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Lino Settembre e sua moglie Chicca conducono una vita coniugale serena e senza serie difficoltà. Sono entrambi soddisfatti delle loro professioni, lui prima firma alla redazione sportiva del Messaggero e lei docente di Filologia Medievale all'Università Gregoriana. L'unico vero dispiacere che ha accompagnato i venticinque anni di matrimonio è la mancanza di figli. Una mancanza che non ha compromesso la loro unione ma l'ha al contrario rinsaldata. L'oggi però, in modo totalmente inatteso, presenta loro una grossa preoccupazione: Lino da qualche tempo accusa problemi di memoria che mano a mano si accentuano andando a compromettere in modo sempre più evidente il quotidiano svolgersi delle sue attività sia nell'ambito professionale che familiare. Dapprima sia lui che Chicca decidono di riderci sopra ma il disturbo si manifesta sempre più fino a quando, dopo attenti e approfonditi esami, un neurologo diagnostica una patologia degenerativa delle cellule cerebrali.
Regia: Pupi Avati
Montaggio: Amedeo Salfa
Musiche: Riz Ortolani
Fabrizio Bentivoglio, Francesca Neri, Serena Grandi, Gianni Cavina, Lino Capolicchio, Manuela Morabito, Erika Blanc, Vincenzo Crocitti, Osvaldo Ruggieri, Brian Fenzi, Marcello Caroli, Riccardo Lucchese, Lucia Gruppioni
Durata: 1h 38'
Valutazione Pastorale (dal sito dell'Associazione Cattolica Esercenti Cinema - ACEC)
Giudizio: consigliabile, poetico
Tematiche: malattia, matrimonio - coppia
"Inquadro il mio rapporto col tempo - dice Avati - sono nella seconda parte del secondo tempo della mia vita, nella zona del rientro a casa. Ho dunque dismesso la nostalgia per la giovinezza, e fatto un passo avanti, anzi, indietro: la regressione riporta all'infanzia. Il titolo, appunto, avrebbe dovuto essere 'Una sconfinata infanzia'". Se scavalcata é la giovinezza, non lo è dunque la nostalgia, che si conferma uno dei motori trainanti da sempre dell'ispirazione avatiana. A questo e ad altri punti fermi, il regista non sa e non vuole rinunciare. Ecco allora l'Emilia, l'inverno, la neve, lo spiare un po' clandestino le coetanee vicine: elementi ispiratori, un pentagramma sul quale Avati scrive le note di una melodia dolce e tenerissima. Non ci sono consulti, ricette, ospedali: per il marito Chicca fa ricorso alla medicina più importante, quella dell'amore. Dal punto di vista pastorale, il film é da valutare come consigliabile e soprattutto poetico.
Utilizzazione: il film é da utilizzare in programmazione ordinaria, e da proporre in seguito come prodotto italiano di delicata e intensa fattura.
L'amore ai tempi dell'Alzheimer per Pupi Avati. Che perde nel ping pong tra il suo passato e il presente del suo personaggio
“E' quasi una favola: Chicca e Lino non hanno bambini, finché lei un giorno non se lo ritrova in braccio". Nell’estrema e lirica sintesi di Fabrizio Bentivoglio, è Una sconfinata giovinezza di Pupi Avati, prodotto da Duea (la società di Pupi e del fratello Antonio) con RaiCinema e distribuito da 01.
Interpretato da Bentivoglio, il Lino prima firma sportiva del Messaggero colpito dalla malattia, la moglie Chicca Francesca Neri, il cognato Lino Capolicchio, la cognata Manuela Morabito e la zia Serena Grandi, il film inquadra (troppo) pacificamente la catalisi dell’eros coniugale in pietas materna con l’Alzheimer per catalizzatore e la intreccia e contrappunta alla regressione all’infanzia nell’Emilia bucolica del Lino precocemente orfano, tra il cane Perché e quelli della zia, “la lotta” per iniziarsi al sesso e il brillante da scovare nell’auto dove hanno perso la vita i genitori, l’amicizia e un bambino senza palato.
Con facile giornalismo, l’amore ai tempi dell’Alzheimer, e se Avati sceglie un terreno struggente e sdrucciolevole il percorso poetico del film evita possibilmente, indi passabilmente, le derive patetiche, il sentimentalismo d’accatto a favore di orme nette, se non dure.
Fin qui bene, e buone prove attoriali - al netto di trucco e parrucco a effetto invecchiamento e difetto verosimiglianza – aiutano, ma il ping pong tra il presente drammaticamente assente e il passato (in)felicemente presente di Lino è giocato su campi incongrui, con la palla ineluttabilmente - letterale - destinata al net, il filo drammaturgicamente scoperto di alte ambizioni, pregevoli intenzioni ed esiti insufficienti. In altre parole, il retroterra memoriale è quello autobiografico di Pupi, l’hic et nunc quello di un personaggio, Lino, che mal vi si attaglia: la crasi è dunque più sconclusionata che sconfinata, incaponendosi su amicizia e iniziazione di un uomo (Lino) che non diresti lui, e infatti è Pupi.
Non solo, se il versante tecnico - al netto dei grandangoli - è meno infido che negli ultimi lavori del regista bolognese, classe 1938, l’Italia contemporanea, il nostro quotidiano vissuto continua a rimanere in fuoricampo: non c’è realtà, ma teatri di posa e treni sbagliati. Avati si “vanta” di non mettere il piede in sala, forse, non mette nemmeno il naso fuori dalla porta: Una sconfinata giovinezza o una confinata terza età? (Federico Pontiggia)