Ho avuto il privilegio di poter assistere a una visione riservata del già famosissimo film di Mel Gibson "The Passion of the Christ", lavoro cinematografico che detiene un singolare record: è senz'altro il film più discusso della storia ma in anticipo, cioè ancor prima della proiezione nelle sale. L'attesa è stata enorme e negli Stati Uniti, dove è uscito il 25 febbraio, è stato distribuito in 4500 sale; per un paragone, si pensi che "The return of the King", l'ultimo della "trilogia dell'Anello", di sale ne ha avute trecento in meno.
Certo, molto merito di questo lancio senza precedenti lo si deve, è inutile nasconderselo, alle polemiche innescate da quelle associazioni ebraiche che hanno accusato il film di antisemitismo. A questo proposito leggevo su "Il Giornale" del 15 febbraio u.s. gli stralci di una lettera aperta che il rabbino Daniel Lapin aveva pubblicato on line riguardo al film. In essa si scuoteva la testa per "quelle organizzazioni ebraiche che hanno sprecato tempo e soldi inutilmente nella protesta"; infatti, "hanno sperato di bloccare il film, invece lo stanno promuovendo. Di più: "Nel pubblico di tutta l'America sto incontrando un sentimento di amarezza verso le organizzazioni ebraiche che insistono nel dire che credere nel Nuovo Testamento significa dar prova di antisemitismo".
Già, perché il regista si è limitato a praticamente copiare, usando il racconto evangelico come, appunto, un copione già pronto. In effetti, senza le polemiche che lo hanno proceduto di almeno un anno, quel film sarebbe uscito praticamente in sordina e non si sarebbe creata quell'attesa che, invece, c'è stata e c'è. Tutti non vedono l'ora di vederlo, e tutti, c'è da giurarci, lo vedranno.
Questo effetto-boomerang è l'ultimo dei miracoli di questo straordinario (a quanto pare) film. Il protagonista Jim Caviezel ha infatti raccontato a Newsweek che, mentre stavano girando le ultime scene del Sermone della Montagna, un italiano si è rivolto a Mel Gibson in perfetto inglese (mai era stato sentito prima e non si pensava ne fosse capace) ed ha fermamente consigliato di andar via. Il tono autorevole e i nuvoloni all'orizzonte hanno convinto lo stupito regista. Proprio nell'esatto momento in cui la troupe ha iniziato la discesa si è scatenato il finimondo con fulmini e saette: una folgore ha colpito la croce e un'altra l'ombrello del protagonista, che ha avuto i capelli e le dita della mano bruciacchiati. Caviezel è un cattolico da messa quotidiana, così come Gibson. L'attrice che fa la Madonna è un'ebrea di cognome Morgenstern, che in tedesco significa "stella del mattino" e che, coincidenza, è uno dei tradizionali appellativi della Vergine. Insomma, ce n'era di che stuzzicare la curiosità. Ed è con somma curiosità che, infatti, mi sono precipitato a vederlo, quel film, in una saletta improvvisata e in compagnia di una decina di giornalisti selezionati.
Il film è davvero bello, a tratti anche commovente. E' stato detto che è violento, ma è solo realistico: un uomo flagellato col tremendo flagrum romano (una frusta di catenelle metalliche terminante con punte acuminate) non può che uscirne con la carne a brandelli e letteralmente coperto di sangue; e così è nel film. Corre voce che l'autore si sia ispirato anche alle visioni di Anna Katharina Emmerick, la suora stigmatizzata che nei primi decenni dell'Ottocento affidò le sue esperienze mistiche al poeta tedesco Clemens von Brentano. Potrebbe essere, dal momento che nel film Cristo porta la croce intera, laddove i due ladroni reggono sulle spalle (più correttamente da un punto di vista storico-archeologico) solo la barra orizzontale, lo stipes. Il Cristo in croce, poi, mi ha fatto ricordare un dipinto di S. Alfonso de' Liguori (il santo e Dottore della Chiesa era anche pittore, oltre che musicista, teologo moralista e fondatore): in esso il crocifisso è come inondato di sangue, così come appare nel film e come davvero deve essere stato.
Naturalmente, la domanda da cento milioni di dollari, quella che più urge è questa: il film è realmente antisemita? Posso rispondere solo così: dal momento che c'era questa particolare polemica in atto, ho scrutato attentamente gli eventuali segni di antisemitismo (cosa a cui non avrei nemmeno pensato senza la pulce nell'orecchio) e devo dire che, semmai, ne ho trovati parecchi di antiromanismo. Sì, a farci la figura peggiore sono proprio i romani, la cui brutalità gratuita e ottusa occupa i tre quarti della proiezione. Esistesse una Antidefamation league dei romani, Mel Gibson avrebbe davvero passato i guai.
No, il film è una trasposizione pedissequa del Vangelo, il quale non può essere certo accusato di antisemitismo, visto che tra i "buoni" della Passione mette parecchi personaggi che erano, per forza, ebrei e addirittura un paio di sinedriti come Giuseppe d'Arimatea e Nicodemo.
Devo dire che il film andrebbe visto almeno due volte.
Sì, perché nella prima visione si è per forza di cose distratti dai sottotitoli
e non si gustano i dialoghi in aramaico e in latino. Io, che ho dovuto leggere
sottotitolazione in inglese, ne sono stato spiazzato due volte, almeno finché
non mi sono costretto a seguire solo l'audio. Fa davvero impressione ascoltare
l'audio di quel che fu realmente detto allora, e con lo stesso tono. I continui
flashback che fanno coincidere i momenti più acuti della Passione con passi del
discorso delle beatitudini, della lavanda dei piedi, dell'ultima cena vanno
ascritti all'arte di Mel Gibson, che si conferma autore di grande cinema. Anche
il rimando tra una delle cadute di Cristo sotto la croce e un suo ruzzolone, da
piccolo, subito consolato dalla Madre (che ora si strugge impotente perché non
può più farlo) è un tocco di tragica poesia che lascerà il segno.
Infine, l'androginia del diavolo e l'inserimento del serpente nel Getsemani sono passi sia da cineforum che da meditazione. Speriamo che, appunto, i cineforum cattolici colgano la palla al balzo e imparino, finalmente, che si può fare cinema "cattolico" senza annoiare.
The Passion
di Rino Cammilleri, da Il Timone
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