Sabato 22 marzo - Ore 21:00
Domenica 23 marzo - Ore 16:00 e 21:00
Gli amori e il tempo. Ma non sono amori qualunque. Quello di Elena per Antonio è una passione improvvisa, travolgente e corrisposta. Ma è una passione proibita: Elena sta con Giorgio mentre Antonio è il nuovo ragazzo della sua migliore amica Silvia, e in più tra i due sembra non esserci alcuna affinità, né tantomeno stima. Ma l’attrazione tra Elena e Antonio esplode ugualmente, irrazionale, bruciante e contro ogni regola anche a scapito di scompigliare le vite di tutti, amici e parenti. Sono trascorsi 13 anni, Elena è sposata con Antonio, ha due figli e nel frattempo insieme al suo migliore amico Fabio ha realizzato il suo sogno di aprire un locale di successo. Le vite di tutti sembrano realizzate e le antiche turbolenze scomparse. Il nuovo equilibrio subisce però una scossa...
Regia: Ferzan Ozpetek
Interpreti: Kasia Smutniak, Francesco Arca, Filippo Scicchitano, Carolina Crescentini, Luisa Ranieri, Francesco Scianna, Elena Sofia Ricci, Carla Signoris, Paola Minaccioni, Giulia Michelini
Sceneggiatura: Ferzan Ozpetek, Gianni Romoli
Fotografia: Gian Filippo Corticelli
Montaggio: Patrizio Marone
Musiche:
Durata: 1 ora e 50 minuti
Valutazione Pastorale (dal sito della CNVF della Conferenza Episcopale Italiana)
Giudizio: complesso, problematico
Tematiche: Famiglia - genitori figli; Omosessualità
"Ho sentito l'esigenza -chiarisce Ozpetek- di raccontare una storia d'amore potente, la passione e le frustrazioni sentimentali, il bisogno a volte inespresso di tenerezza e l'elemento perturbante che sconvolge le vite dei protagonisti, mettendoli di fronte a scelte che cambiano il loro destino e quello di chi li circonda.(...)". All'interno di questa dichiarazione (precisa, nitida, corretta) va collocata la nuova prova del regista italo-turco, incentrata con fermezza sulla nascita di sentimenti amorosi e sull'impossibilità di opporsi agli effetti imprevisti che provocano. Ma se da un lato l'amore è vita, ecco la faccia opposta, la malattia, l'idea della morte che arrivano con altrettanto slancio devastante a chiedere il conto delle nostre azioni. Ozpetek non cambia atteggiamento. Il suo scenario è la vita nelle mille sfaccettature misteriose e imprevedibili, nella gioia e nella tristezza, nella voglia di fare e nella capacità di reagire. Il fatto è che lo sguardo del regista anche stavolta resta attratto dalle suggestioni del melò, nel quale cala a poco a poco ma con decisione al momento di far incontrare amore e morte. La descrizione di entrambi deflagra quando Antonio e Elena hanno un rapporto sul letto d'ospedale di lei: il diapason di una rappresentazione marcata e un po' decadente, efficace e insieme eccessiva, sovraccarica di didascalismo. La regia spinge sul tasto dei sentimenti impossibili da governare in un turbinio di contraddizioni che affascinano e respingono per un certo kitsch sempre in agguato dietro l'angolo. Nella bellissima luce degli esterni tra Lecce e il mare della Puglia scorre il buio di una danza disperata tra i volti inafferrabili dell'esistenza. Un film dalle belle immagini e dall'andamento altalenante che, dal punto di vista pastorale è da valutare come complesso e nell'insieme problematico.
Utilizzazione: il film è da utilizzare in programmazione ordinaria, tenendo conto che alcuni temi significativi sono ben presenti: la famiglia, i figli, il lavoro. Attenzione è comunque da tenere, a motivo del particolare tono narrativo, nei confronti di minori e piccoli anche in vista di passaggi televisivi e di uso di dvd e di altri supporti tecnici.
"E come già per 'Magnifica presenza', non è facile racchiudere in una definizione di genere il nuovo film di Ferzan Özpetek. Né aiuta il titolo, che riprende la frase con cui Bette Davis si presentava in scena nel suo 'One Woman Show' citando il suo ruolo più celebre, quello di Margo Channing in 'Eva contro Eva'. Che cos'è allora questo 'Allacciate le cinture'? Inizia come una commedia regionalistica, che raccoglie a Lecce persone con accenti diversi; prosegue come una commedia sentimentale che vira verso il drammatico (un'amica «strappa» l'uomo all'altra); sfocia nel melodramma più puro, quello ospedaliero (dopo uno squarcio semi-sociologico sulla crisi della coppia) ma si impenna nel finale verso un'inaspettata iniezione di fiducia. Anche se, ennesimo salto mortale, lo fa «guardando» al passato e non al futuro. E una definizione onnicomprensiva si allontana sempre più... «Colpa» di Ozpetek e della sua allergia al realismo quotidiano? Meglio, secondo me, ribaltare il punto di vista e lasciarsi contagiare dalla fiducia nella vita che sa trasmettere il regista turco-romano e vedere 'Allacciate le cinture' come una specie di inno alla vitalità e alla forza dell'amore. 'Omnia vincit amor', potrebbe essere un altro titolo possibile (non solo qui ma per tutta l'opera di Özpetek, o quasi), appena un po' attutito da un'altra citazione poetica, questa leggermente meno nobile del verso virgiliano: «Al cuore sai / non si comanda ma», come cantava Mina. Da una parte il senso quasi provvidenziale che guida l'affettività umana: alla fine tutto si risolverà per il meglio e anche gli ostacoli insormontabili finiranno per essere superati. Dall'altra, la spensieratezza (e forse l'incoscienza) di abbandonare se stesso ai palpiti del cuore: non c'è ragione o obbligo che tenga e alla fine anche il più doverista degli uomini (e delle donne) finirà per capitolare di fronte alla forza dell'amore. Come dire che di fronte a un film di Özpetek bisogna essere capaci di abbandonare le proprie «convinzioni» - estetiche, narrative, cinematografiche - per lasciarsi andare al flusso vitale che, da sempre, ha cercato di portare in scena. Flusso che nei primi film era affiancato a un messaggio di civile convivenza e accettazione per chi appariva diverso (a cominciare dagli amori omosessuali) ma che film dopo film si è depurato e trasformato in una specie di concetto astratto. Platonico, se mi è permesso il paragone un po' esagerato. Se non si è disposti ad accettarlo, se si resta attaccati a un realismo di basso conio veristico, difficilmente si potrà entrare in sintonia con un film come 'Allacciate le cinture'. Questo non vuol dire che tutto sia perfetto o che uno non possa preferire altri registri espressivi, più almodovariani o più sirkiani (tanto per fare i nomi di due autori a cui sicuramente Özpetek guarda e ha guardato), ma così facendo c'è il rischio di tagliarsi fuori da ogni possibile sintonia. Bisognerebbe forse risalire alle atmosfere fantastiche e atemporali di un Dieterle ('Il ritratto di Jennie') o a quelle teneramente sentimentali di uno Stevens ('Ho sognato un angelo'), ma sono i giochini un po' sterili di una cinefilia d'antan. Anche se la tenerezza dei sentimenti e un flusso temporale antirealistico sono alla base della storia di Elena e Antonio. (...) Eppure, nonostante una buona parte del film si svolga tra ospedali e pronti soccorsi, l'occhio di Özpetek non è mai cupo o lacrimoso. (...) Ma soprattutto rimescola ancora una volta la consequenzialità delle azioni per regalare una risata finale che sorprende lo spettatore e nello stesso tempo lo rassicura, riuscendo a trasmettere un'iniezione di fiducia tanto contagiosa quanto irrazionale. Proprio come è quell'energia del cuore che a volte può scompigliare la vita ma che finisce anche per convincerci che quella vita scompigliata vale la pena di viverla fino in fondo." (Paolo Mereghetti, 'Corriere della Sera', 5 marzo 2014)
"Bentornati a Ferzanopoli, la città che Ferzan Özpetek va edificando da una quindicina d'anni. Sulle mappe non si trova, anche se è fatta con pezzi di Roma, Istanbul e ultimamente di Lecce. Chi ha visto i film del regista italo-turco però la riconosce subito. Ferzanopoli infatti è una specie di proiezione fantastica, una citta ideale in cui i sentimenti sono (molto) più importanti della vita materiale, dunque gli amici non si perdono mai di vista, le famiglie oltre che allargate sono calde, comprensive, e perfino rabbia e tristezza prima o poi generano qualcosa di nobile. Magari grazie a strani cortocircuiti tra passato e presente. Naturalmente Ferzanopoli piace molto agli italiani, che tra slanci e passioni ritrovano il loro lato migliore. E qui 'Allacciate le cinture' è addirittura esemplare. (...) Ma l'emozione resta sospesa, più evocata che vissuta. Come se quei personaggi esangui e un poco programmatici restassero pedine, ostaggio di un mondo ormai così noto da diventare fin troppo 'comodo', per tutti. Spettatori e autori." (Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero', 6 marzo 2014)
"Piacerà a chi di solito rimprovera a Özpetek di fare storie troppo esili per reggere due ore. Qui le storie (attorno a quella principale) sono varie e non c'è mai tempo di annoiarsi. Cast molto ricco, anche se i peggiori sono i protagonisti, la Smutniak e Francesco Arca."
"Che pacco l'ultimo Özpetek. Quasi peggio del precedente 'Magnifica presenza'. Esplode la passione tra la camerierina Elena e il meccanico Antonio. Passa il tempo, ecco due figli e un tumore. Per far capire che sono trascorsigli anni, Kasia Smutniak è dimagrita, Francesco Arca (col culetto nudo esibito tre volte) ingrassato. Ma solo chi è rimasto sveglio se ne accorge." (Massimo Bertarelli, 'Il Giornale', 6 marzo 2014)
"Preannunciato da un bel piano sequenza al ralenti, dei piedi dei passanti che cercano di sfuggire agli scrosci di pioggia, il film inizia nelle strade di Lecce quando s'incontrano e fanno scintille la brava ragazza borghese Elena (Smutniak) e il razzista e palestrato meccanico Fabio (Arca). Attorno al loro arduo eppure caldo connubio (si sa, gli opposti s'attraggono) sfarfalleggia il campionario d'umanità caro a Özpetek: famiglie disfunzionali, gay con il muscolo in vista, zie sciroccate, donne col cuore grande o sull'orlo dell'esaurimento nervoso, innamorati cullati dall'eco di canzoni ad hoc (quella di Rino Gaetano, recuperata per l'occasione, è peraltro stupenda). Gli approfondimenti psicologici non sono obbligatori in un clima di agrodolce commedia, ma quello che stride è la storia dei dialoghi più che mai inclini alla banalità aneddotica, purtroppo incrementata dall'invadenza degli sfondi pugliesi, tanto patinati quanto inflazionati. Nel secondo movimento, l'avvento di una funesta malattia precipita la storia nel melodramma, esibendo un'inversione d'atmosfere non priva di originalità, ma narrativamente debole, indecisa, un po' in stile fiction tv della domenica sera. Özpetek è un professionista intelligente e capace, ma non si può sposarlo anche quando usa i suoi tic come visto d'ingresso per gli aficionados." (Valerio Caprara, 'Il Mattino', 13 marzo 2014)