Sabato 11 gennaio - Ore 21:00
Domenica 12 gennaio - Ore 21:00
(nel pomeriggio di domenica: Frozen - Il regno del ghiaccio)
Dopo aver superato con successo le Montagne Nebbiose, Thorin e la sua Compagnia dovranno cercare l'aiuto di un potente sconosciuto prima di affrontare, senza il loro Mago, i pericoli della foresta di Bosco Atro. Inoltre, se riusciranno a raggiungere l'insediamento umano di Pontelagolungo sarà tempo per l'hobbit Bilbo Baggins di mettere in pratica quanto concordato con i nani: una volta raggiunta la Montagna Solitaria, il ladro Baggins dovrà cercare infatti la porta segreta che darà accesso al tesoro del drago Smaug. Nel frattempo il Mago Gandalf è impegnato in affari segreti...
Si segnala che la pellicola proiettata all'auditorium non è la versione 3D del film.
Regia: Peter Jackson
Interpreti: Benedict Cumberbatch, Manu Bennett, Richard
Armitage, Martin Freeman, Ian McKellen, Cate Blanchett, Lee Pace, Elijah
Wood, Hugo Weaving, Aidan Turner
Soggetto: J.R.R. Tolkien
Sceneggiatura: Fran Walsh, Philippa Boyens, Peter Jackson, Guillermo del Toro
Fotografia: Andrew Lesnie
Musiche: Howard Shore
Montaggio: Jabez Olssen
Scenografia: Dan Hennah
Vorticosa prova di forza: il secondo capitolo della trilogia de Lo Hobbit regala epica e spettacolo. E la potenza visiva di una creatura mai vista finora
Anche Gandalf se n'è accorto: lo Hobbit Bilbo Baggins sembra un'altra
persona. "In quel viaggio ho trovato una cosa... Ho trovato il coraggio": il
mastro scassinatore si guarda bene dal rivelare il suo vero segreto (il suo
"tessssoro"...), ma in quella frase si nasconde la più grande verità de La
desolazione di Smaug, secondo capitolo della trilogia sullo Hobbit diretta
da Peter Jackson: il coraggio, l'ardire di proseguire su una strada - quella
dei 48 fotogrammi al secondo uniti alla profondità stereoscopica - che
ancora sembra chiedere molto in termini di "adattamento" alla fruizione, ma
che dal punto di vista dello spettacolo visivo dovrà per forza di cose
rappresentare la pietra angolare del cinema che sarà.
L'effetto di
straniamento (la sensazione di trovarsi di fronte ad un'immagine talmente
scevra d'imperfezioni da risultare paradossalmente posticcia) è lo stesso
provato per il precedente Un viaggio inaspettato, ma stavolta a supportare
l'estetica interviene l'epicità di un racconto che si fa progressivamente
più dinamico e cupo. Gandalf, Bilbo e i nani condotti da Thorin
Scudodiquercia proseguono il loro cammino verso la Montagna Solitaria:
l'obiettivo ultimo è la riconquista del perduto Regno di Erebor e della
preziosa Arkengemma, l'ostacolo definitivo è il custode di quel favoloso
tesoro sepolto, il maestoso e minaccioso drago Smaug, ancora dormiente. Ma
l'incedere sarà reso difficoltoso - oltre che dalla separazione con Gandalf
- da altri incontri e creature, dal mutapelle Beorn a mostruosi ragni
giganti, dagli Elfi silvani (prima carcerieri, poi alleati grazie al
coinvolgimento di Legolas e Tauriel) agli uomini di Pontelagolungo, senza
dimenticare la costante minaccia portata dagli Orchi, esercito sconfinato
che si muove sotto la guida di un'Oscurità che promette di fagocitare al più
presto ogni angolo di mondo.
Il cammino verso la chiusura del cerchio, verso "l'inizio" del Signore degli Anelli, è segnato: Peter Jackson continua a riempire di senso la trilogia dello Hobbit insistendo con l'inevitabile interazione, con i rimandi a quello che "già abbiamo visto dopo". Svincolandosi però dalla forma-preambolo che lo costrinse in occasione del precedente episodio, questa volta il regista neozelandese riesce a liberare con forza la potenza di un'avventura che non potrà non coinvolgere anche il meno affezionato tra gli spettatori all'epopea della Terra di Mezzo. Come detto, ogni momento del viaggio è caratterizzato da un'idea di spettacolo dinamica ed immersiva, fino al climax assoluto rappresentato dall'entrata in scena di Smaug (in originale doppiato dalla voce di Benedict Cumberbatch, in Italia da Luca Ward): dimenticate qualsiasi creatura o gigantesco mostro in cui vi siete imbattuti finora sul grande schermo, il drago con cui avranno a che fare Bilbo e i nani è qualcosa che i nostri occhi non avevano ancora mai visto. E che difficilmente potranno mai dimenticare (Valerio Sammarco)
"Per trasferire sullo schermo 'The Hobbit', pubblicato nel 1937 e lungo meno di 300 pagine, poteva bastare un solo film, ma girare tre capitoli in un'unica soluzione significava distribuire i costi e triplicare gli incassi. Così, allo scopo di allungare i tempi, Peter Jackson ha scelto per 'Il Viaggio inaspettato' la strada di un'aderenza al testo che qualcuno ha trovato pedantesca, ma non ha impedito alla pellicola di incassare un miliardo di dollari; mentre per 'La desolazione di Smaug' ha imboccato la via opposta di rimpolpare la materia attingendo ad altri scritti tolkieniani e aggiungendo qualcosa in proprio: per esempio prendendo a prestito da 'Il signore degli Anelli' l'elfo Legolas (l'aereo Orlando Bloom) e inventando la figura di Tauriel, guerriera elfa che, avendo una propensione per il più carino dei 13 nani, introduce una vaga nota romantica. Il risultato è che il racconto stavolta è serrato dal principio alla fine, ma nell'ultima parte si avverte una sovrabbondanza in parallelo di situazioni e personaggi che gli sceneggiatori, non possedendo la cristallina abilità di scrittura di Tolkien, maneggiano in maniera un po' meccanica e faticosa. Detto questo, 'La desolazione di Smaug' è un film incantevole e incantato. Il ritmo è fluido, l'azione incalzante si alterna a momenti di respiro poetico, ogni ambiente - dal Bosco Atro abitato da ragni giganti ai palazzi stile Art Nouveau degli Elfi, dalla fatiscente cittadina di Lake-Town alla tetra fortezza di Dol Guldur - è ricreato con una visionarietà e una fantasia straordinarie. In un miscuglio di computer graphic, alto artigianato e scenari naturali di potente bellezza (ritagliati in Nuova Zelanda), Jackson si muove nella Terra di mezzo come fosse a casa, confermandosi il cineasta di gran talento che sappiamo. Martin Freeman è un Bilbo sempre più maturo, vibrante e sfaccettato, Ian Mckellen e Richard Armitage interpretano Gandalf e Thorin con accenti degni di Shakespeare, l'intero cast andrebbe nominato tutto. Musica e fotografia di prima classe; e finale ovviamente aperto in attesa del conclusivo 'Andata e ritorno'." (Alessandra Levantesi Kezich, 'La Stampa', 12 dicembre 2013)
"Di come il nobile principe nano Thorin Oakenshield cerca di riprendersi il regno di Erebor, e l'enorme mucchio d'oro custodito nelle viscere della sua montagna, dalle grinfie artigliute del drago Smaug. E di come Peter Jackson, a tutti gli effetti, ha trasformato Tolkien nel suo 'Star Wars'. Più spettacolare, appassionante, movimentato e semplicemente più bello da guardare del primo 'Lo Hobbit - La desolazione di Smaug' ('An Unexpected Journey, The Desolation of the Smaug') è il secondo capitolo della trilogia prequel del 'Signore degli Anelli'. Chi, dopo il primo, avesse avuto dei dubbi sul fatto che nel libro 'The Hobbit' ci fosse abbastanza materiale da farne uscire tre film non deve preoccuparsi perché (...) è evidente che Jackson si sente ormai autorizzato a «riffare» sul tema, piuttosto che adattare fedelmente i testi dello scrittore. Come se stesse lavorando su una mitologia che è diventata anche sua, all'interno della quale spaziare liberamente, creando connections, spostando i personaggi e, se necessario, immaginandone di nuovi. A posteriori, forse si capisce perché l'ingresso di un altro regista/autore (Guillermo Del Toro, che doveva dirigere 'An Unexpected Journey', ma che poi se ne è andato, e che qui co-firma la sceneggiatura) nel progetto, alla fine non abbia funzionato. Per Jackson si tratta chiaramente di un rapporto privilegiato, una conversazione a due. La sfida, per i puristi tolkieniani, è quella di accettare il gioco. E onestamente, di fronte a 'La desolazione di Smaug' sarebbe un peccato non farlo visto che si contano sulle dita di una mano i registi che fanno la fantasy all'altezza di Peter Jackson, che ne capiscono a fondo la scala epica e che vi aderiscono così completamente come fa lui. Lungaggini, verbosità e fumosità mitologiche inclusi. E comunque, tra i blockbuster di action/adventure «in digital 3D» di quest'anno (...), 'Desolation' è il più classico, tradizionale - nei tempi di montaggio e del racconto, e nello studio dell'inquadratura. Quello che più trascende la logica del videogame e resiste il postmodernismo autoironico che ormai prevale nel genere. (...) Secondo ma miglior tradizione dei serial, Jackson termina 'La desolazione di Smaug' con un momento di alta suspence. L'avventura continua - almeno ancora per un capitolo." (Giulia D'Agnolo Vallan, 'Il Manifesto', 12 dicembre 2013)
"Diavolo di un Peter Jackson! Eravamo pronti a ribadire le perplessità su 'Lo Hobbit' già espresse (...) in occasione del primo capitolo della nuova trilogia ispirata ai romanzi di John Tolkien, ed ecco che il neozelandese ci spiazza tornando ai fasti del 'Signore degli anelli'. Il secondo capitolo delle avventure di Bilbo Baggins e dei nani capeggiati da Thorin Scudodiquercia è nettamente migliore del primo. Là c'erano scene «sbrodolate» (l'arrivo dei nani a casa di Bilbo, l'inseguimento nelle caverne degli orchi) e un impianto generale in cui gli innesti sulla materia del romanzo convincevano fino a un certo punto. Qui c'è grande compattezza narrativa, grazie ad un lavoro molto raffinato sulla sceneggiatura (sempre di Jackson, Fran Walsh e Philippa Boyens: il nome di Guillermo Del Toro, primo regista incaricato poi estromesso, rimane per motivi contrattuali). E gli effetti speciali raggiungono risultati mirabolanti nel finale in cui entra in scena, finalmente, il drago Smaug: doppiato in originale da Benedict Cumberbatch (in italiano da Luca Ward), il mostro affianca Gollum sul podio dei personaggi completamente costruiti in digitale. Nel terzo capitolo, vedrete, ne combinerà delle belle. Avviso ai non-tolkieniani: 'La desolazione di Smaug' finisce «appeso». Di più: stavolta il film osa l'inosabile chiudendosi nel bel mezzo del climax, allorché Smaug parte in volo verso la città di Laketown per compiere una strage che sarà l'incipit del terzo film. È il curioso destino dei «numeri 2», i secondi capitoli di trilogie annunciate: devono proseguire la narrazione dei numeri 1 e tenere aperte le piste narrative che si chiuderanno nei numeri 3. Sono film di passaggio, frazioni intermedie di una staffetta, eppure - forse proprio per questa natura ibrida - stimolano la fantasia dei loro creatori al punto di diventare, spesso, i più belli delle rispettive saghe. Era così per 'L'impero colpisce ancora' nel primo trittico di 'Star Wars', per il secondo capitolo di 'Ritorno al futuro', e secondo alcuni cultori era cosi anche per 'Le due torri', capitolo intermedio del 'Signore degli anelli'. 'La desolazione di Smaug' innalza nettamente il tono rispetto a 'Un viaggio inaspettato', e ci lascia con un pizzico di acquolina in bocca nell'attesa di 'Andata e ritorno', il numero 3. Molto dipende dal grado di invenzione che gli sceneggiatori mettono in campo per allargare la trama del libro 'Lo Hobbit', che rispetto al 'Signore degli anelli' ha la dimensione del romanzo breve. Se nel primo episodio Jackson, Walsh e Boyens si erano per lo più limitati a diluire, qui inventano con grande libertà e, al tempo stesso, con scrupolo filologico: stravolgono la lettera di Tolkien rispettandone lo spirito. (...) Jackson compie una netta virata rispetto al libro: gli orchi non vengono sterminati e inseguono la compagnia anche nel reame degli elfi, dove ricompare il personaggio di Legolas, che nel romanzo non c'è. La fuga dei nani in parallelo alla battaglia tra elfi e orchi è una sequenza strepitosa, il miglior videogame mai visto al cinema, così come è bellissima la costruzione digitale di Laketown, una Venezia della Terra di Mezzo. Nonostante le 2 ore e 41 minuti il film ha ritmo e non stanca mai. Se Jackson & soci stanno su questi livelli anche nel terzo capitolo, il (mezzo) miracolo è compiuto." (Alberto Crespi, 'L'Unità', 12 dicembre 2013)
"(...) il personaggio protagonista è tutt'altro che un eroe, e va sempre alla ricerca del proprio coraggio; l'avventura si svolge nel rispetto delle diversità, tanto che qui si vive anche la storia d' amore fra un'Elfa e un Nano. Al contrario di altri film, come '300', qui non c'è l'esaltazione della guerra e, nonostante le tante scene di battaglia, non si indugia sulla carne straziata, non si vedono fiotti di sangue. (...) A parte la bravura degli attori e la bellezza degli effetti, è la meraviglia delle scenografie ad incantare: quelle naturali, ovviamente, ma anche quelle digitali. Sembra di entrare in pagine illustrate da artisti talentuosi che conoscono bene la materia e anche la sua storia. II rischio è quello di soffrire la voglia di strafare degli autori, la sovrabbondanza di personaggi, situazioni e invenzioni (ripresi non solo da 'Lo Hobbit', ma anche dagli altri romanzi di Tolkien). Quando però dopo tanto camminare Bilbo Baggins incontra il drago in un deposito di monete e di oro (così grande che Zio Paperone può solo sognarselo) ecco che si ritrova il centro del discorso, il senso dell'avventura, la paura, la speranza, la voglia di farcela anche quando tutto sembra compromesso. In quella mezz'ora lì, se il compito del cinema è riuscire a far entrare lo spettatore nel paese delle meraviglie, la missione è compiuta." (Luca Raffaelli, 'la Repubblica', 12 dicembre 2013)
"Torna il fantasy neorealista di Peter Jackson ovvero la Terra di Mezzo di Tolkien con le unghie sporche, i denti marci e un'immagine in 3D a 48 fotogrammi al secondo che ti fa andare fuori di testa per quanto è vivida. Sembra di stare lì. 'La desolazione di Smaug' è il secondo capitolo di quella che sarà una nuova trilogia dal romanzo d'esordio leggermente più frivolo che Tolkien scrisse molti anni prima del potente 'Il Signore degli Anelli'. (...) Si corre, si ride, si tagliano tantissime teste e si ama (può un elfo donna perdere la testa per un nano garrulo?). Jackson sempre più a suo agio (è il suo quinto film da Tolkien) ed ecco forse un minimo delirio di onnipotenza nel gonfiare il corto libello 'Lo Hobbit' in tre filmoni da più di 120 minuti di cui questo è, ad oggi, quello più ricco di tradimenti. A partire dalla presenza di Legolas per poi proseguire con l'elfo donna Tauriel, mai esistita per lo scrittore inglese (Evangeline Lilly della serie tv 'Lost': non una scelta azzeccata di casting). Il divertimento è comunque assicurato e le scene d'azione sono magistralmente coordinate. Il drago Smaug? Geniale per quanto è laido, fluido, viscido. Aspettiamo il terzo per le conclusioni che taglieranno la testa al toro. E al drago." (Francesco Alò, 'Il Messaggero', 12 dicembre 2013)
"Secondo capitolo della trilogia prequel al 'Signore degli Anelli', l'adattamento gonfia bene l'originale striminzito di Tolkien, se ne frega dei limiti della vescica e della palpebra umana (161'), e - ci voleva poco - straccia il primo 'Hobbit': Bilbo prende coraggio, Jackson pure, e visivamente c'è poco da eccepire. 3D elegante e performante, gli Orchi che sono sempre la meglio cosa, purtroppo, a deludere è lo special guest: il drago Smaug è più noia che squame. Che da piccolo fosse Grisù? 'Da grande farò il pompiere', appunto." (Federico Pontiggia, 'Il Fatto Quotidiano', 12 dicembre 2013)
"Piacerà come si diceva una volta, a grandi e ai piccini. E' il caso di dirlo, perché il primo 'Hobbit' era congegnato in modo di mandare a casa contento principalmente il pubblico degli under 10. Per gli adulti al seguito era un prodotto di consumo non troppo oltre la media. E gli inserimenti dei vecchi personaggi del 'Signore degli anelli' (come il Gollum di Andy Serkis) risultavano sforzati. Gli spettatori maggiorenni, tutto sommato si annoiavano. Almeno fino al momento in cui la compagnia s'avventurava nella caverna degli orchi (quella sì raccontata splendidamente). Il secondo 'Hobbit' per mandare in fibrillazione i fans della grande avventura non li fa aspettare molto. Il gran movimento parte subito e non ti molla fino al minuto numero 161 (qualcosa di meno del primo episodio). Il clou è naturalmente la battaglia finale, il fatidico scontro con Smaug (grande abbuffata di effetti speciali, tra i più speciali che può dare oggi il cinema). Ma lo spettatore avido di movimento non è tenuto a digiuno nelle due ore e mezza precedenti, anzi. Tra combattimenti, fughe, colpi di scena non hai davvero molto tempo per tirare il fiato. Le avventure di Tolkien ci sono certamente, ma rielaborate secondo i moduli del cinema d'azione d'oggi. Che sono: eroi sempre in difficoltà (e chi è messo più male di un nano alle prese coi giganti?). Un salvataggio (anzi molti salvataggi) all'ultimo secondo. E anche la tradizionale amichevole rivalità. Qui è tra l'arciera Tauriel e il nano Kili. Se son rose (cioè love story) fioriranno al capitolo 3." (Giorgio Carbone, 'Libero', 12 dicembre 2013)