Domenica 3 0ttobre - Ore 16:00 e 21:00
1984, 1991, 1998, 2007. Lungo questi anni le vite di Mattia e Alice scorrono parallele senza mai riuscire a congiungersi. Due infanzie difficili, compromesse da un avvenimento terribile che segnerà le fragili esistenze dei protagonisti fino alla maturità. Tra gli amici, in famiglia, sul lavoro, Mattia e Alice, portano dentro e fuori di loro i segni del passato. La consapevolezza di essere diversi dagli altri non fa che accrescere le barriere che li separano dal mondo fino a portarli ad un isolamento inevitabile ma consapevole.
L'idea del film nasce dal libro La solitudine dei numeri primi di Paolo Giordano, vincitore del premio Strega 2008.
Regia: Saverio Costanzo
Sceneggiatura: Saverio Costanzo, Paolo Giordano
Fotografia: Fabio Cianchetti
Montaggio: Francesca Calvelli
Musiche: Mike Patton
Alba Rohrwacher, Luca Marinelli, Martina Albano, Arianna Nastro, Tommaso Neri, Vittorio Lomartire, Aurora Ruffino, Isabella Rossellini, Maurizio Donadoni, Roberto Sbaratto, Giorgia Senesi, Filippo Timi
Valutazione Pastorale (dal sito dell'Associazione Cattolica Esercenti Cinema - ACEC)
Giudizio: complesso, problematico
Tematiche: educazione, famiglia - genitori figli, malattia, metafore del nostro tempo
Saverio Costanzo riscrive il romanzo di Giordano con la lingua del cinema. Operazione spiazzante e coraggiosa, in Concorso
Tacciato di furbizia prima ancora di arrivare a Venezia, l'adattamento de La solitudine dei numeri primi - dal best seller di Paolo Giordano - è invece un lavoro coraggiosissimo, destinato probabilmente a piacere più alla critica che ai fan del romanzo.
Spiazzante l'operazione, che trasforma uno dei maggiori successi editoriali degli ultimi anni in film ostico, sospeso, che si disfa immediatamente del realismo narrativo per riflettere sui meccanismi e il funzionamento della buona riduzione cinematografica. Il tema vero insomma è la traduzione, il lavoro sui codici nel rispetto di un'intenzione originaria, a cui Costanzo restituisce sfumature di senso, colore emotivo e atmosfere, liquide e bluastre.
Così la storia di Alice e Mattia - sei gli interpreti, tutti bravi, che si fanno carico della coppia di protagonisti in età diverse: Alba Rohrwacher e Luca Marinelli nella maturità (lui ha messo su 15 chili per la parte, lei ne ha persi 10), Arianna Nastro e Vittorio Lomartire nell'adolescenza, Martina Albano e Tommaso Neri da piccoli - e della loro incapacità di adattarsi al mondo, complice un'infanzia funesta, viene messa in scena con un gusto per l'astrazione inedito nel nostro cinema, dove traiettorie soggettive e macerazioni personali corrispondono a precise opzioni di linguaggio. Puro esercizio di forma? No, perché Costanzo costruisce un'estetica funzionale all'etica del racconto, e "vede" quello che il romanzo attinge dalla storia segreta di due anime. I mostri non albergano più all'interno, ma si riversano fuori: mostruoso è il contesto, anzi horror - come musiche (c'è anche un inedito dei Goblin), luci e omaggi (da Argento a Polanski) s'incaricano di rivelare - e mostruosi sono i corpi, tagliati e sbilenchi, smagriti e imbolsiti, mai in armonia col mondo, e dal mondo offesi, disarticolati.
Il "vedere" del film si situa tra il racconto in prima persona e quello in terza, un modo di enunciare che non è né oggettivo né soggettivo ma sta in mezzo, sulla soglia del dentro e del fuori, incollato all'occhio inerte di personaggi incapaci tanto di rivolgersi all'altro quanto di scrutarsi a fondo. Un'esistenza, la loro, prigioniera di un momento, perciò congelata in un presente immobile, "montata" senza flashback né cornici temporali. Un tempo-flusso che nasconde scarti ed evoluzioni, prima di richiudersi in un gesto di resa (il capo della Rohrwacher che si ripiega su Mattia, nel finale) che è insieme riconciliazione col passato e annuncio di un futuro che inizia. L'emozione può allora prorompere dalla materia-forma del film. E da lei liberarsi. Ma nel frattempo Costanzo ha riscritto il romanzo con la lingua del cinema. (Gianluca Arnone)