Giovedì 14 Marzo - Ore 21:00
Miglior film straniero a Michael Haneke
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La relazione di una coppia di insegnanti di musica in pensione, Georges e Anne, viene messa a dura prova dalle dolorose conseguenze di un ictus invalidante che colpisce Anne. La sua paralisi ridefinirà completamente i rapporti anche con la figlia musicista e col resto della famiglia.
Regia: Michael Haneke
Interpreti: Jean-Louis Trintignant, Emmanuelle Riva, Isabelle Huppert, Alexandre Tharaud, William Shimell, Ramon Agirre, Rita Blanco
Sceneggiatura: Michael Haneke
Fotografia: Darius Khondji
Montaggio: Nadine Muse, Monika Willi
Brani interpretati al pianoforte da Alexandre Tharaud
"Impromptu opus 90 - n°1" e "Impromptu opus 90 - n°3" di Franz Schubert
"Bagatelle opus 126 - n°2" di Ludwig van Beethoven
Prélude Choral "Ich
ruf zu Dir, Herr Jesu Christ" di Johann Sebastian Bach
Durata: 2 ore e 7 minuti
Valutazione Pastorale (dal sito della CNVF della Conferenza Episcopale Italiana)
Giudizio: complesso, problematico, dibattiti
Tematiche: Anziani; Eutanasia; Famiglia - genitori figli; Malattia; Matrimonio - coppia; Morte;
In realtà il racconto prende le mosse dalla fine, con la polizia che entra nell'appartamento dei due coniugi. E in un sottofinale, la figlia Eva si aggira all'interno del bell'appartamento ormai vuoto. In quegli spazi comincia, si sviluppa e si consuma la cronaca degli ultimi giorni di una coppia troppo equilibrata, misurata, gentile per sopportare le conseguenze del male incombente. La solennità della musica classica fa da stridente contrasto con quella frattura del vivere piacevole che è la malattia. Prepararsi ad un'altra vita, richiede la costruzione di un atteggiamento mentale ed etico fatto soprattutto di generosità, sacrificio, amore. Nell'amore è raccolto il tesoro che una persona deve mettere in campo per pensare a chi sta vicino. Senza rifiutare, se occorre, l'aiuto di chi vuole accompagnare l'azione di solidarietà. George invece rinuncia, resta solo e la paura lo induce ad un gesto estremo: mai condivisibile, va detto con chiarezza, e da prendere solo come spunto per riflettere su analoghe situazioni, di fronte alle quali resta prioritario il rispetto per la vita, e l'impegno ad accompagnarne ogni attimo, anche con il conforto e la preghiera. Duro, rigoroso, implacabile, il film, dal punto di vista pastorale, è da valutare come complesso, problematico e adatto per dibattiti.
Utilizzazione: considerato l'argomento, il film richiede nella programmazione ordinaria qualche utile supporto per una lettura più approfondita. Meglio l'utilizzo in occasioni mirate, dove sia possibile avviare riflessioni a più voci intorno al tema centrale.
L’amore al tempo della morte “oscena” secondo Haneke. Capolavoro, con due interpreti straordinari
Vediamo come risuonano certe cose in alcuni film in questi giorni, gli occhi dolci e assenti di Anne che parlano soltanto per Georges in una casa del morente che tiene lontani anche i figli e i tubi di Eluana in transfert nella macchina che tiene in vita l'addormentata nella casa tetra della Divina Madre di Bellocchio (la Huppert figlia-madre è l'idolo a due facce della stessa moneta perturbante), ma anche la stanzetta del suicidio assistito di Quelques heures de printemps di Stephane Brizé (visto a Locarno), un bicchiere, una madre, un figlio, e l'ultimo abbraccio di rimpianti e perdoni... Tanto è pubblica, frastornante, la “dialettica” sul morire, tanto è dimenticato, nell'assoluta solitudine, il materiale apartheid del morire.
Nel libro di un gruppo di allegroni intitolato “Che cosa vuol dire morire”, tra Emanuele Severino, Roberta De Monticelli e Giovanni Reale, il filosofo Remo Bodei ricorda l'impudicizia, la presunta “immoralità” che relega la morte oggi, diversamente dalla ritualità cultu(r)ale di altro tempo: “Si moriva circondati da parenti e amici, era una cerimonia pubblica. Oggi, invece, non il sesso ma la morte è il vero osceno. “Obscenus”, cioè quello che sta fuori dalla scena, che si nasconde. Nel titolo, Haneke ha compresso la profonda solitudine dei due nell'estrema scelta dell'uno: l'amore, l'amore al tempo della morte oscena. Nella casa degli ottantenni Anne e Georges entriamo come l’incipit di un pezzo di cronaca nera: avvertiti dal portiere che sente odore di gas, polizia e vigili del fuoco abbattono la porta di un appartamento e trovano due cadaveri, una coppia di anziani professori di pianoforte. Il flashback condiziona l'occhio dello spettatore a una sorta di responsabilità-solidarietà con la “procedura” della buona-morte, ma ci mette anche nel tormento di identificare per loro (cioè per noi) una possibile morte. In questo senso il film di Haneke ha una potenza sociale che sale dall'intimità. A tal punto, in verità, che un gesto estremo di pensiero ci fa ritenere il film al di là di ogni “utilità”, facendoci fare esperienza di ciò che già perfettamente sappiamo, estraendola da una voce lontana sempre presente.
La ricostruzione dei mesi di malattia di Anne (l’indimenticabile Emmanuelle Riva di Hiroshima mon amour), nell’assistenza disorientata, paziente, incerta, esperta, insofferente, disperata, di Georges (Trintignant), è una selezione a volte geniale e implacabile dei passaggi di una relazione matrimoniale aggredita dal termine naturale, inaccettabile e deludente, della vita, giorni, settimane, mesi che ricondizionano i sentimenti e la quotidianità, mentre gli occhi di Anne parlano, le infermiere sbagliano, dolore e isolamento sono sempre a due e una figlia (la Huppert) riesce a porre questioni ereditarie a una madre quasi demente. La fine non può essere lieta. Ma neanche morbida, con l’autore di La pianista e Il nastro bianco. Georges sceglie: racconta un ricordo di bambino, prende un cuscino, e scrive una lettera. Non essere più due, ma uno, in questo caso è impossibile... Anche se è impraticabile decidere qual è l’interprete che supera l’altro, è Trintignant che ci porta a un delirio d'identificazione della prossima “età”. Palma d'oro a Cannes. (Silvio Danese)