in cui il cinema progredendo tecnicamente, passava dal muto al sonoro. Oggi forse non ne percepiamo interamente la portata storica ma allora fu veramente un passaggio epocale." (Andrea Frambrosi, 'L'Eco di Bergamo', 16 maggio 2011)

"E' muto, ma parla: al cuore e alla testa. E' 'The Artist' del francese Michel Hazanavicius, che ci riporta indietro ai bei tempi della settima arte, quando le labbra si muovevano ma senza profferire verbo. Hollywood, 1927, George Valentin (Jean Dujardin, miglior attore a Cannes) è una superstar del muto, stile Rodolfo Valentino e William Powell: accompagnato dal suo istrionico cagnolino (Uggy), può tutto, compreso fare di una figurante, Peppy Miller (Bérénice Belo, sensuale), una diva. Viceversa, lui se la passerà male: arriva il '29, soprattutto arrivano i talkies (i film parlanti), un incubo che non può accettare. Rifiuto ricambiato: la Kinograph lo scarica per puntare proprio su Peppy... Operazione postmoderna che nella transizione muto-sonoro evoca l'odierno switch over pellicola-digitale, non ha però nella perfezione estetica la freddezza del metacinema cerebrale: l'arte pulsa, il cuore batte emozioni eterne. E dietro lo struggente, romantico passo a due di George e Peppy, spunta la canaglia nostalgia per un cinema che non è più, ed è ancora. Lunga vita a 'The Artist'!" (Federico Pontiggia, 'Il Fatto Quotidiano', 8 dicembre 2011)

"II b&n silenzioso di 'The Artist' incantò Cannes e i cinephiles stanchi della (e)motion-capture, felici di ritrovarsi tra i fotogrammi delle origini. L'emozione però non vive di rendita. La Hollywood 1927 rivista dal quarantenne francese Michel Hazanavicius ('Oss-117', prequel popolare di Bond) è a rischio banalità d'autore e si presta ad allegre sviste filologiche, meno divertenti di quelle dichiarate di Woody Allen ('Midnight in Paris'). Il regista, che pur evoca nelle dichiarazioni Murnau, Borzage, Vidor e Chaplin, ha in mente il cinema camp anni 50, la fiammeggiante 'sf', comic e esotismi da Drive-in trasferiti sul confine del sonoro per il suo omaggio al silent-movie. L'attore sorpreso dalla parola e precipitato nella polvere a causa di una voce stonata è il leit-motiv di molto cinema, da 'Cantando sotto la pioggia' in poi, ma non bastano gag di repertorio per ritrovare il fascino del muto. (...) Cinema anti-realista contro la volgarità dello schermo parlante che decreterà la fine delle divinità alla Garbo e il successo di starlette come Peppy Miller (Bérénice Béjo), esordiente senza glamour, pronta a detronizzare Valentin. Dopo un prologo scoppiettante, tutto equivoci esilaranti, e l'apparizione dei grandi John Goodman (produttore con sigaro), James Cromwell (maggiordomo), Penelope Ann Miller (moglie) e Malcolm McDowell in delizioso cameo, il film sprofonda nel vuoto depresso dell'ex divo impoverito e frustrato, produttore di un se stesso 'artista' fuori moda. Il fantasma dei pionieri fatica a mostrarsi in una storia che gira a vuoto, tra tentati suicidi, pellicole messe al rogo, ridicoli remake dei grandi film del secolo scorso. Una nascita del cinema ammazzata nella culla, che si divincola dalla caricatura, non concede le sue bellezze e neppure il gusto della parodia." (Mariuccia Ciotta, 'Il Manifesto', 9 dicembre 2011)

"Questo film diretto dal francese Michel Hazanavicius, ha soprattutto una virtù eccezionale quasi dimenticata dal cinema: con una storiella vecchia come il cucco riesce, proprio perché muto, proprio perché in bianco e nero, proprio perché di massima elegante, raffinata semplicità, a commuovere. Travestito da film girato alla fine degli anni 20 anche con una lieve accelerazione delle immagini, 'The artist' racconta del cinema hollywoodiano di quegli anni, quando l'avvento del sonoro lo rivoluzionò. (...) 'The Artist' trae dalla sua incongruenza la capacità di divertire, perché restano muti pure i film parlati e il set, e le strade, come se il mondo si fosse azzittito nello sguardo e nei pensieri del disperato Valentin." ('Repubblica', 9 dicembre 2011)

"Da quando è stato visto la prima volta a Cannes, 'The Artist' ha fatto molto parlare di sé, tanto che - cosa incredibile solo a pensarci - lo troveremo distribuito nelle nostre sale in un dei periodi più difficili per il cinema che non sia 'panettone'. (...) Insomma, non si tratterà mica e per davvero di un film muto come si facevano all'epoca? Ebbene sì. Il nostro impavido, quanto furbo regista Hazanavicius ha voluto intendere proprio quello. Ora, qualche produttore pazzo ancora c'è in giro per il mondo, e il signor Thomas Langmann è uno di quelli. Da vero produttore ha capito che sotto c'era qualcosa. Così è stato. Hazanavicius ha fatto il film che voleva e la macchina dell'informazione ha sposato il progetto. Il passaggio festivaliero di Cannes è stato a dir poco determinante e ha contribuito a creare il 'caso', l'evento, il film sorpresa del festival. Ce n'è sempre uno. A Cannes non si parlava d'altro. Un film poetico, romantico, avvincente... un film muto. La vittoria di Jean Dujardin come miglior attore ha poi coronato un disegno partito da lontano. Vi raccontiamo tutta questa bella favola per ben contestualizzare un film che altrimenti avrebbe il sapore di un puro esercizio di stile. Non è così, almeno non solo. Al di là della trovata cinefila, c'è in 'The Artist' un'opera degna di questo nome, capace di emozionare con poco e niente. È evidente che si tratta di un'operazione studiata a tavolino e sapientemente scritta, capace di catapultare sullo schermo un intero mondo ormai disciolto fatto di mille citazioni dal Terrier a pelo ispido che fu famoso in 'L'uomo ombra', il suo nome era Asta, a 'Viale del tramonto' (tra i pochi film a raccontare per davvero la fine di un'epoca e l'inizio di un'altra), da Douglas Fairbanks (a cui di certo si rifà l'estetica del protagonista) a Mary Pickford (sua è la casa dove abita la protagonista Peppy)... e poi ancora ci sono sapori di 'Quarto potere' e le note, superdichiarate, di 'Vertigo'. Ma tutto questo non è solo un gioco di citazioni, bensì un'immersione emozionale nella materia stessa con cui erano fatti i film. (...) È rarissimo ascoltare il 'nostro' silenzio al cinema, e fosse solo per questo 'The Artist' è un'esperienza da non perdere." (Dario Zonta, 'L'Unità', 09 dicembre 2011)

"Piacerà, anzi è piaciuto, tantissimo a Cannes. Palma d'oro. Critiche entusiaste. Il Palais in tripudio. Era logico. Cannes è il posto dei drogati di cinema, dei cinephiles privati di ogni pudore. Particolare non secondario. Cannes è la spiaggia di primavera del culturame parigino. Il festival era l'occasione per creare un altro genio nazionale, Michel Hazanavicius, alla quarta regia dopo tre flop. Noi però pensiamo al pubblico domenicale, quello che ama sì alla follia il cinema, ma non ne fa pretesto di masturbazione. Quel pubblico s'incanta nei primi 20 minuti, si diverte mica male per 40. Ma fatica ad arrivare ai 100 (la durata). Forse esce prima, ma se rimane, mette in pericolo i chiodi della poltrona." (Giorgio Carbone, 'Libero', 9 dicembre 2011)

"Al bianco e nero al cinema in qualche modo siamo abituati. In tv vecchi film passano ancora e alcuni cineasti non disdegnano talvolta di cimentarsi ancora con questo linguaggio vintage e decisamente affascinante. Ma al muto, diciamo la verità, proprio non siamo avvezzi. Certo ricordiamo Charlie Chaplin, magari Fritz Lang, ma oggi, in tempi di computer grafica e 3d, scommettere su un film in bianco e nero e persino muto potrebbe apparire una follia. Eppure il giovane regista francese Michel Hazanavicius ha osato sfidare con coraggio tempi e mode, e con il suo 'The Artist' ha vinto la scommessa realizzando un'opera eccellente, di grande fascino, la vera rivelazione del festival di Cannes. E ha dimostrato che anche linguaggi e stili narrativi non più frequentati da oltre ottant'anni posseggono una forza espressiva che non teme il confronto con le meraviglie di oggi. Occorrono però talento e creatività, merce sempre più rara. (...) Con questo film - raffinato melodramma in stile classico, girato nell'originale formato del muto, con schermo quasi quadrato, e in ambienti d'epoca per rendere ulteriormente l'atmosfera retrò - Hazanavicius rende omaggio alla settima arte. Qui è il cinema che diventa protagonista e si racconta nella sua inarrestabile ascesa. E non mancano richiami, sottolineati dallo stesso regista, a maestri indiscussi del muto, in primo luogo Murnau, passando per Lubitsch, Ford, Hitchcock e il menzionato Lang. Tuttavia il regista non si accontenta di citazioni, né si limita a riprodurre la realtà del tempo; semmai ne accoglie i mitizzati stereotipi (la figura del produttore, il glamour dei divi) e la stilizza, divertendosi a giocare con i linguaggi e invitando lo spettatore a fare lo stesso. 'The Artist', dunque, non è un semplice 'pastiche', se non negli spezzoni dei film muti in cui Valentin è il protagonista. È invece un film originale, fantasioso e a tratti persino geniale, come nella scena dell'incubo in cui l'ormai ex divo si aggira in un mondo in cui tutto ha un suono, dove tutte le persone hanno una voce tranne lui. Molto si deve alla bravura degli attori, chiamati a un'inedita prova; su tutti Jean Dujardin, impeccabile nei panni di Valentin e giustamente premiato a Cannes con la Palma d'oro, senza dimenticare Bérénice Béjo a proprio agio nell'interpretare Peppy Miller, e John Goodman perfetto nell'impersonare il potente produttore dell'immaginario hollywoodiano. Ma vanno riconosciuti soprattutto i meriti di una regia accorta oltre che documentata, nonché di una sceneggiatura e un montaggio che non perdono mai il ritmo; e in questo caso sarebbe stato un vero disastro. Il tutto sottolineato dalla fondamentale e puntuale colonna sonora di Ludovic Bource. Insomma, 'The Artist' è un inatteso, piacevole tuffo del passato, tra storie e atmosfere d'altri tempi, per assaporare l'essenza stessa del cinema, la sua capacità di stupire sempre, anche senza effetti speciali, affidando tutto al solo piacere dello sguardo. E non meraviglierebbe se tanta audacia venisse premiata anche da una candidatura all'Oscar. Del resto, quale miglior riconoscimento per un film che celebra Hollywood?" (Gaetano Vallini, 'L'Osservatore Romano', 10 dicembre 2011)

Nelle prossime settimane

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