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In un futuro lontano, tra le rovine dell'ex Nord America, i dodici distretti che compongono lo stato di Panem devono mandare un ragazzo e una ragazza a concorrere all'annuale edizione degli spettacolari 'Hunger Games', un evento televisivo nazionale in cui i partecipanti, chiamati 'Tributi', devono combattere gli uni contro gli altri per la sopravvivenza. Tra i partecipanti c'è anche Kantis Everdeen, che rispetto ai suoi avversari ben addestrati, ha potuto contare solo sull'esperienza di un ex vincitore, l'ormai alcolizzato Haymitch Abernathy. Costretta quindi a fare leva quasi esclusivamente sul suo istinto, Kantis, per tornare a casa sua nel Distretto 12, sull'arena sarà chiamata a fare scelte impossibili...
Regia: Gary Ross
Interpreti: Jennifer Lawrence, Liam Hemsworth, Josh
Hutcherson, Elizabeth Banks, Stanley Tucci, Woody Harrelson, Donald
Sutherland, Lenny Kravitz, Isabelle Fuhrman, Wes Bentley, Willow Shields,
Paula Malcomson, Raiko Bowman, Toby Jones, Kimiko Gelman, Nelson Ascencio,
Brooke Bundy, Amandla Stenberg, Dayo Okeniyi, Leven Rambin
Sceneggiatura: Billy Ray, Gary Ross
Fotografia: Tom Stern
Montaggio: Stephen Mirrione, Juliette Welfling
Musiche: T-Bone Burnett, James Newton Howard
Durata: 2 ore e 22 minuti
Valutazione Pastorale (dal sito della CNVF della Conferenza Episcopale Italiana)
Giudizio: Consigliabile/problematico
Tematiche: Fantascienza; Giovani; Letteratura; Male; Mass-media; Metafore del nostro tempo
Nel futuro prossimo venturo, gli Stati Uniti distrutti e divenuti Panem vivono solo sull'organizzazione di giochi di morte realizzati a beneficio dello spettacolo. L'estetica del reality diventa lugubre scenario di fantascienza, tanto più seguito e applaudito in tutto il mondo, quanto più il pubblico giovanile dimostra di aderire alla richiesta di mondi 'altri', di vite 'altre', di esistenze in bilico. Dalle pagine dei romanzi di Suzanne Collins alle immagini aspre e disperate confezionate da Gary Ross passa un ventaglio di inesauribile di suggestioni, citazioni, riferimenti. E' facile entrare nei territori della metafora e qui lasciarsi andare agli argomenti più differenti: la città desolata, la scomparsa della convivenza sociale, la fine del libero arbitrio e poi l'amore violato, la gioventù sacrificata, la gioia conculcata. E, all'opposto, la voglia di ribellione e di riscatto. Insomma, toccato il fondo si può solo risalire. Nell'epoca globalizzata, il disagio giovanile trova appigli per partire contro un nemico astuto e bieco, per cavalcare l'onda di movimenti di sollevazione dapprima spontanea poi organizzata e incanalata. Il copione segue i toni dell'apologo fantastico-metafisico, riuscendo a distinguersi dal coeva saga di "Twilight", e tuttavia cavalcando la stessa configurazione di mondi paralleli, tra mezze verità e mezze falsità, tra incubo e divertimento. Alla fine il traguardo dell'unico sopravvissuto diventa pura ipotesi irreale, e è giusto che rimanga in quella condizione. Aiutando magari a stimolare qualche riflessione meno affrettata. Dal punto di vista pastorale, il film è da valutare come consigliabile e nell'insieme problematico.
Utilizzazione: il film può essere utilizzato in programmazione ordinaria, e in seguito come proposta per un pubblico soprattutto giovanile in grado di sentirsi coinvolto e stimolato.
Chi ha i denti non ha il Panem: il reality è - ottimamente - servito, Jennifer Lawrence lotta per la vita
Il futuro è distopico, gli Stati Uniti non esistono più. Non è una contraddizione, ma la realtà della nazione di Panem, costruita sulla macerie stelle & strisce, con più di qualche implicazione mitologica, echi romani (panem et circenses, Campidoglio e gladiatori…) e survival senza tempo. A combattere per il “pollice su” ora sono i Tributi, due adolescenti per ciascuno dei 12 distretti di Panem, costretti ad affrontarsi in un reality letale, gli Hunger Games, con cadenza annuale. Come voleva Highlander, ne rimarrà solo uno, e a giocare sporco è la demagogia del potere centrale: il tv-show è il memento (mori) di una passata rivolta.
Tra i concorrenti della 74esima edizione di questi Giochi sui generis, in cui partecipare è sfiga conclamata, vincere un imperativo darwiniano, c’è Katniss Everdeen (Jennifer Lawrence), bella e tosta ragazza di campagna: con l’arco ci sa fare, con il cuore di più, e così si offre volontaria al posto della sorellina. Per salvarsi, potrà contare su se stessa e - si fa per dire - un coach ubriacone, Haymitch Abernathy (Woody Harrelson), e l’ambiguo compagno di distretto, Peeta Mellark (Josh Hutcherson).
E’ Hunger Games, diretto da Gary Ross e tratto dal bestseller di Suzanne Collins: 26 milioni di copie solo negli Usa, trasformate al box office patrio in 340 milioni di dollari in meno di un mese, 152 nel solo weekend di apertura. Film negli occhi, non c’è da stupirsi: complice l’ottima prova della 21enne Jennifer Lawrence e il suo cursus honorum (The Burning Plain, Un gelido inverno), si intuisce il segreto di Hunger Games, un film a vocazione blockbuster ma girato con spirito indie e un guerrilla style che passa senza colpo ferire alle ottiche dell'Isola dei famosi.
Dunque, la spilla circolare e infuocata di Katniss trova la sua quadratura: non è un’operazione letteral-cinematografica alla Twilight, bensì un’onesta strizzata d’occhio alle disforie del presente, su tutti il connubio potere-massmedia, con il cinema che non è questo sconosciuto, dal nipponico Battle Royale di Fukasaku Kinji a L’implacabile con Arnold Schwarzenegger, passando per il recente Live con Eva Mendes.
Nel finale, però, l’inversione che (non) t’aspetti: se vinci i Giochi, i Giochi ti vincono, e spunta un sorriso di plastica, mentre il tuo compagno - chi ha partecipato al Grande Fratello potrà agevolmente confermare... - non è più quello che ti sei scelto, ma quello che ti è stato scelto a favore di telecamera.
Insomma, di motivi per trovarsi a pancia piena di fronte a questi Giochi della Fame ce ne sono, il principale è addirittura involontario: un film di Sistema che attacca il Sistema. Una furba demagogia, come per i Games di Panem, o un’imponderabile falla? Scagliate una freccia, il bersaglio è la vostra testa. (Federico Pontiggia)
"Dalla società dello spettacolo allo spettacolo della morte. Dai ricatti dei reality alla realtà del ricatto, mascherato per giunta da riscatto. (...) 'Hunger Games' colpisce basso ma forte mixando satira, metafora, reality, videogame, in un cocktail più nuovo dei suoi ingredienti dove più che la violenza dello spettacolo (manipolato, quindi doppiamente immorale) colpisce il divertimento degli spettatori, le loro mises decadenti, il rito officiato con zelo e entusiasmo da servi, imbonitori ed esperti vari, felici di stare dalla parte giusta." (Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero', 4 maggio 2012)
"Quello che resta del Nordamerica diviso in dodici province, che esistono in diversi stati di povertà, soggiogate a una Capitale tirannica, sfarzosa e decadente che, dopo aver brutalmente soffocato una rivoluzione, ogni anno esige il sacrificio di 24 teenagers impegnati in un sanguinoso gioco di morte televisivo, dal quale può emergere un solo vincitore/sopravvissuto. La premessa di 'Hunger Games', e la sua eroina, Katniss Everdeen, erano leggendari prima ancora che il fenomeno editoriale di Suzanne Collins arrivasse nei cinema. (...) La soluzione adottata da Ross e dalla Lionsgate per rendere 'teen age friendly' la violenza è quella di una macchina in movimento frenetico, con l'obiettivo che non si ferma mai - sul sangue, su un colpo o una ferita inferti, su un ultimo respiro o un lamento. È una scelta che contraddice il linguaggio vivido, ad alta densità emotiva del libro (narrato dal punto di vista di Katniss) e che, come ha notato qualche critico, non solo ne diminuisce l'impatto ma è abbastanza un tradimento. Al film manca l'indignazione, la spietatezza e la visionarietà che rende il libro di Collins straordinario. E la sua feroce critica ai media (era stata ispirata dalla visione di un servizio sulla guerra in Iraq e di un reality). Ma, oltre alla forza della storia, dei personaggi e del cocktail abbastanza irresistibile di amore, horror e politica, almeno due cose sono dalla parte di Ross e redimono la scelta «peso piuma» dell'operazione.Una è la protagonista, Jennifer Lawrence, che adatta la sua interpretazione di Katniss e quella che aveva già dato in 'Winter's Bone'. (...) Come in quella storia (..) Lawrence porta all'eroina di 'Hunger Games' la sua fissità un po' magnetica, distante. Che ne fa un personaggio doloroso, stoico. Un personaggio che può ispirare una rivoluzione. Perfetto per l'era di Occupy Wall Street. In più, Lionsgate e regista sono stati saggi a tarare la dimensione produttiva/e d'immaginario di 'Hunger Games' su quella dei 'Twilight', di un cinema d'azione mai monumentale, raccontato con leggerezza. Quasi orgogliosamente B. Non è casuale la scelta, alla fotografia, di Tom Stem, formato alla scuola della straordinaria economia visiva di Clint Eastwood (che porta a questi sanguinari scontri tra bambini la precisione degli incontri di rugby in 'Invictus') e di un produttore come Jon Kilik, abituato all'invenzione visiva indipendente di Jarmush, Spike Lee e Schnabel." (Giulia D'Agnolo Vallan, 'Il Manifesto', 4 maggio 2012)
"Chissà a quanti dei lettori, ma a noi dà un po' fastidio guardare i film dal buco della serratura del «fenomeno». Non è che sia possibile ignorare, nel merito, che 'Hunger Games' in Usa abbia sbancato il botteghino e continui a erogare alla Lionsgate la stessa montagna di dollari toccata ai tre romanzi originari dell'ex sceneggiatrice tv Suzanne Collins; eppure sarebbe meglio concedersi alle immagini senza pagare il pegno dei pregiudizi, negativi o positivi, che comportano tali megacifre con dibattito al seguito. Il primo titolo trasposto è un apologo fantasy-noir dedicato al pubblico planetario dei teenagers, lo stesso che detiene il copyright d'idolatria per 'Harry Potter' e 'Twilight' e se ne frega del diluvio di comparazioni mitologiche, cinefile, letterarie, fumettistiche, mediologiche e persino politiche (giustamente) rovesciato ipso facto sul film dai recensori adulti. Poi, facendo la tara alla malizia con la quale il regista Gary Ross finora autore di due soli titoli (...) ha pescato nel suddetto giacimento, lo show c'è tutto e tiene i cardini ben piantati nel generico disagio che (ancora giustamente) attanaglia le nuove generazioni sotto qualunque cielo. (...) Ci si trova in imbarazzo per le liste di riferimenti - dal mito di Teseo al cult-movie 'Rollerball' passando per Spartaco e Orwell - che dovremmo tirar fuori per dimostrare quanto sia superficiale, schematica, manichea l'operazione che, per la verità, occhieggia anche generosamente le ragioni dell'attuale movimento spontaneista Occupy Wall Street. Non ci sembra il caso, però, innanzitutto perché il «topos» narrativo dell'umanità brutalmente divisa in maggioranze represse e discriminate e minoranze ciniche e privilegiate viene applaudito a prescindere se lo svolge un autore a tuttotondo (modello Kaurismäki) e bollato come rozzo e darwinista quando lo sfrutta un onesto artigiano come Ross. Inoltre l'ingenuo derby all'ultimo sangue tra la squadra dei buonissimi e quella dei cattivissimi s'avvale di un cast di livello molto superiore a quello di un ordinario blockbuster. La ventunenne protagonista Jennifer Lawrence, per esempio, buca lo schermo e tiene botta alle magnifiche presenze di top players come Sutherland, Harrelson, Tucci e Lenny Kravitz." (Valerio Caprara, 'Il Mattino', 4 maggio 2012)
"Piacerà a un pubblico molto vasto e differenziato (infatti il film sta spopolando in tutto il mondo). Innanzitutto agli spettatori del film d'azione (gli scontri sono benissimo orchestrati e pieni di colpi di scena). Al pubblico con laurea. Che si satollerà colla polemica anti reality e con la minaccia di un futuro in cui i divari di classe diventeranno voragini. C'è inoltre (per la platea dei teenagers) una love story impossibile (ma meno languorosa che nei 'Twilight'). Jennifer Lawrence che sfiorò l'Oscar con 'Un gelido inverno' forse stavolta ci metterà le manine." (Giorgio Carbone, 'Libero', 4 maggio 2012)
"Dopo 'Twilight', ecco il nuovo cult adolescenziale che rispetto al rivale è meno banale, meglio diretto e, soprattutto, ottimamente recitato." (Maurizio Acerbi, 'Il Giornale', 4 maggio 2012)
"Là dove c'erano gli Usa, c'è la nazione di Panem: panem et circenses, appunto, Campidoglio e gladiatori, ma ora a combattere per il 'pollice su' sono i Tributi, due adolescenti per ciascuno dei 12 distretti, costretti ad affrontarsi in un reality letale, gli 'Hunger Games'. (...) È 'Hunger Games', diretto da Gary Ross, tratto dal bestseller di Suzanne Collins e record d'incassi negli States: non c'è da stupirsi, perché la vocazione è blockbuster, ma lo spirito indipendente e la regia non teme primi piani da 'Isola dei famosi'. Scordatevi 'Twilight', dunque, questo futuro distopico è zeppo di cinema (da 'Battle Royale' a 'L'implacabile' e 'Live') e tristi pensieri: se vinci i Giochi, i Giochi ti vincono, e spunta un sorriso di plastica, mentre il tuo compagno - i concorrenti del nostro GF potranno confermare - non è più quello che ti sei scelto, ma quello che ti hanno scelto a favore di telecamera. Da vedere, e pensare." (Federico Pontiggia, 'Il Fatto Quotidiano', 3 maggio 2012)