Sabato 26 marzo - Ore 21:00
Domenica 27 marzo - Ore 16:00 e 21:00
Rango è un camaleonte domestico, abituato a vivere nel suo comodo e tranquillo terrario, che a causa di uno sbandamento dell'auto dei suoi proprietari, si troverà perso in nel mezzo del deserto. Tuttavia, il suo coraggio e la sua voglia di protagonismo lo faranno diventare l'imprevisto eroe di una cittadina del West chiamata Dirt...
Regia: Gore Verbinski
Soggetto: Gore Verbinski e James Ward Byrkit
Sceneggiatura: John Logan
Fotografia:
Montaggio: Craig Wood
Musiche: Hans Zimmer
Scenografia: Mark 'Crash' McCreery
Effetti: Industrial Light & Magic (ILM)
Durata: 1 ora e 47 minuti
Sito ufficiale: www.rango-ilfilm.it - www.rangomovie.com
Gioiello d'animazione che omaggia e deride mezza storia del cinema, dal western ad Apocalypse Now. La Pixar è avvertita...
Nonostante gli sforzi profusi negli anni da Dreamworks e Blue Sky (lasciamo perdere Miyazaki, che proviene da un altro mondo) fino a ieri l'animazione aveva un solo padrone: la Pixar. Oggi le cose sono cambiate. Perché è arrivato Rango, un autentico gioiellino che per maestria tecnica, profondità testuale (script del premio Oscar John Logan) e ricchezza poetica nulla ha da invidiare ai "mostri" della CGI. La cosa curiosa è che lo hanno realizzato una casa di produzione inglese attivissima a tutto campo come la GK Films di Graham King (insieme, va detto, a Blind Wink, Paramount e Nickelodeon) un regista di origini polacche senza esperienza nei cartoon come Gore Virbinski (I pirati dei caraibi) e l'Industrial Light & Magic che, pur avendo fatto la storia degli effetti speciali, non aveva scritto finora nemmeno una pagina di cinema d'animazione. Il risultato vi farà strabuzzare gli occhi neanche fossero ipertiroidei come quelli da cernia del protagonista, un camaleonte.
Mimetico per natura e attore per indole, il rettile s'improvviserà pistolero e "Rango" (omaggio al Ringo di Giuliano Gemma e agli spaghetti-western) una volta finito sul set di Polvere, sperduta cittadina del deserto, al confine tra Stati Uniti e Messico, dove troverà immondi anfibi e rettilari trasformati in saloon. Superstiti di un'epoca che è trascorsa senza passare mai (al cinema almeno), ritaglio di anticaglie e memorie del western che fu. La sapienza delle sue leggi (drammaturgiche e morali) aiuterà Rango a cavarsela ovviando a una fifa congenita e al physique du rôle improbabile. A forza di fare il verso all'eroe buono, brutto e cattivo - con tanto di apparizione auratica del cavaliere pallido Clint (Timothy Olyphant versione fotocopia di Eastwood), che riluce di mito e parola prima di andare via in sella a una borghesissima golf-car stracarica di Oscar - il camaleonte finisce per diventarlo davvero, spingendo l'assetata popolazione a una rivolta nei confronti di testuggini e poteri occulti che gli portano via l'acqua neanche fossimo a Chinatown (quella di Polanski ovviamente).
In mezzo passerà di tutto: duelli da Mezzogiorno di fuoco, rapaci imbruttiti come gli Gli uccelli di Hitchcock, gufi-mariachi che menano sfiga, highways allucinate che fanno tanto Paura e delirio a Las Vegas, case nella praterie che è meglio Non aprite quella porta, cavalcate delle valchirie che è Apocalypse Now, again. Un bazar del cinema americano più simile a un circo che a un museo, funambolico e itinerante, tracciabile sulla mappa dello Spazio Hollywoodiano a tre coordinate, sempre quelle tre: l'autostrada, la città, il deserto.
Un gioco allegro ma non troppo, condotto sul filo della parodia e dell'omaggio, servito da uno staff creativo d'eccellenza (ricordiamo solo le voci "incarnate" di Depp, Breslin, Molina, Nighy tra gli altri, le musiche di Hans Zimmer e l'emotion capture una volta tanto all'altezza), rovesciato sul finale quando si scorge la frontiera e si vede cosa è diventata, tra verniciature di verde e grattacieli, miraggi di gomma e ceffi arricchiti travestiti da giocatori di golf. Strappato il sipario della retorica bugiarda ma buona, Verbinski ci fa vedere la quinta di cartapesta della realtà che, ieri come oggi, animata o no, è finta quanto la finzione. Ma assurdamente vera e di gran lunga più sconcertante. (Gianluca Arnone)
Critica "Senza troppa fortuna, i fratelli Coen l'hanno declinata al maschile ('Il Grinta'), ma la grinta, quella vera, quella western è di 'Rango', il camaleonte animato di Gore Verbinski, che dopo 'I Pirati dei Caraibi' si prende una gloriosa vacanza nel deserto con lo sceneggiatore premio Oscar John Logan. Eroe per caso, anti-eroe per umanità (è un rettile umano, troppo umano), 'Rango' non rifugge il mito del WWW (Wild Wild West), ma sposta più avanti la frontiera del nostro immaginario: tra mammiferi pelosi e amori a sangue freddo, i piccini rideranno, mentre i grandi si stropicceranno gli occhi per le citazioni (da 'Paura e delirio a Las Vegas' a Clint Eastwood, passando per 'Apocalypse Now' e 'Chinatown') e la straordinaria qualità visiva, felicemente orfana di 3D. Per sottotesti, empatia e respiro, 'Rango' è un capolavoro, che mette il fiato sul collo ai maghi CGI della Pixar: almeno al cinema, il trasformismo è da applausi." (Federico Pontiggia, 'Il Fatto Quotidiano', 10 marzo 2011)
"'Rango', pronuncia 'Rengo', è una bellissima sorpresa che fa vivere 107 minuti a quattro stellette agli appassionati di cartoon e western, presente come mito, citazione e memoria storica oltre che con la band in sombrero stile Paulista che fa da coro. (...) Funziona proprio l'aspetto del viaggio oltre, di esperienza psichedelica dove il mix surreale delle forme diventa la sostanza del racconto dove si raccomandano le patologiche analitiche osservazioni ingigantite, lo strabiliante inizio con incidenti stradali, l'arrivo dell'acqua, come petrolio, e la scena nel saloon col bel sigaro acceso che frigge di rabbia, la sciantosa e l'orfanella. E se nella morale ogni convenzione è rispettata (sindaco alleato con la malavita!) c'è pure una ballata che sembra di Brecht e Weill. Insomma, una stravaganza di gran classe, solo con qualche minuto in più che rischia l'assuefazione ad un tipo di miracolo visivo che ormai non appartiene più né al mondo reale né a quello dei cartoon una volta così ben distinti e oggi tesi a fingere un mostro-cinema a una sola dimensione." (Maurizio Porro, 'Il Corriere della Sera', 11 marzo 2011)
"Altro che 'Il Grinta'. Uno dei più bei western degli ultimi anni è un cartone animato. Logica conseguenza di un processo, intensificatosi negli ultimi anni e ormai irreversibile, di trasformazione del film d'animazione da prodotto tipicamente pensato per l'infanzia a genere che schiaccia ben più di un occhio al pubblico adulto. Non sfugge a questa regola 'Rango', esordio animato per la Industrial Light & Magic, firmato dal 'pirata dei Caraibi' Gore Verbinski, qui in vena di zingarate insieme al sempre più versatile Johnny Depp che presta la voce al protagonista calandosi in pieno nel personaggio (consigliamo di recuperare successivamente, in dvd, l'edizione originale). (...) I cinefili impazziranno per i rimandi, spesso irriverenti, con cimeli western del passato. Qui si respira aria di John Ford e Sergio Leone, di 'Mezzogiorno di fuoco' e 'Per un pugno di dollari'. Volendo, ci sarebbero anche citazioni di Sartre e capirete quindi che i piccoli spettatori faticheranno non poco a cogliere l'essenza globale, padellate in testa a parte. Male minore per uno dei titoli più accattivanti di questo inizio 2011." (Maurizio Acerbi, 'Il Giornale', 11 marzo 2011)
"La prima volta del regista dei 'Pirati dei Caraibi' e la prima volta della Industrial Light & Magic, insieme per 'Rango', film d'animazione nei paesaggi del West, sulle orme mitiche di Ford, Peckinpah, Eastwood, più Sergio Leone. Gore Verbinski fa anche appello alle sue origini polacche per immaginare tentacoli viscidi, musi gelatinosi, corpi decomposti già visitati nella famosa saga con Johnny Depp, che qui (nell'originale) presta la voce al camaleonte protagonista, chiamato nel film chissà perché 'lucertola'. È invece il testone verde cangiante all'origine della crisi d'identità dell'animaletto che si trova sbalzato dall'auto dei suoi padroni - un vita in una scatola di vetro - nel deserto del Mojave, California ai confini del Nevada. Marchio Paramount per questo 'cartoon' ricalcato sugli attori in carne e ossa (prima si sono effettuate le riprese dal vivo), sistema che Verbinski chiama emotion-capture, a seguito degli esperimenti di Robert Zemeckis (motion-capture) che ha radicalizzato il sistema con i sensori applicati agli attori e poi convertiti in pixel. Il risultato però è l'opposto, niente meravigliosi corpi ibridi di 'Beowulf', 'Polar Express', 'A Christmas Carol' ma una galleria di freaks costruiti con materiali di scarto, arte povera, pupazzetti repellenti che popolano il villaggio Polvere dove finisce il nostro eroe. L'umano non traspare se non in forma di doppio sfigurato, simulacro di cartapesta." (Mariuccia Ciotta, 'Il Manifesto', 11 marzo 2011)