Sabato 11 dicembre - Ore 21:00
Domenica 12 dicembre - Ore 16:00 e 21:00
In Harry Potter e i doni della morte (parte prima), penultimo film della saga, ritroviamo Harry che è ancora sconvolto dalla morte del suo preside e mentore, Albus Silente, ma insieme ai suoi amici, deve andare avanti nella ricerca degli Horcrux. Le insidie che Harry dovrà affrontare sono molte e lo scontro finale con il Signore Oscuro è ormai vicino...
Tratto dall'ultimo episodio della serie di romanzi per ragazzi di J.K. Rowling.
Regia: David Yates
Sceneggiatura: Steve Kloves
Fotografia: Eduardo Serra
Montaggio: Mark Day
Musiche: Alexandre Desplat
Daniel Radcliffe, Emma Watson, Rupert Grint, Helena Bonham Carter, Michael Gambon, Alan Rickman, Ralph Fiennes, Maggie Smith, Tom Felton, Bonnie Wright, Jamie Campbell Bower, Bill Nighy, Jason Isaacs, John Hurt, Ciarán Hinds, Rhys Ifans, Miranda Richardson, Brendan Gleeson
Valutazione Pastorale (dal sito dell'Associazione Cattolica Esercenti Cinema - ACEC)
Giudizio: consigliabile, problematico
Tematiche: adolescenza, amicizia, famiglia - genitori figli, male
Il libro scritto da J. K. Rowling che accompagna verso la conclusione la saga di Harry Potter presenta una trama fitta e complessa: al punto da indurre a sdoppiarlo in due puntate. Questa é la prima, e l'ultimo fotogramma va considerato non una conclusione ma una pausa in vista dell'appuntamento, quello si, conclusivo. Che ci stia avviando verso la fine lo si deduce dal fatto che ormai sono molti i riferimenti ai capitoli precedenti, in un intrigo di rinvii e rimandi a situazioni già accadute che é bene ricordare per mettere in ordine episodi, personaggi, fatti. Questo riguarda soprattutto la prima ora di racconto, quando il terzetto vive la la beata confusione dello stordimento. Da un certo punto in poi i nodi vengono al pettine. Quando i tre ragazzi rimangono soli e, insieme a quello della battaglia con Voldemort, si apre il difficile scenario del rapporto tra loro, della crescita, del recupero delle origini, del futuro da costruire. La favola allora entra in una dimensione narrativo-simbolica sottile e sfaccettata. La cupa ala del Male si stende sui protagonisti, crea mostri e animale feroci, interviene a spezzare la poetica armonia del ritorno al paese natale di Harry. Bisogna ritrovare il coraggio di andare avanti, verso lo scontro finale. In attesa, anche questo settimo regale pagine di un cinema visionario, inquietante, straripante. Un universo dove la bussola impazzita del quotidiano si confonde con la severità di miti e tradizioni secolari. Bisognerà tornarci e intanto il film, dal punto di vista pastorale, può essere valutato come consigliabile e certo problematico.
Utilizzazione: il film può essere utilizzato in programmazione ordinaria, dove per piccoli e adolescenti si consiglia la presenza anche dei genitori.
L'ultimo capitolo tradisce squilibrio narrativo, evoca il nazismo e regala una riflessione non banale sul visibile all'epoca del digitale
Tutti coloro che leggeranno questa recensione presumiamo siano già a conoscenza della sinossi, o perché lettori dei romanzi, o perché hanno visto i precedenti, o perché travolti dall'enorme trambusto mediatico che ha preceduto l'ultima avventura del maghetto. Andiamo subito al sodo dunque: Harry Potter e i doni della morte è un bel film? Complicato rispondere. Innanzitutto la sua configurazione in due parti separate (la seconda uscirà a luglio 2011!) impedisce di darne una valutazione d'insieme.
Qui non si avverte, come altre volte, la sensazione di trovarsi di fronte a un episodio aperto, di "raccordo", ma ci si imbatte in un vero e proprio film monco. Può darsi che il finale sia in crescendo, che la pellicola abbia un climax spostato tutto nella seconda parte, che l'esplosione delle rivelazioni e dei colpi di scena gli infondano ritmo e adrenalina. Oppure che la necessità di chiudere la partita nei tempi di un film dia una brusca e confusa accelerata. Chi può dirlo? Sappiamo solo che questa prima parte ricalca la struttura a fisarmonica degli altri (non solo quelli diretti da Yates): vorticose compressioni di eventi che sulla pagina (supponiamo) avranno goduto di maggiore spazio, intervallate da lunghe e noiosette scene interlocutorie in cui i tre piccoli protagonisti della saga - Harry, Ron ed Hermione - parlano tanto, si scambiano occhiate languide e occhiatacce, vagano confusamente ubiqui, in attesa - e noi con loro - che avvenga qualcosa: forse la scoperta di un Horcrux (i sette oggetti dove il malvagio Voldemort ha nascosto i pezzi della sua anima), forse l'attacco di un mangiamorte, forse una battaglia a colpi di bacchette laser.
Certo è che tutto il film pare costruito su una sintassi elementare di campo, controcampo e fuoricampo: nel primo troviamo un fantasy/action cupo e goffo, nel secondo il teen movie e la commedia di alleggerimento, nel terzo il libro. Scontato che i fan della saga letteraria giudichino i primi partendo dal terzo, e che la critica al contrario - per ignoranza e/o ortodossia - ometta proprio i romanzi dalle sue considerazioni. D'altra parte Harry Potter è un caso raro di adattamento cinematografico in cui tutti - aficionados da un lato, critici dall'altro - fingono che non lo sia: si attacca il film perché non è al livello del libro, si snobba il film senza considerare che è tratto da un libro. Non si scappa.
Narrativamente, non potrebbe essere diversamente, zoppicante, I Doni della Morte è però anche squilibrato strutturalmente, perché non riesce mai ad orchestrare in maniera convincente le sue diverse spinte - l'azione e l'alleggerimento, il thriller e la commedia - e perché finisce per smarrire alcuni personaggi (Piton che fine ha fatto?) e smarrirsi dietro ad altri (troppi, alcuni mai visti prima, quelli di contorno). Inoltre, quando ha la possibilità di esprimersi in modo compiutamente cinematografico - nell'inseguimento contromano dell'inizio, nella fuga tra i boschi che fa tanto New Moon, nell'attacco a sorpresa nel bel mezzo delle nozze - dà sempre l'impressione di essere al di sotto degli standard hollywoodiani di spettacolarità, un tantino contenuto, poco convinto. Viceversa, dove il film vince la sua partita col cinema è nel design - il ministero della magia è architettonicamente espressionista e funzionale a una rappresentazione del potere di stampo neonazista (mentre diventa esplicito in questo ultimo episodio il sottotesto sul razzismo di Voldemort/Hitler) - e nell'impronta fortemente metalinguistica lasciata da Yates.
Quest'ultimo è il punto decisivo per comprendere l'operazione, crediamo: il regista britannico sa trasmettere una suspense squisitamente hitchcockiana, perché non vuole "cogliere di sorpresa" lo spettatore ma metterlo nella stessa condizione di intruso dei tre protagonisti che rischiano di essere continuamente scoperti. Ovvero "visti", perché è sul visibile che si gioca l'intera partita de I Doni della Morte, quando ad esempio si diverte a invertire di continuo le posizioni dello sguardo (scambiando sovente vedente e visto), o suggerisce che il comune denominatore del cinema e della magia è, alla maniera di Méliès, il trompe l'oeil, l'illusione ottica, la metamorfosi fisiognomica, la moltiplicazione a specchio, l'occultamento (farsi invisibili) e la smaterializzazione (la dissociazione tra corpo e presenza). In questo il film rivela una profonda pulsione virtuale, non solo nel mettere in crisi lo statuto di conoscenza del visivo a vantaggio di altri sensi (il ghermidore che non può vedere Hermione la riconosce dall'olfatto; è la voce della radio ad informare i tre amici sullo stato delle cose; ed è la precognizione a suggerire ad Harry le mosse da fare), ma perché rinnega la natura fotografica e mnemonica del dispositivo - come si vede all'inizio, quando Hermione fa sparire la sua immagine dall'album di famiglia - per esaltarne le virtù demiurgiche, creatore di mondi e fisiche parallele.
Inseguendo il carrozzone postmodernista l'ultimo Harry Potter si sbarazza del supporto - del corpo come della macchina cinematografica - per liberare le immagini da ogni pesantezza, il significato dal significante, il digitale dall'analogico. Non è un caso se la cosa migliore del film è l'inserto animato. Così come non è innocuo suggerire che solo al momento della riunificazione (in-carnazione?) di figure e referenti, può sopraggiungere la morte. I cui doni somigliano tanto alle ciambelle di salvataggio del cinema (Gianluca Arnone)
"Harry Potter prende congedo dal cinema, ma con calma: 'I Doni della Morte' è servito in due parti, la prima ora, la seconda a luglio 2011, perché anche la magia nulla può contro il profitto. 7 i libri e tante ricorrenze nella saga, 8 i film, ma non è generosità: Io 'sdoppiamento' la tira per le lunghe. (...) Ancora una volta, un cine-capitolo di raccordo, che pur perdendo molte pagine è sintesi prolissa della Rowlings: l'action serve le scene madri (quella nel bosco è copia conforme di 'Twilight') e la paranoia domina, mentre - crediamo - Yates avrebbe puntato sulla smaterializzazione della morte e il postmoderno della invisibilità. Se la digressione animata dei 'Doni della Morte è pregevole', i maghetti sono bacchettoni e le bacchette spuntate. (Federico Pontiggia, 'Il Fatto Quotidiano', 18 novembre 2010)
"Harry Potter non è solo una saga letteraria, non è solo un film, non è solo un parco giochi, non è solo un mondo di gadget e video giochi... È un luogo dell'immaginario, la creazione di una nuova figura della fantasia, un mondo parallelo abitato da una generazione di ragazzini sparsi per tutto il mondo. (...) Se vedessimo Harry Potter con altri occhi che non siano quelli della pretesa spettacolare e cinematografica, ne ricaveremmo una sicura lezione, per noi e i nostri figli." (Dario Zonta, 'L'Unità', 19 novembre 2010)
"Per essere un film di passaggio, pretesto commerciale per allungare la storia, 'Harry Potter e i doni della morte' è fatto come sempre molto bene, arricchito dagli attori con parti secondarie (Alan Rickman, Timothy Spall, Fiona Shaw, Imelda Staunton, DaviI Thewlis). Non ha molto fascino, ma non è colpa sua. Ralph Fiennes, nel personaggio essenziale del terrificante Lord Voldemort, totalmente privo di naso, è un cattivo bravissimo e spietato." (Lietta Tornabuoni, 'La Stampa', 19 novembre 2010)
"L'idea di un mondo antico - l'atmosfera dickensiana dell'istituto per giovani talenti dell'al di là tutto legno e ombre, scalinate misteriose e biblioteche immense - trapiantato nel presente (i sette libri coprono un arco temporale dal 1981 al 2016) costituisce l'originalità di Rowling (qui anche produttrice) che non ricorre alla fantasy tradizionale ma pretende una magia 'reale'. Si può imparare a maneggiare una bacchetta e far volare gli aeroplanini di carta, montare una scopa volante senza essere disarcionati, distillare un elisir visionario, confezionare caramelle dagli effetti strampalati...(...) Le 2 ore e 23 minuti del film annaspano nel vuoto, accumulano dettagli, si fermano nell'esilio dei tre 'indesiderati' in apatica attesa della conclusione, la seconda parte che uscirà l'anno prossimo. Snaturato nella sua essenza originale, questo Harry Potter non trova altre suggestioni. La cupa vertigine che lo attraversa non disturberà solo i più piccoli, spaventati non tanto da un gigantesco serpente dalle fauci spalancate (niente 3D però) ma dal corpo capovolto di una donna, una maestra di arti magiche, appesa e sanguinante come i torturati di Abu Ghraib. La 'caccia alle streghe' fuor di metafora suona stonata nell'universo felice di Hogwarts dove tutto è possibile e dove si muore smaterializzandosi in un pulviscolo stellato." (Mariuccia Ciotta, 'Il Manifesto', 19 novembre 2010)
"Piacerà soprattutto al pubblico adulto, che nei primi capitoli era stato trascurato a beneficio di quello degli impuberi. In fondo è giusto. Anche Harry è diventato adulto e l'avventura non può essere più gioiosa come un tempo." (Giorgio Carbone, 'Libero', 19 novembre 2010)
"Girato di maggio, ma ambientato di gennaio, la prima parte dell'ultimo episodio della serie di 'Harry Potter' - scritta da J.K Rowling (Salani) - mette in scena il gelo climatico. Ma ad avvolgerne i personaggi è essenzialmente il gelo della morte, evocata dal titolo, 'Harry Potter e i doni della morte'. (...) Il problema delle serie mirate, come questa, a un pubblico in età evolutiva è non perdere il contatto con esso, pur mantenendo attrazione verso i più piccoli. Una soluzione sarebbe far durare meno le serie: ma come chiedere al produttore David Heyman di rinunciare anzitempo alla macchina fabbrica soldi? Un'altra soluzione sarebbe far durare meno i film, il che consentirebbe di bruciare meno risorse: ma il pubblico è stato addestrato alla quantità, non alla qualità. (...) Così, ci si aggira fra 'l doni della morte', circondati dai migliori attori del cinema anglo-irlandese (...) dopo mezz'ora in sala ci si chiede perché la Rowling, Heyman & C. abbiano logorato una buona idea fino a indurci a detestarla." (Maurizio Cabona, 'Il Giornale', 19 novembre 2010)
"Questa scansione 'a puntate' rappresenta, secondo noi, l'esperimento più interessante, quello più congeniale all'eterna sfida tra spazio e tempo sullo schermo: non a caso i momenti clou dell'ultimo film riguardano l'irruzione dei sentimenti adulti nel mondo di Harry, Ron ed Ermione, una serie di strappi più destabilizzanti delle mirabolanti avventure alle quali i nostri eroi sono destinati sin dall'inizio. (...) La caratteristica de 'I doni della morte' sta tutta nell'accentuazione delle atmosfere cupe, minacciose, gotiche sconfinanti nell'horror, che finiscono così col prevalere, a danno degli spettatori più piccini, sul pur cospicuo tourbillon di trucchi in digitale, colpi di scena, inseguimenti, metamorfosi multiple, orecchi tagliati e braccia quasi staccate dal corpo. Sia pure migliore dei due capitoli precedenti, il film del modesto David Yates non aggiunge nulla di nuovo alla consistenza fiabesca e linguistica dell'intera operazione, un pot-pourri di citazioni furbastre di Shakespeare, Dickens, Tolkien, l'Ende di 'La storia infinita' e chi più ne ha più ne metta." (Valerio Caprara, 'Il Mattino', 19 novembre 2010)