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E' un giorno d'estate del 1992 a Bologna. Il matrimonio di Luciano Baietti e Fiamma, già genitori di due bambini di pochi anni, si consuma affrettatamente. Appena il tempo di un brindisi nei bicchieri di carta e lo sposo parte in compagnia di uno strano personaggio e con un mazzo di documenti con i quali la sposa gli intesta i suoi beni immobili. Anni dopo, ai giorni nostri, i due bambini sono cresciuti: il maggiore, Paolo Baietti, lavora in un locale del centro e odia quel padre scomparso nel nulla; il figlio più piccolo, Baldo Baietti, buono e generoso, studia cinema e vive modestamente con la mamma e con Sheyla, accompagnando le due donne nei loro patetici tentativi di carriera musicale e assistendo Fiamma nelle sue frequenti crisi esistenziali. Nel frattempo, nella campagna laziale, Luciano fa la bella vita nella sua lussuosissima villa: con i soldi della ex moglie e i consigli di Sergio Bollino, vera eminenza grigia della Baietti Enterprise, è presidente e uomo immagine di una holding che vive di loschi traffici e spudorate raccomandazioni e connivenze. Ma i tempi si fanno difficili e gli appoggi iniziano a vacillare pericolosamente: la grande idea è trovare un prestanome sufficientemente ingenuo e fiducioso su cui scaricare la responsabilità delle situazioni più compromesse. Qualcuno che non sappia e non possa dire di no, qualcuno facile da raggirare, magari facendo appello a improbabili ragioni del cuore: Baldo...
Regia | Pupi Avati |
Sceneggiatura | Giuliano Pannuti |
Montaggio | Amedeo Salfa |
Musiche | Riz Ortolani |
Christian De Sica | Laura Morante |
Luca Zingaretti | Gisella Marengo |
Sydne Rome | Manuela Morabito |
Nicola Nocella | Marcello Maietta |
Fabio Ferrari | Massimo Bonetti |
Alessandra Acciai | Alberto Gimignani |
Maurizio Battista | Giulio Pizzirani |
Vincenzo Failla | Matilde Matteucci |
Pino Quartullo | Omar Pedrini |
Valutazione Pastorale (dal sito dell'Associazione Cattolica Esercenti Cinema - ACEC)
Giudizio: consigliabile, problematico
Tematiche: famiglia, famiglia - genitori figli, lavoro
"Questo film -dice Avati- conclude una trilogia che ha avuto per oggetto la figura del padre. Dopo "La cena per farli conoscere" (un padre fin troppo inadempiente) e "Il papà di Giovanna" (un padre fin troppo presente), questo terzo genitore é senza dubbio il peggiore dei tre. Si ricorda di avere un figlio solo per biechi motivi di interesse (...) Volevo anche mostrare quanto il successo economico condizioni ormai in modo irreversibile qualsiasi ambito del nostro vivere". Parallelo al tema del rapporto padre/figlio (anzi figli, perché sono due, e il più grande é deciso nel rifiutare di vederlo), si snoda dunque anche quello dei guadagni illeciti e del profitto facile: scenario purtroppo molto presente nelle recenti cronache italiane. Potrebbe essere quindi un film di denuncia. Lo è infatti, ma secondo l'inconfondibile stile avatiano: legato ad una poetica che, anche in presenza del peggio, lo trattiene sul versante della malinconia, del dolore trattenuto, del rimpianto. Così, tra le pieghe del brutto, si fa strada una consapevole amarezza, una voglia di scavare nelle pieghe dell'animo. Dando spazio e presenza a quel candore e a quella purezza che, uniche, forse salveranno il mondo. Dal punto di vista pastorale, il film é da valutare come consigliabile, e nell'insieme problematico.
Utilizzazione: il film è da utilizzare in programmazione ordinaria e in seguito come proposta di prodotto italiano capace di coniugare realismo e fiaba moderna.
Pupi Avati chiude la trilogia dei padri con un "furbetto del quartierino": ottimi attori, battute gustose, carente lo stile e...
Un apprendista "furbetto del quartierino" (Christian De Sica) porta via gli appartamenti alla moglie (Laura Morante) e l'abbandona, con due piccoli figli a carico. Sarà la donna, candida, tardo - e tarda - fricchettona, a crescerli, mentre l’ex marito in 16 anni costruisce una holding su menzogne, magheggi e magagne, supportato da un commercialista "angelo custode" (Luca Zingaretti): quando sente sul collo il fiato della guardia di finanza, convocherà il figlio più piccolo e ingenuo (l'esordiente Nicola Nocella), che si illuderà sia il ritorno del padre prodigo...
Così Pupi Avati chiude la trilogia dei padri, inaugurata con La cena per farli conoscere e proseguita con Il papà di Giovanna: è Il figlio più piccolo, scritto e diretto dal regista bolognese, prodotto dal fratello Antonio con Medusa, che distribuisce.
Nel mirino l'indecenza e l'alegalità diffusa della nostra società, il denaro e la famiglia come temi portanti, questo Figlio vuole essere duro nei contenuti e leggero nella forma: in altre parole, commedia dai risvolti drammatici, anzi farseschi e grotteschi. Dalla sua, un cast azzeccassimo e sinergico, con De Sica che si prende una pausa dai cinepanettoni e si ritrova a uscire dal carcere in piena estate con un panettone scaduto: bravo lui, bravi gli altri, e non mancano battute, tic e persino maschere da commedia all'italiana, quella capace di fustigare col sorriso e le grasse risate.
Fin qui, tutto bene, ma a non tornare sono altri conti: stilistici, perché la prolificità di Avati (1,3 film l'anno) paga lo scotto di scenografie e presa diretta approssimative, che non rendono "formale giustizia" allo j'accuse del regista: "Anche per un moderato come me quel che è troppo - l'Italia odierna - è troppo". Non solo, Avati elogia l'ingenuità, il candore come antidoto al Brutto Paese, ma sicuri che l'alternativa non stia nel rigore? Un personaggio rigoroso il film lo offre - il figlio più grande, che smaschera e ripudia papà - ma se lo dimentica: che fine ha fatto lui? Che fine stiamo facendo noi? (Federico Pontiggia)
Quello che... non abbiamo fatto - I film della stagione 2009 / 2010