Sabato 27 settembre - Ore 21:00
Domenica 28 settembre - Ore 16:00 e 21:00
Davide Bias è un creativo pubblicitario che sogna di scrivere un giorno qualcosa di bello e importante. Nel frattempo, tiene a bada ansia e insoddisfazione con le pillole. Alla morte del padre Ettore, uno sceneggiatore di film di serie B, con cui lui non si è mai davvero capito, Davide lascia Milano, la sua ragazza Silvia e l'agenzia per cui lavora e si trasferisce a Roma, a casa della madre. Inoltre, una casa editrice sembra essere interessata a pubblicare il libro autobiografico che Ettore aveva intenzione di scrivere. Intrigato dall'idea di conoscere finalmente suo padre e, soprattutto, di poter frequentare l'editrice Ludovica, una donna bellissima, Davide accetta di scrivere lui il libro calandosi nei panni del padre, arrivando a comprenderne la frustrazione professionale e scoprendo il suo amore impossibile per una donna irraggiungibile...
Regia: Pupi Avati
Interpreti: Sharon Stone, Riccardo Scamarcio, Cristiana Capotondi, Giovanna Ralli, Guia Zapponi, Viola Graziosi, Tiziana Buldini, Christian Stelluti
Sceneggiatura: Pupi Avati, Tommaso Avati
Durata: un'ora e 42 minuti
Valutazione Pastorale (dal sito della CNVF della Conferenza Episcopale Italiana)
Giudizio:
A partire dall'esordio nel 1968 con "Balsamus", Pupi Avati ha girato 39 film per il grande schermo. In quest'ultimo titolo torna in primo piano, in modo diretto e incisivo, uno di temi che più lo hanno coinvolto negli anni passati: il rapporto padre/figlio. Dice Avati: " E' vero, affronto con ostinazione e frequenza la figura del padre. Probabilmente tutto comincia dal fatto che il mio vero padre è morto quando avevo 12 anni, mio fratello 3 e mia sorella 8. Le madri (anche la mia) peraltro sanno supplire in modo meraviglioso all'assenza paterna, eppure crescendo quella figura mi si è proposta come sempre più necessaria (...) fino a farmi costruire oggi uno dei figli più belli che si possano immaginare, uno che dona la propria salute mentale per il ricordo del padre". Avati ha dunque scritto il soggetto mentre per la sceneggiatura (ci tiene a dirlo) ha chiesto la collaborazione del figlio Tommaso, più vicino per età e modi di fare alla 'modernità' del protagonista Davide. Così realtà e finzione si intrecciano in un doppio incontro, quello dell'eco autobiografica della storia e quello del cinema, il 'mestiere' di fare cinema come specchio di se stessi, dei propri fantasmi e delle proprie aspirazioni. Il copione lavora in profondità sul tema del fallimento, sul rimpianto e sulla nostalgia delle occasioni mancate. Ma dice anche molto sul versante del perdono, del sacrificio, della capacità di restare esseri umani sempre pronti alla comprensione. Forse la seconda parte eccede un po' troppo nella rivalutazione della figura del padre (perché tanti Premi, il primato nelle vendite, le traduzioni in tutto il mondo?...), forse la figura di Silvia, la ragazza di Davide, resta un po' di sfondo. Ma sono dettagli che non guastano la bella sensazione che anche stavolta entrare nel cinema di Avati è come abitare uno spazio caldo, misurato, denso di affetti e sentimenti, mai urlato, mai gridato, mai sguaiato, eppure calato nella nostra contemporaneità. Come visitare ancora una volta un vecchio amico che ti intrattiene con amabilità e sincerità. Dal punto di vista pastorale, il film è da valutare come consigliabile, problematico e adatto per dibattiti.
Utilizzazione: il film è da utilizzare in programmazione ordinaria e in successive occasioni come prodotto italiano dalla bella confezione e dalle tematiche coinvolgenti.
Mai urlato e sguaiato, ma fragile in scrittura e psicologie: il 39esimo film di Pupi Avati non convince
E’ il numero 39 questo titolo firmato da Pupi Avati a partire dall’esordio con Balsamus nel 1968. In Un ragazzo d’oro torna in primo piano, in modo diretto e incisivo, uno dei temi che più hanno coinvolto negli anni il regista bolognese: il rapporto padre/figlio. La vicenda prende il via a Milano, dove il giovane Davide Bias lavora in un’agenzia di pubblicità e sogna, senza fortuna, di fare lo scrittore. Da tempo ha rotto i rapporti con il padre Michele, prolifico sceneggiatore di film di serie B. Quando improvvisamente arriva la notizia della morte dell’uomo in un incidente d’auto, Davide torna a Roma e, al funerale, viene avvicinato da Ludovica, un’americana decisa a pubblicare un libro che, secondo lei, Michele stava scrivendo e di cui si sono perse le tracce. Da questo momento per Davide tutto cambia. Avati conferma che la figura del padre (quello vero è morto quando lui aveva 12 anni) gli si è proposta come sempre più necessaria fino a “costruire oggi – dice - uno dei figli più belli che si possano immaginare, uno che dona la propria salute mentale per il ricordo del padre”.
Il copione parte quindi da situazioni di forte contrasto per muoversi nella direzione di stemperarne le conseguenze. La musa di Avati, come di consueto, tende ad inclinare sul versante del perdono, della riconciliazione, della comprensione. Il piccolo/grande mondo avatiano a poco a poco emerge come in passato: un cinema quasi mai urlato mai sguaiato. Magari sul versante opposto ci sono una debolezza psicologica dei protagonisti, e la fragilità di una scrittura tanto ordinata e pulita quanto mille miglia lontana da rischi e provocazioni visive. Nei risvolti di una fiaba che non riesce a fare i conti con la realtà, si muovono a corrente alternata gli attori: Riccardo Scamarcio (un compassato Davide), Giovanna Ralli (l’elegante mamma di lui) e, soprattutto Sharon Stone, che nel ruolo di Ludovica sembra un’americana a Roma alquanto spaesata e estranea. (Massimo Giraldi)
"Citando Tarantino per quadrare i conti tra trash e cinema d'autore, Avati tenta un film non nelle sue corde, buttandosi senza rete in un ardito rapporto padre-figlio (...). Pazzia con metodo? Avati s'imbarca quasi nel metacinema con un cast che non gli risolve i nodi: al pesce lesso Sharon Stone preferiamo le veraci rughe di Giovanna Ralli." (Maurizio Porro, 'Il Corriere della Sera', 18 settembre 2014)
Con la sua penna di romanziere intimista prestato al cinema, Pupi Avati continua a imbastire storie sul filo di un'autobiografia più adombrata che reale. Come in 'Un ragazzo d'oro', centrato su un rapporto padre-figlio che per il regista, essendo suo padre scomparso quando era adolescente, è rimasto un «incompiuto». Non si fatica a immaginare che l'autore in parte si rispecchi nelle angosce del protagonista Davide Bias affidato a un interiorizzato Riccardo Scamarcio. (...) E un poco di Avati lo possiamo anche riscontrare nel personaggio assente/incombente dell'egocentrico defunto, sceneggiatore di squallide commediole frustrato nelle sue ambizioni letterarie. Tuttavia, fra tanti intonati caratteri minori (la mamma Giovanna Ralli, la fidanzatina Cristiana Capotondi), il film soffre della presenza di una Sharon Stone che proprio non riesce ad appartenere ad alcun modo al crepuscolare mondo avatiano." (Alessandra Levantesi Kezich, 'La Stampa', 18 settembre 2014)
"Ogni anno, puntualmente, chi ama il cinema sa di poter incontrare un film scritto e diretto da Pupi Avati e prodotto da suo fratello Antonio, all'insegna di un'arte di raccontare le persone approfondendone le psicologie quasi solo sfiorandole e rappresentandole poi con dei modi lievi, pur sempre derivati dalla lezione realista, sia quando si occupano di drammi sia se hanno in primo piano i sentimenti. Come oggi, in questo bellissimo film che evoca, senza perdersi nell'incontro, addirittura i meandri oscuri della pazzia. (...) (...) Una chiusa tutta tinta di nero cui Avati però, con il suo celebre 'tocco', fa arrivare i singoli personaggi quasi spontaneamente, senza mai forzature narrative, in cifre tese ma sempre lineari, perché, le luci spesso oscure della bella fotografia di Blasco Giurato, diano sempre spazi giusti al reale. Altro elemento fondamentale la recitazione, tutta in stile Avati di due interpreti estranei al suo mondo, Riccardo Scamarcio, il divo belloccio del cinema italiano, e l'hollywoodiana Sharon Stone di 'Basic Instinct'. Sembrano perfettamente usciti entrambi da 'Storia di ragazzi e ragazze'. Scamarcio, grazie a questo, da oggi un vero, grande attore." (Gian Luigi Rondi, 'Il Tempo', 18 settembre 2014)
"Piacerà chi segue da sempre il cinema di Avati e non mancherà di apprezzare quanto è ancora bella e feconda la terza età del Pupi. Quando tireremo le somme della sua opera scopriremo che colla sua apparentemente bonaria maniera, ha narrato tutte le nevrosi dell'italiano medio. Qui è di scena il classico appuntamento dei 30 anni la riconciliazione con la figura paterna." (Giorgio Carbone, 'Libero', 18 settembre 2014)
"Ci risiamo con il tema padre/figlio tanto caro a Avati, questa volta penalizzato da un ritmo lento e da alcune scene (la scoperta della password nel pc paterno) involontariamente comiche." (Maurizio Acerbi, 'Il Giornale', 18 settembre 2014)