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Mary Mapes, giornalista e produttrice televisiva, per anni ha lavorato alla trasmissione della CBS "60 Minutes", al fianco del noto anchorman Dan Rather. Nel 2004, nel corso della trasmissione Rather rivela di essere in possesso di alcuni documenti che in seguito daranno vita al controverso caso noto come "Rathergate", sui presunti favoritismi ricevuti da George W. Bush per andare alla Guardia Nazionale anziché in Vietnam. Una storia non confermata che, a due mesi dalle elezioni presidenziali americane, ha provocato le dimissioni di Rather e il licenziamento di Mapes, portando tutta la CBS News a un passo dal collasso.
Regia: James Vanderbilt
Interpreti: Robert Redford, Cate Blanchett, Elisabeth Moss, Topher Grace, Dennis Quaid, Bruce Greenwood, David Lyons, John Benjamin Hickey
Sceneggiatura: James Vanderbilt
Fotografia: Mandy Walker
Montaggio: Richard Francis-Bruce
Durata: 2 ore e 5 minuti
C’è stato un momento in cui anche il giornalismo di inchiesta americano ha abdicato pressato da intrecci economici, poteri politici e dai meccanismi di replicazione e dispersione informativa tipici della rete. E quel momento viene raccontato molto bene da Truth, titolo d’apertura alla Festa di Roma, che va a rimpolpare il già nutrito filone dei newsroom-movies.
Il film ricostruisce il “Memogate” del 2004, lo scandalo che travolse la
CBS News e alcuni dei suoi giornalisti di punta, in particolare
l’agguerrita Mary Mapes e il veterano Dan Rather, volto della
trasmissione di inchiesta 60 Minutes. Due professionisti dalla carriera
brillante e immacolata prima di andare a sbattere contro un caso di
presunti favori accordati a George W. Bush (all’epoca dell’inchiesta
inquilino alla Casa Bianca) durante il servizio militare prestato nel
’68, quando riuscì ad entrare nell’aeronautica della Guardia Nazionale
evitando di essere inviato in Vietnam.
Ebbene, lo scoop che la Mapes
e il suo mentore Dan Rather credevano di aver fatto si rivelerà un
boomerang non appena saranno messe in dubbio la solidità delle prove e
l’affidabilità delle fonti.
E’ interessante il modo in cui lo script di James Vanderbilt (già sceneggiatore di Zodiac e qui al debutto in regia) sposta di continuo il fuoco prospettico dal problema, riproducendo di fatto il modo con cui il moderno sistema informativo opera un sistematico, non necessariamente volontario, depistaggio. Perciò l’operazione, nobile e impeccabilmente confezionata, possiede il valore aggiunto dello spaccato d’epoca, riuscendo a intercettare un fondamentale momento di trasformazione nel modo di fare giornalismo (la corsa allo scandalo, l’impari e incontrollata concorrenza dei blogger, il ricorso dei grandi broadcaster ai famigerati service esterni per le inchieste, il pensionamento della vecchia guardia).
Per trasparenza di messa in scena e qualità degli interpreti (qui ci sono due fuoriclasse come Cate Blanchett e Robert Redford) è il gemello disperato di Spotlight di McCarthy, che però era più asciutto dal punto di vista retorico e più rigoroso da quello morale. Appare esagerato l’endorsement di Vanderbilt a favore dei due protagonisti, elevati addirittura al rango di eroi nell’improbabile e del tutto assolutorio finale in ralenti. Dimenticando che la lezione del grande giornalismo americano non è mai stata quella di sfidare il potere senza paura. Ma di presentarsi alla battaglia per la verità con le armi giuste: fonti certe e documenti verificati. (Gianluca Arnone)