Venerdì 11 ottobre | Ore 21:00 |
Sabato 12 ottobre | Ore 21:00 |
Domenica 13 ottobre | Ore 15:00, 17:30 e 21:00 |
Sabato 19 ottobre | Ore 21:00 |
Domenica 20 ottobre | Ore 15:00, 17:30 e 21:00 |
Sabato 26 ottobre | Ore 21:00 |
Domenica 27 ottobre | Ore 15:00, 17:30 e 21:00 |
La storia è nota a tutti i lettori e non di Collodi. Geppetto falegname, costruisce Pinocchio, un burattino di legno, che alleva come un figlio. Questi è circuito dal Gatto e la Volpe, usato come pupazzo da baraccone dal crudele Mangiafuoco,ma sogna di diventare un bambino vero con l'aiuto della Fata Turchina.
Roberto Benigni | Pinocchio |
Kim Rossi Stuart | Lucignolo |
Nicoletta Braschi | La fata turchina |
Carlo Giuffré | Geppetto |
Peppe Barra | Mangiafuoco |
Regia | Roberto Benigni |
Musiche | Nicola Piovani |
Sceneggiatura | Roberto Benigni |
Vincenzo Cerami | |
Fotografia | Dante Spinotti |
Scenografia | Danilo Donati |
Valutazione Pastorale (dal sito dell'Associazione Cattolica Esercenti Cinema - ACEC)
Giudizio: accettabile, poetico
Tematiche: avventura, film per ragazzi, letteratura
E' probabile che un po' di Pinocchio abbia sempre abitato nella finzione narrativa (nei film, negli spettacoli televisivi, in quelli teatrali) ideata e vissuta fino ad oggi da Roberto Benigni. Ma sottolineare che si tratta di un incontro annunciato rischia di togliere smalto alla novità della realizzazione: Pinocchio è uscito dalla penna di Carlo Collodi nel 1883, oltre cento anni prima di questa ulteriore versione in immagini, quando ormai il rapporto cinema/letteratura ha creato imprevedibili e spesso velleitari stravolgimenti della pagina scritta. Benigni evita di percorrere questa strada. La fiaba resta il punto centrale, il motore della vicenda, il suo polmone carico di ansie e di timori. La fiaba si rivolge ai più piccoli e deve sentirli vicini per mostrare loro tutti i pericoli che li aspettano nella vita. Pinocchio vuole dire al babbo che gli vuole tanto bene, ma capita qualcosa che lo attira di più, e allora sbaglia, viene ripreso, dice bugie, piange, promette di non cascarci più, combina un altro guaio, ricomincia. E' un viaggio di formazione, quello del burattino, attraverso le intemperie dell'esistenza e fino all'età più grande. Una favola senza tempo, che Benigni non cambia ma nemmeno piega a banali riferimenti contemporanei, anzi mantiene con decisione sul livello del sogno. La realizzazione ha momenti di alta forza visiva, il lavoro del compianto scenografo Danilo Donati crea uno scoppiettante caleidoscopio di colori, suoni, intrecci tra persone e oggetti. Il ritmo affabulante diventa la cronaca timida e commossa delle peripezie di un indifeso burattino pallido, ingenuo, stralunato. Il Pinocchio di Benigni non ha paura di mettere in primo piano i propri difetti più che i pregi, non si propone come un rifugio nella memoria di un tempo migliore ma come la voglia di recuperare il coraggio della fantasia. Sorretto dalle presenze di robusti attori di contorno, Benigni aderisce a Pinocchio e ne tira fuori la piccola verità che da lui proviene: la ricerca di affetti, la voglia di riscatto, il senso di una rinnovata armonia. Quello che arriva in chiusura non è il lieto fine col bene che vince sul male ma, di più, è la voglia di credere che possa essere davvero così. Dal punto di vista pastorale, il film è da valutare come positivo, accettabile e poetico per il prevalere delle ragioni del cuore su quelle della mente.
Utilizzazione: il film è da utilizzare in programmazione ordinaria e da recuperare come spettacolo di bella suggestione per grandi e piccoli.
"Il film è una specie di traduzione lineare del libro, illustrata dalle splendide scenografie di Danilo Donati, recitata da bravi attori, corredata da effetti speciali di ottimo livelli ma dove manca, purtroppo, qualcosa. Quel che manca è una fantasia visionaria, un senso della dismisura, della poesia che appartiene a Benigni come attore e autore, ma che il Benigni regista non ha ancora acquisito. Una carenza che spiace tanto più perché il film contiene scene di grande ispirazione visiva, ma senza riuscire a dar loro una continuità tale da giustificare il capolavoro annunciato. (..) Ci chiediamo, in altre parole, dove sia finito il gusto dello sberleffo, della trasgressione che tutti i maggiori comici cinematografici posseggono in larga misura e che a Roberto non fa certo difetto". (Roberto Nepoti, 'la Repubblica', 6 ottobre 2002)
"(...) le scene e i costumi del povero Danilo Donati, al suo ultimo lavoro, si 'mangiano' il film ancor prima che il pescecane si mangi Pinocchio. - Vuoi dire che gli attori non sono bravi? - Al contrario. Mangiafuoco, cioè Franco Javarone, mette paura. I Fichi d'India sono un Gatto e una Volpe insinuanti e un po' bauscia, due manager pezzenti come ce n'è tanti in giro. Kim Rossi Stuart è un Lucignolo sensazionale, un "apache" deciso a non arrendersi a costo di morire. Ma il film non rinuncia a nulla, quindi ognuno ha due, tre scene e via. E il vero problema, paradossalmente, è Pinocchio. Benigni ne è come intimidito. Lo indossa come una maschera, anziché farsene possedere come da un demone". (Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero', 11 ottobre 2002)
"Là dove s'intenerì Disney e si esaltarono il genio di Carmelo Bene e l'ugola di Bennato, al cospetto dell'italianissimo burattino che cede ad ogni tentazione, il diavolo toscano si fa piccolo piccolo, ripetitivo e meccanico, poco ispirato e quasi mai poetico: gli basta far svolazzare brandelli di 'Forrest Gump' mentre Nicola Piovani fu Oscar martella di note i colli e il borgo. (...) Benigni ha il dna di Chaplin, l'estro fanciullesco di Fellini, 80 miliardi da spendere per ricollaudare Collodi, un (ex?) piratesco nemico in Giuliano Ferrara: cosa vuole di più? Come le bugie, anche certi capricci hanno le gambe corte". (Alessio Guzzano, 'City', 10 gennaio 2002)