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Peppino, un uomo troppo piccolo, Valerio, un ragazzo troppo grande, e Deborah, una ragazza con le labbra rifatte, si incontrano per caso. Sembra un incontro destinato a non avere conseguenze invece ne scaturirà un amore tormentato. Peppino fa l'imbalsamatore, Valerio è un cameriere, Deborah passa da un lavoro all'altro. Hanno sogni e bisogni diversi ma tutti e tre sono naufraghi che tentano di attaccarsi alle certezze di un amore che dia tregua al loro male di vivere.
Regia: Matteo Garrone
Sceneggiatura: Matteo Garrone, Ugo Chiti, Massimo
Gaudioso
Interpreti: Ernesto Mahieux, Valerio Foglia Manzillo,
Elisabetta Rocchetti, Lina Bernardi, Pietro Biondi, Bernardino Terracciano,
Marcella Granito
Fotografia: Marco Onorato
Montaggio: Marco Spoletini
Musiche: Banda Osiris
Valutazione Pastorale (dal sito della CNVF della Conferenza Episcopale Italiana)
Giudizio: discutibile, ambiguità
Tematiche: Amicizia; Lavoro; Mafia; Male
Il titolo, il 'lavoro' cui rimanda, un protagonista dalle inattese dimensioni fisiche, una collocazione ambientale inedita: tutto, nel copione, rimanda alla costruzione di un quadro nel quale si muovono personaggi controversi ma autentici, si agitano sentimenti eccessivi ma non artificiosi, si dipanano vicende forti ma non pretestuose. Confermando le belle impressioni suscitate dai suoi titoli precedenti, Garrone assume una materia ostica e infida e la dipana in un racconto dalle cadenze crude eppure dolorosamente vere. Si parla del sentimento come prevaricazione, di affetti onesti e di quelli maniacali, di un amore che può condannare e di uno che può redimere. E' una sorta di teatro di guerra quello che inquadra Garrone, ma da tempo non si vedeva nel cinema italiano un occhio così acuto, distaccato e insieme emotivamente compromesso capace di dilatare gli spazi, di creare corrispondenza tra la deriva dei personaggi e quella dei luoghi in una angosciosa e terribile simbiosi. Da certe periferie degradate sul lungomare alle nebbie nordiche cariche di solitudine, il racconto diventa un sospeso controcanto sulla fuga dal male verso il forse irraggiungibile traguardo del bene. Dal punto di vista pastorale, va detto che il film mette in campo una visione per più versi pessimistica sul destino dell'uomo affiancandola all'intenzione di non arrendersi al peggio e di creare le condizioni per il riscatto: da valutare dunque come discutibile, e attraversato da una certa ambiguità.
Utilizzazione: il film é da utilizzare in programmazione ordinaria, riservandolo ad un pubblico adulto. Da recuperare in occasioni ristrette come esempio di film italiano incisivo, teso, coinvolgente.
"Già campioncino del cinema indipendente, il 34enne Garrone firma il quarto lungometraggio, ma dal precedente cinema 'casuale' passa a un disegno più complesso (...) Garrone ha saputo tenere insieme un film di atmosfere e un film d'intreccio. Ha vinto la sfida". (Paolo D'Agostini, 'la Repubblica', 22 maggio 2002)
"Garrone, malgrado il gusto perfino eccessivo per l'ellissi, gioca a meraviglia sui sottintesi, sull'implicito, sull'incredibile capacità di manipolazione di Peppino alla quale segue un'irrefrenabile disperazione. Ben servito dalla sensazionale performance del piccolo grande Ernesto Mahieux, vecchio attore di teatro e di molto cinema popolare napoletano. Che dà un'umanità, una profondità, una sofferenza vera a un personaggio altrimenti odioso, finendo per arricchire di sottigliezza anche il lavoro di Elisabetta Rocchetti e dell'esordiente Valerio Foglia Manzillo. Dopo tanti inutili film-cronaca, eccone finalmente uno che si accontenta di copiare la realtà, ma la reinventa e la illumina". (Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero', 22 maggio 2002)
"E' un fatto di cronaca, ma la regia di Garrone ('Estate romana'), con la fotografia di Marco Onorato, lo scardina dal suolo e lo innalza a mezz'aria nel mondo dei destinati al tragico, tra i personaggi di Testori e Pasolini. Anche se si sente 'l'operazione', il piacere dell'immagine è alto. La prova degli attori è emozionante. Prodotto da Procacci, è un successo della Quinzaine di Cannes, tra i migliori italiani della stagione". (Silvio Danese, 'Quotidiano Nazionale', 13 settembre 2002)
"Parte da un fatto di cronaca ma subito prende direzioni iperrealistiche la quarta bellissima prova nel lungometraggio di Matteo Garrone. Se in 'Terra di mezzo', 'Ospiti' ed 'Estate romana' le storie erano, innanzitutto, questioni di geografia, di urbanistica applicata ai confini territorialmente e sociologicamente di frontiera, ne 'L'imbalsamatore' Garrone si inoltra nelle strade perdute della psiche, nelle contaminazioni chimiche (...). Non a caso l'ambientazione galleggia nello spettrale Villaggio Coppola del litorale casertano: una specie di 'incubo inurbano', dove l'architettura è un optional e gli uomini ombre stagliate all'orizzonte. Più che David Lynch, ritornano in mente Fassbinder e i suoi ambigui dolori. Quei dolori, quegli scarti, quell'ovvia incomprensione che impediscono a un uomo troppo piccolo, a un giovane troppo alto e a una ragazza con la bocca rifatta di interagire, di parlarsi e di vivere se non in forma di violenza". (Aldo Fittante, 'Film Tv', 10 settembre 2002)
"Finale a sorpresa, sentimenti gotici, e una tenuta narrativa che davvero stupisce e ti regala emozioni forti e diverse anche per la bravura strepitosa di un attore di sceneggiate, Ernesto Mahiuex, tra due giovani bravi e belli, Valerio Foglia Manzillo ed Elisabetta Rocchetti". (Maurizio Porro, 'Corriere della Sera', 14 dicembre 2002)