Auditorium di Casatenovo. Oltre 50 anni di cinema e teatro

Il grinta

Il grinta

Sabato 12 marzo - Ore 21:00

Domenica 13 marzo - Ore 16:00 e 21:00

Dopo che il padre è stato ucciso da un pistolero di nome Tom Chaney, la 14enne Mattie Ross decide di avere la sua vendetta. Per avere aiuto, assolda il più duro dei Marshall del west, Reuben J. 'Rooster' Cogburn, un uomo ruvido e dal carattere difficile che accetta con riluttanza che Mattie lo accompagni nella caccia all'uomo di cui è stato incaricato. A loro si unisce poi un Texas Ranger di nome LaBoeuf, da tempo sulle tracce di Chaney.

Regia: Joel Coen, Ethan Coen

Sceneggiatura:  Joel Coen, Ethan Coen

Fotografia: Roger Deakins

Montaggio: Roderick Jaynes

Musiche: Carter Burwell

Interpreti: Jeff Bridges, Hailee Steinfeld, Josh Brolin, Matt Damon, Barry Pepper, Paul Rae, Jarlath Conroy, Domhnall Gleeson, Elizabeth Marvel, Ed Corbin, Dakin Matthews, Joe Stevens, Leon Russom, Mary Anzalone, Bruce Green (II), Brian Brown, Mike Watson

Durata: 1 ora e 50 minuti

 Biglietti esselunga Vieni al cinema alla domenica sera - a Casatenovo costa meno Prendi sei e paghi cinque - Tessere a scalare

Valutazione Pastorale (dal sito dell'Associazione Cattolica Esercenti Cinema - ACEC)

Giudizio: Complesso, problematico *

Tematiche: Adolescenza; Giustizia; Male

Uscito a puntate nel 1968 sul 'Saturday Evening Post' e pubblicato in Italia l'anno dopo con il titolo "Un uomo vero per Mattie Ross", il romanzo di Charles Portis "Il Grinta" (True Grit) ottenne la definitiva notorietà grazie al film che nello stesso 1969 uscì in sala interpretato da John Wayne nel ruolo di Cogburn e diretto dal veterano Henry Hathaway. Di questo precedente i Coen non hanno però tenuto conto, preferendo prendere in mano il romanzo come fosse la prima volta, per pesarne la 'contemporaneità' a 40 anni di distanza. Dicono i commentatori che la 'atemporalità' del testo, e quindi la sua attualità, è rappresentata dalla voce fuori campo di Mattie che vive in flashback gli avvenimenti e in 'diretta' la parte finale. L'inizio del copione nel villaggio di Fort Smith ha il grande respiro dell'epica. Quello che segue ricalca le orme profonde dell'avventura on the road, quando uomini e donne sono soli con se stessi a costruire o rovinare il proprio destino. I temi del vivere, del socializzare, del costruire una civiltà si intrecciano con quelli, ancestrali, del bene e del male, della giustizia che deve governare i rapporti tra le persone, dello spazio, primario, da lasciare alla libera iniziativa dell'individuo. Così, tra pietà e paura, si compie la parabola di ciascuno, o meglio di un popolo. I Coen incidono con vigore nelle immagini questi sentimenti senza tempo. E se l'idea della vendetta come motore delle azioni induce a non vederla come unica soluzione possibile, il film mantiene un taglio visionario che sa anche di riscatto e di superamento degli odi. Dal punto di vista pastorale, é da valutare come complesso e certamente problematico.

Utilizzazione: il film è da utilizzare in programmazione ordinaria, con doverosa attenzione per i più piccoli, trattandosi di uno spettacolo forte, duro e tagliente. Stessa cura é da tenere in seguito in vista di passaggi televisivi o di uso di dvd e di altri supporti tecnici.

cinematografo.it - Fondazione ente dello spettacolo ***** Dimenticate John Wayne: il remake dei Coen è un western senza pathos né mito. Brava la Steinfeld, gigione Bridges

Cos'è Il Grinta? Un adattamento filologico del romanzo di Charles Portis? Un omaggio divertito alla versione cinematografica del '69, quella col leggendario John Wayne? L'ennesima rilettura (post)moderna del "genere dei generi" americani, il western? O il film più "classico" che i Coen abbiano mai girato? Probabilmente niente di tutto questo. La sensazione, semmai, è che i due fratelli abbiano voluto rinverdire le gesta dello sceriffo dal grilletto facile, Rooster Cogburn detto "il Grinta", a modo loro: affogando nel nichilismo la retorica della mitologia americana, livellando eroi e antieroi in misura delle loro miserie e dei loro peccati, condensando la narrazione non nei suoi momenti topici - sbrigativamente risolti, come nel caso del duello finale - ma nelle azioni di raccordo, se non addirittura nei "tempi morti" (si veda la lunga sequenza del tiro alle ciambelle, in cui lo sceriffo ubriaco sfida il ranger ferito al braccio).

Il lavoro di "riscrittura" dei Coen è dunque riconoscibile, soprattutto in riferimento alle ultime prove (Non è un paese per vecchi e A Serious Man più di Burn After Reading), che avevano già evidenziato il progressivo abbandono della poetica deformante e grottesca degli anni '90. Il loro cinema non si è per questo normalizzato. Semmai ha messo in luce la cifra recondita della loro ispirazione, debitrice dei temi dell'ebraismo (della colpa e del castigo), incline alla disperazione ed emotivamente piatta, a-patica. Se queste sono le premesse per accostarsi a un film come Il Grinta, i risultati lasciano perplessi. Innanzitutto l'ossatura della storia è articolata secondo una progessione (temporale, tematica e ideologica) lineare, che mal si concilia con l'insofferenza dei Coen per la narrazione "forte". Non è un caso se i nodi centrali del racconto - la relazione tra la piccola Mattie Ross e i due comprimari adulti, la resa dei conti con i ladroni brutti e cattivi, il finale - appaiono anche i più incerti, i meno incisivi, quasi sottotono. E' come se la coppia riuscisse sì a disattendere le "inclinazioni naturali" del testo, ma senza liberarsene mai, impantanandosi in un'operazione segnata da un attrito di fondo, poetica contro archetipi, film contro genere. A loro sfavore gioca la memoria viva del western, un codice condiviso (dal pubblico) di attese e risposte, la forza ottusa di una mito che resiste a ogni tentativo di smascheramento.

Si può fare, si è fatto, il grande western crepuscolare. E si son fatti - ma a patto di raccontare la frontiere in maniera radicalmente diversa - anche western senza fronzoli, glaciali, com'era il veneziano Meek's Cutoff di Kelly Reichardt. Vietato invece - la prova è questa - il western iconoclasta e classico insieme, svuotato e mitico. Da questo paradosso non si esce. Il nuovo film dei Coen non è brutto. La prima mezz'ora è di grande intensità, il controllo della messa in scena superbo e notevole è il lavoro degli attori - non tanto quello di Bridges, troppo gigionesco nel ruolo che fu (e che rimane) di John Wayne, ma di Damon e della piccola Hailee Steinfeld, prima vera eroina del loro cinema. Resta però un film sbagliato, squilibrato, a tratti stancante. Frutto di un malinteso simile a quello in cui è incappata l'Academy che - scambiando forse Il Grinta per un "classico" - lo ha candidato a 10 Oscar. A conferma di come l'America non abbia mai perso l'amore per il western. E di come, al contrario, non ne abbia mai avuto troppo per i Coen. (Gianluca Arnone)

La critica

"Panorami struggenti, personaggi scolpiti, pistole, cavalli e duelli al sole. 'Il Grinta', remake dell'omonimo western del '69, è ricco di tali e tante fiammate epiche, raffinate citazioni e saette di humour nero da rendere letteralmente estasiasti gli spettatori come noi nostalgici del cinema classico e della sua primigenia solennità. I fratelli Coen, del resto, erano gli unici registi contemporanei in grado di riavvicinarsi con classe e convinzione al romanzo. (...) Naturalmente il valore dell'operazione è strettamente collegato alla prova meravigliosa degli attori, tutti in grado di diventare sullo schermo 'più grandi della vita' come indicava il primo comandamento dell'età dell'oro hollywoodiana. (...) Nulla da invidiare alla pellicola del '69 con John Wayne (...) Con la pertinente complicità della fotografia di Roger Deakins e le musiche di Carter Burwell, 'II Grinta' scavalca le angustie e i complessi dell'immaginario anni Duemila e si riunisce per via diretta ai poemi di Ford, Hawks, Walsh e ai tormentati e rabbiosi neowestern del più giovane e disilluso Sam Peckinpah ('Sfida nell'Alta Sierra'). Si sarà capito a questo punto come il film sprigioni tutta la geometrica potenza - in apparenza un po' statica, in quanto lontana anni luce del frenetico movimentismo dell'odierno blockbuster - che serve a metaforizzare tematiche pregnanti come il rapporto tra giustizia e vendetta, la fine e la rinascita dello spirito di frontiera e, in quest'ultimo senso, l'eterno incontro/scontro tra l'anima americana zelante, espansionista e democratica e quella originaria e pionieristica, anarco-individualista e libertaria." (Valerio Caprara, 'Il Mattino', 18 febbraio 2011)

"Se quello di Hathaway con Wayne era a cavallo della crisi, questo dei Coen è un meraviglioso western che vive di puro cinema, nel rispetto del classico ma di una sconvolgente modernità di stile, con una sceneggiatura da insegnare a scuola. Il cast non fa una grinza: la Steinfeld è una teenager prodigio, Bridges-Damon due assi. Inizio e finale da urlo." (Maurizio Porro, 'Corriere della Sera', 18 febbraio 2011)

"Piacerà a tutti coloro che amano il western e hanno seguito al colmo del gaudio I'iter del film dei Coen. Non solo piaciuto (e parecchio) alla critica (è un gran favorito nella corsa all'Oscar). Ma anche tantissimo (e questo è un dato che ha dell'incredibile) al pubblico Usa. Il film è stato in America un campione degli incassi natalizi (...). E va bene, molti fan del film con John Wayne storceranno (qualcuno ha già storto) il naso. Wayne 'era' Grinta, viveva la parte. Jeff Bridges per quanto bravo la recita solamente. Però riconosciamolo, la vecchia pellicola, pur fatta benissimo, era quasi disneyana nel racconto e nei personaggi. La ferocia del Grinta era solo dichiarata (mai vista) e lo show down finale (...) era plausibile solo per gli under 10. Con i fratelli Coen, si sa, la violenza non è mai bella e gloriosa. Gli scontri sono crudeli, quasi sempre sleali, il discrimine tra la violenza 'buona' e quella 'cattiva' diventa un optional. (...) Fosse vivo Sergio Leone farebbe follie per 'Il grinta' secondo Coen. Non tanto per come raccontano il West (lo stile è duro e secco, lontano dai barocchismi leoniani) per il senso di cupo tramonto con cui l'America chiude la sua fase eroica. Nel film dominano i 'vecchi' ('Grinta' e i fuorilegge, emblemi di un mondo che sta svanendo) ma s'affacciano i giovani. LaBoeuf che porta la civiltà e la legalità. Ma sopratutto Mattie, indifesa nel corpo, ma durissima nella determinazione, l'ambasciatrice di un'America che nel secolo successivo prenderà in pugno i destini dei mondo." (Giorgio Carbone, 'Libero', 18 febbraio 2011)

"Violenza, avventura e delusione questa la storia raccontata sapientemente dai Coen che, attraverso immagini rese seducenti dalla splendida fotografia di Roger Deackins, prendono a prestito le tematiche classiche del genere per parlare dell'America di oggi e ancora una volta della propria personale visione dell'esistenza. Non si può non pensarla così guardando il mondo con gli occhi del vero 'Grinta' della storia, quell'eroina impertinente e sicura, dallo sguardo candido ed innocente che troppo spesso disarmato e malinconico si posa sui cadaveri che una società moralmente degradata e senza amore lascia dietro di sé. Bellissimi i primi piani di questa quattordicenne, reale alter ego dei Coen, che durante il film i due trovano sempre la scusa d'inquadrare, sfiorando quel volto fiero ma ancora morbido dell'adolescenza, unica possibilità in cui i due riscoprono ancora una volta e nonostante tutto il sogno di un mondo migliore." (Alessia Mazzenga, 'Terra', 18 febbraio 2011)

"Fedele al romanzo di Charles Portis più che al film di Hathaway con John Wayne (unico premio Oscar della sua carriera), che i due fratelli di Minneapolis dicono di non aver neppure rivisto. Ancora una volta i Coen riescono a depistare le aspettative. Perché, in fondo, era molto più un western 'Non è un paese per vecchi' questo di 'Grinta'. Dove, nella prima parte, i protagonisti sono impegnati soprattutto in estenuanti contrattazioni. Nel West dei Coen si mercanteggia su tutto e si parla tantissimo. Non esiste accordo, di nessun genere, che non passi per un lungo negoziare dialettico di cui Mattie è incontrastata regina. È lei stessa a farcelo presente quando, nel prologo, la sua voce fuori campo ci informa che a questo mondo nulla è gratuito 'eccetto la grazia di Dio'. E la bellezza del film è proprio nel saper passare da questo a quello e nel saper arrivare alla grazia di Dio raccontando i rapporti tra la ragazzina più tosta del West, l'ormai malandato 'grinta' e LaBoeuf. Quando si diventa una squadra si ha meno bisogno di parlare perché si è protetti dal tocco divino. 'Il Grinta' è commovente e intelligente. Ed è bello, bello. Grandi attori e grandissimi Coen. Che depistano ma non tradiscono mai. (Elisa Battistini, 'Il Fatto Quotidiano', 17 febbraio 2011)

Tutti i film dei fratelli Ethan e Joel Coen

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