Sabato 12 aprile - Ore 21:00
Domenica 13 aprile - Ore 16:00 e 21:00
Domenica 20 aprile - Ore 16:00 e 21:00
Lunedì 21 aprile - Ore 21:00
ATTENZIONE: sabato 19 non è prevista alcuna proiezione
ATTENZIONE: Vieni al cinema alla domenica sera: costa meno! è sospesa il giorno di Pasqua e posticipata al lunedì dell'Angelo
Ispirato dalla storia epica di coraggio, sacrificio e speranza del biblico Noè che, in un mondo devastato dal peccato umano, è chiamato da Dio a compiere una incredibile missione: costruire un'arca prima che un diluvio apocalittico distrugga il mondo. Noah e la sua famiglia intraprenderanno così un cammino fatto di paura e fede, distruzione e trionfo, avversità e speranza.
Regia: Darren Aronofsky
Interpreti: Russell Crowe, Emma Watson, Jennifer Connelly, Logan Lerman, Ray Winstone, Douglas Booth, Anthony Hopkins, Kevin Durand, Sami Gayle, Marton Csokas, Dakota Goyo, Barry Sloane, Nick Nolte, Mark Margolis, Frank Langella, Don Harvey, Sophie Nyweide
Sceneggiatura: Darren Aronofsky, John Logan
Fotografia: Matthew Libatique
Montaggio: Andrew Weisblum
Musiche: Clint Mansell
Durata: 2 ore e 12 minuti
Aronofsky naviga a vista, bilanciando rischio e prudenza, Bibbia e new age. E l'Arca balla, ma non affonda
Timone saldo e navigazione a vista consentono a Darren Aronofsky di sopravvivere al diluvio di maldicenze che si era preventivamente abbattuto sul suo Noah, permettendogli a conti fatti di mandare in porto la sua maestosa Arca della discordia. Non era scontato. Per la delicatezza dell’argomento, per la convergenza esplosiva di sensibilità, tradizioni e monoteismi diversi, per l’esiguità del racconto e, last but not least, per la dimensione produttiva del progetto, nel quale una grande major americana era disposta a versare un fiume di denari (alla fine saranno 130 milioni di dollari).
Un’operazione ad alto rischio che avrebbe scoraggiato anche il più scafato insider hollywoodiano e che invita a soprassedere sulle cadute e le imperfezioni che pure caratterizzano il film di Aronofsky, uno di cui si può dire di tutto meno che accusarlo di sudditanza all’industria.
Il primo problema che si poneva al temerario filmaker era l’estrema esiguità narrativa del dettato biblico: l’episodio del diluvio occupa nella Genesi appena quattro capitoli (6, 9 - 9, 19), con un protagonista che non parla mai e di cui il Libro sostanzialmente dice poco. Aronofsky, coadiuvato allo script da Ari Handel, rimpolpa il racconto pescando dalla tradizione religiosa (Rotoli del Mar Morto, il Libro di Enoch, il Libro dei Giubilei), dall’immaginario collettivo (dalla pittura al cinema) e dall’immaginazione personale. L’eterogeneità delle fonti sostanzia drammaturgicamente il racconto, da una parte arricchendolo di suggestioni e dall’altra esponendolo al fuoco di fila dei puristi.
Dopo un brevissimo e coloratissimo prologo sull’origine del mondo, il
film inizia con l’uccisione di Lamech, padre di Noè, davanti agli occhi
sconvolti del giovane e futuro patriarca. A sporcarsi le mani di sangue
è Tubal-Cain (Ray Winstone), discendente dell’infame stirpe di Caino, un
personaggio inventato di sana pianta che serve a introdurre il primo
cardine tematico del film, la spirale della violenza e della vendetta.
Segue un’ellissi – la prima delle tante – e ritroviamo Noè (Russell
Crowe) già uomo, mentre è a spasso per i campi con due dei suoi tre
figli, Sem e Cam (nella versione adulta saranno interpretati da due
beniamini dei teenager come Douglas Booth e Logan Lerman). Sem strappa
un fiorellino dalla terra attirandosi il rimprovero del padre che gli
ricorda di prendere dalla natura solo ciò che gli serve. La paternale
viene interrotta dalla comparsa di una specie di cervo preistorico che
corre via ferito inseguito da alcuni uomini. Noè li affronta e li uccide
tutti.
Si intuisce già da queste due scene iniziali la direzione che Aronofsky vuole imprimere al suo kolossal: ogni sequenza deve essere massimamente evocativa e paradigmatica, capace di condensare in pochi minuti senso e intenzioni sotterranee. Apprendiamo così che il patriarca è il primo vegano della storia, che la natura è armonia, gli animali senza colpa e gli uomini i portatori di disequilibrio. I conti con la modernità Aronofsky li fa dunque da subito.
La terza scena, ma potremo dire il terzo polo semantico, ci presenta la famiglia al completo: di Sem e Cam abbiamo detto, restano da scoprire la moglie Naameh (brava Jennifer Connelly), e il terzogenito Jafet, a cui si aggiungerà più tardi una figlia adottiva di fantasia, Ila, la cui importanza nell’economia del progetto va al di là del diretto coinvolgimento di una star come Emma Watson.
In Noah le donne sono importanti. Con una sterzata vagamente femminista, Aronofsky affida loro il compito di svelare, dietro l’opera di distruzione, l’autentico disegno di salvezza del Creatore (nessuno qui lo chiama mai Dio). Esse incarnano la fecondità della Natura e aprono alla misericordia l’intransigente cuore castigatore del protagonista, assorbito fino al fanatismo dall’ingrato compito che – lui ritiene - il Creatore gli ha voluto assegnare.
Quello tra femminile e maschile è un contraltare denso di pathos e significato, attraverso cui Aronofsky persegue un delicato bilanciamento ideologico: se l’ossessione della purezza, del servizio, della colpa e del castigo, fanno di Noè il pilastro dell’ebraismo, la sofferente pietà di cui sono depositare le donne del film, lo pone più sul versante cristiano. E’ come se il primo suggellasse la nuova alleanza e le seconde gli fornissero un contenuto.
D’altra parte il circuito tra obbedienza, giustizia e misericordia è tutt’altro che risolto, e il loro intrecciarsi lascia campo all’ambiguità: contravvenendo al presunto imperativo divino, Noè risparmia la sua discendenza - le due gemelle date alla luce da Ila – ma poco prima sacrifica l’intera umanità, innocenti compresi. Ila gli spiega che Dio ha messo nelle sue mani la facoltà di decidere se valga o no la pena di salvare i figli di Adamo – sancendo di fatto la realtà del libero arbitrio – ma la questione sembra non doversi porre per i tanti che non hanno trovato accoglienza sull’Arca. E’ uno di quei cortocircuiti morali cui va incontro il film nel momento in cui decide di “tradire” il testo biblico per ragioni narrative.
Nella Genesi non c’è traccia di Ila, cui la sceneggiatura delega il futuro dell’umanità, semplicemente perché il problema della discendenza non si pone: ciascuno dei figli di Noè sale sull’arca accompagnato dalla rispettiva moglie. Insomma il disegno divino è di gran lunga più coerente e lungimirante dello storytelling hollywoodiano.
Discutibile, ma a nostro modo di vedere felice, anche la scelta di introdurre nel racconto i “Guardiani”, creature a metà strada tra i giganti di pietra tolkeniani e i transformers della Hasbro, ispirati però ai Nefilim delle terre di Canaan. Si tratta di angeli che, impietositi dalla cacciata di Adamo, decidono di dargli una mano finendo per condividerne il destino: contravvenendo al Creatore vengono precipitati anch’essi , perdendo la loro natura luminosa per rinascere impasto di fango, polvere e terra.
Un azzardo, una concessione al fantasy, che funziona però tanto dal punto di vista allegorico quanto da quello visivo. Queste anime schiacciate da un’insostenibile pesantezza terragna sono anche le nostre. La sequenza in cui si liberano e ritornano al Cielo è tra le più belle di Noah, insieme a quella impressionante del diluvio e alla ritrovata fertilità di Ila per mano di Matusalemme (un efficace, “gollumiano”, Anthony Hopkins).
Aronofsky in definitiva ci regala un kolossal d’autore che balla come l’Arca sulla terrificante maestosità delle acque.
Momenti autentici e ruzzoloni new age si sfiorano, s’intrecciano, si confondono, evocando il kitsch senza mai veramente abbracciarlo. In questo, la fisicità sinistra e legnosa di Russell Crowe sembra incarnare perfettamente la natura ambivalente del film.
Assai suggestiva la colonna sonora di Clint Mansell e la fotografia di Libatique, che ricrea in Islanda un’ostile e credibile terra antidiluviana.
La carne al fuoco è tanta, ma la sapienza visiva di Aronofsky e il suo sfacciato ecumenismo scongiurano la frittata. Il rischio semmai è che questo esercizio di pirotecnico equilibrio finisca per soddisfare tutti senza piacere veramente a nessuno. (Gianluca Arnone)
"Strano film questo 'Noah' con Russell Crowe. Avrebbe tutti gli ingredienti per sfondare (bella storia, quella dell'arca di Noè, budget da kolossal, tre premi Oscar nel cast, oltre a Crowe anche Antony Hopkins e Jennifer Connelly). Invece l'ansia del regista Darren Aronofsky e dello sceneggiatore Ari Handel di dare una coloritura ecologista e vagamente new age alla vicenda biblica lo trasformano in un'occasione mancata. A creare perplessità non è tanto la confezione tipicamente hollywoodiana della pellicola, un incrocio tra 'Il gladiatore' (nelle scene in cui Noè/Crowe difende l'arca ci manca solo di sentirlo pronunciare la famosa frase «al mio segnale scatenate l'inferno»), 'Harry Potter' (i giganti di pietra assomigliano molto a certe creature viste nei film del maghetto, e poi c'è anche Emma Watson a incrementare l'associazione di idee) e 'Il signore degli anelli' (si vedano le sequenze, peraltro visivamente potenti, dello scontro tra buoni e cattivi). E nemmeno disturbano più di tanto le consistenti e numerose variazioni sul tema del racconto della 'Genesi' (l'assenza delle mogli di Cam e Iafet, la conseguente frizione tra Noè e Cam, la presenza clandestina sull'arca dell'antagonista Tubal-Cain fino allo scontro risolutivo con il patriarca, l'azione determinante dei giganti, angeli caduti di chiara foggia new age). Se il film non risponde alle aspettative è perché prende a pretesto la figura di Noè per battere con forza unicamente il tasto dell'allarme ecologico. Non a caso la terra su cui si muove la famiglia di Noè è brulla e desolata come in certe visioni post olocausto nucleare, la spiaggia dell'approdo finale è come quella de 'Il pianeta delle scimmie', i cattivi mangiano carne cruda e i buoni no... Per tutta l'opera, inoltre, un diluvio di dialoghi in cui si sottolinea che «è stato l'uomo a distruggere il mondo» (e quindi l'unico mondo pulito possibile è in fondo quello senza presenze umane) si affianca al diluvio vero e proprio, grondante di effetti speciali. Non mancano, è vero, scene di grande efficacia evocativa, come la visita di Noè all'accampamento di un'umanità degradata e morente, che richiama l'orrore di certi campi profughi delle tragedie africane. Ma alla fine il grande assente di questo film è proprio il Dio-amore della Bibbia. Qui invece lontano, muto, chiamato solo con l'appellativo di «Creatore», ma in questo caso più che altro «sterminatore». Noè diventa così quasi il suo ottuso boia, mentre il vero buono è suo nonno, Matusalemme/Hopkins, che però è reso come una specie di mago. Davvero uno strano film, questo 'Noah'. E l'occasione perduta è tanto più grande se si considera una frase del protagonista. «Questo non è più il tempo della misericordia, ma della punizione». Non c'è bisogno di essere buoni come Papa Francesco per non essere d'accordo." (Mimmo Muolo, ''Avvenire', 10 aprile 2014)
"Chi era rimasto perplesso alla notizia che Darren Aronofsky avrebbe diretto una versione della storia di Noé e della sua Arca non aveva, in definitiva, tutti i torti. Il regista di 'The Wrestler' e 'Il cigno nero' ha realizzato un film ibrido, un ircocervo che comincia come uno spin off del 'Signore degli anelli' poi, versoi due terzi, diventa un melodramma familiare basato su un dilemma morale. L'unica cosa che tiene insieme i due pezzi è la caratterizzazione del patriarca (Russell Crowe), che nella sceneggiatura di Ari Handel e dello stesso Aronofsky è un uomo tutto d'un pezzo, mosso dalla convinzione che l'umanità abbia perduto il diritto di esistere (vuole salvare solo gli animali) e debba finire con lui e la sua famiglia. Il film si premura anche di farci un riassunto visivo della 'Genesi', da Adamo ed Eva nel giardino dell'Eden a Caino e Abele, spiegandoci che Noé, discendente di Seth, è l'ultimo giusto sulla Terra (è vegetariano, ambientalista e pacifista, anche se al caso mena botte da orbi); invece i discendenti di Caino, guidati dal re Tubal-Cain (Ray Winstone), mangiano carne e vivono peccaminosamente in un ambiente degradato. Dunque, Noé si convince che il Creatore abbia decretato il genocidio globale mediante diluvio; e va a parlarne con suo nonno Matusalemme (Anthony Hopkins ), una specie di Yoda vagamente rimbambito. Poi si mette a costruire l'Arca: impresa in cui viene aiutato dai Guardiani, stirpe di angeli decaduti in forma di giganti di pietra a sei braccia (che paiono usciti da un film di Peter Jackson). Noé imbarca giusto in tempo le specie animali, la moglie Naameh (Jennifer Connelly ), i figli Sem, Cam e Jafet nonché la figlia adottiva Ila ( Emma Watson ), che la famiglia di Noé ha salvato e che ama, ricambiata, Sem. Seguono le spettacolari scene del diluvio, realizzate con indiscutibile bravura. E fin qui il pubblico - almeno quello non preoccupato da questioni di corretta esegesi biblica - ha l'impressione di assistere a un fantasy epico di buona qualità. (...) Il personaggio di Crowe ha implicazioni non prive di fascino - un compito immane, i sensi di colpa del sopravvissuto... - e l'attore (...) lo interpreta con sofferta autorevolezza; malgrado ciò, di qui in avanti il tono serioso e sentenzioso produce noia." (Roberto Nepoti, 'la Repubblica', 10 aprile 2014).
"Piacerà a due categorie apparentemente lontane anni luce. I fans del kolossal hollywoodiano e quelli di Aronofsky, il regista delle paranoie cinematografiche dopo 'Cigno nero'. A prima vista la classica marchettona che un autore di cinema di quando in quando accetta per poi, dall'alto del blockbuster, convincere i produttori a fargli il via libera per progetti più ostici. Aronofsky giura che di marchetta non si tratta, che lui un film sul diluvio universale lo sognava da quando era impubere. Sarà. Certo, se non azzeccava 'Cigno nero' i 150 milioni di dollari (budget confessato) mica glieli affidavano. Però ora (stando almeno ai primi incassi) si staranno fregando le mani. II kolossal biblico non è proprio un progetto a esito sicuro. Valga per tutti l'esempio della 'Bibbia' degli anni 60 prodotta da De Laurentiis con John Huston che faceva Noah e dirigeva al suo peggio (mai vista da lui tanta mediocrità né prima né dopo). Aronofsky invece ha azzeccato il prodotto. Ovviamente ha centrato il bersaglio principale: il grande spettacolone catastrofico. Colle meraviglie odierne del digitale, anche un artigiano di medio calibro è in grado di predisporre la fabbrica delle meraviglie (ma qui le «onde anomale» che si rovesciano sull'Arca ti fanno saltare sulla poltrona). Darren però non ha perso per strada il suo mondo di paranoie precedenti. Sulle larghe spalle di Russell Crowe ha rovesciato non solo come prevedibile, il carico del grande cinema d'azione alla 'Gladiator' ma anche la sofferenza fisica del lottatore di 'The Wrestler', le paranoie della ballerina del 'Cigno nero' la spinta all'assoluto dell''Albero della vita'. Con una piacevole variante. Che L''albero' era cinema d'autore velleitario e irrisolto. Qui tutto funziona." (Giorgio Carbone, 'Libero', 10 aprile 2014)
"La storia di Noè è raccontata nella Genesi. Poche pagine che sono bastate ad Aronofsky per tirare fuori un film, di oltre due ore, che, a tratti, deborda per la troppa voglia di stupire. Un mix interpretativo tra fantasy, new age e Sacre Scritture, visivamente imponente (alcune scene in 3D sono incredibili) ma con narrazione kitsch e dal forte messaggio ecologista. Questa è Hollywood, bellezza, con pregi e difetti. Interessante la versione dark che Crowe dà al suo Noè." (A.S., 'Il Giornale', 10 aprile 2014)