Giovedì 2 maggio - Ore 21:00
Ostia, il lungomare di Roma, inverno. Due ragazzi di sedici anni, alle otto del mattino, rubano un motorino, fanno una rapina, e alle nove entrano a scuola. Nader e Stefano: uno è egiziano ma è nato a Roma, l’altro è italiano ed è il suo migliore amico. Anche Brigitte, la fidanzata di Nader, è italiana, ma proprio per questo i genitori del ragazzo sono contrari al loro amore. Nader allora scappa di casa. Alì ha gli occhi azzurri racconta una settimana della vita di un adolescente che prova a disubbidire ai valori della propria famiglia. In bilico tra l’essere arabo o italiano, coraggioso e innamorato, come il protagonista di una fiaba contemporanea, Nader dovrà sopportare il freddo, la solitudine, la strada, la fame e la paura, la fuga dai nemici e la perdita dell’amicizia, per tentare di conoscere la propria identità.
Il film è ispirato alle storie vere raccontate dallo stesso regista nel documentario Fratelli d'Italia
In concorso al Festival di Roma 2012.
Regia: Claudio Giovannesi
Interpreti: Nader Sarhan, Stefano Rabatti, Brigitte Apruzzesi, Marian Valenti Adrian
Sceneggiatura: Claudio Giovannesi, Filippo Gravino
Fotografia: Daniele Ciprì
Montaggio: Giuseppe Trepiccione
Musiche: Claudio Giovannesi
L'integrazione dalla parte degli immigrati: tra Pasolini e i Dardenne, convince Giovannesi in Concorso
Dopo Saimir di Francesco Munzi ecco un altro film italiano capace di raccontare l'integrazione dal punto di vista degli immigrati. E' Alì ha gli occhi azzurri di Claudio Giovannesi che ritorna al Festival di Roma - stavolta in concorso e con un film di finzione - portandosi dietro uno dei personaggi al centro del lavoro precedente, l'egiziano Nader Sarhan del documentario Fratelli d'Italia.
Nader proviene da una famiglia egiziana stabilitasi a Ostia, è iscritto a una scuola secondaria frequentata da tantissimi immigrati di seconda generazione, (è l'Istituto Toscanelli), si sente figlio di due patrie. E' uno straniero italiano. Trascorriamo sette giorni nella sua vita: Nader mentre pratica l'arte del bighellonaggio, Nader che "marina" la scuola per i matiné, Nader che balla e balla, dal freddo e sulla linea della legalità, accompagnato da un buon amico che è anche un buono a nulla.
Nader che adora la famiglia e che ama la sua ragazza (la vera famiglia del vero Nader, la vera ragazza del vero Nader), due affetti inconciliabili perché lei è italiana, mamma e papà no. Nader che fugge via, di casa, da scuola, da una cultura - musulmana - che non sente più come la propria, Nader che porta pure le lenti azzurre per sembrare meno egiziano e "vedersi" più italiano. Ma Nader non lo è del tutto, non ancora, neanche in fondo a se stesso.
Non si trova, né qui né lì, nonostante Giovannesi lo marchi stretto. Ispirandosi a un verso di una poesia di Pasolini ("...dietro ai loro Alì dagli occhi azzurri...", Profezia, 1962) ma facendo sua la lezione dei Dardenne - macchina a mano, pedinamento, montaggio rapido, improvvisazione e spaesamento - il regista romano aderisce all'ottica biforcuta del suo personaggio, il cui secondo sguardo, quello italiano (le lenti a contatto azzurre), non riesce a fondersi con quello primario.
Fotografato da Daniele Ciprì (che opta per una luce rigorosamente naturale), Nader s'imprime sulla pellicola come l'incompiuto, l'adolescente le cui intenzioni rimangono inespresse, tradite da un'azione che s'inceppa (prima non riesce a rapinare un negozio da solo, poi a fare l'amore con la propria ragazza, infine ad "aggiustare" le cose con i rumeni) e sparisce lungo un tragitto - di crescita, d'integrazione, in una parola: identitario - che gira a vuoto. Non si trova più Nader - come potrebbe? - perché si nega alle classiche logiche del racconto, rifiuta una maschera, non si lascia imbrigliare nel dover-essere del conformismo, delle culture e della narrazione. Giovannesi sottopone la fiction al metodo del documentario, lasciando che sia il vero Nader a generare se stesso sullo schermo, sganciandolo da qualsiasi appiglio psicologico, sociologico, spettacolare, non assegnandogli nemmeno uno spazio, che si dipana sul momento, tracciato dal movimento degli attori in scena. Ostia è una periferia come tante, il mare un orizzonte qualsiasi, la scuola un luogo riconoscibile solo quando entra in contatto con le orbite esistenziali dei ragazzi.
Gli occhi di Alì sono fintamemente azzurri, quelli di Giovannesi sono cristallini per davvero: non stravolgeranno il cinema italiano ma gli restituiscono una purezza di cui aveva bisogno, scovando una volta tanto nel cuore del reale, e non nella testa di uno sceneggiatore, una piccola grande storia. (Gianluca Arnone)
"Il riferimento a Pier Paolo Pasolini e ai suoi ragazzi di vita è evidente fin dal titolo, che echeggia la poesia pasoliniana 'Alì dagli occhi azzurri'. (...) Il pasolinismo riletto in chiave multietnica multiculturale di Giovannesi non usa le inquadrature studiate del suo ispiratore, ma una macchina a mano nervosa che tallona i personaggi." (Roberto Nepoti, 'La Repubblica', 15 novembre 2012)
"(...) per raccontare la settimana brava del sedicenne egiziano Nader - che ha gli occhi azzurri grazie alle lenti a contatto - il regista Claudio Giovannesi ha scelto una strada opposta a quella visionaria e ispirata del poeta friulano, puntando alla Zavattini sul pedinamento della realtà. (...) Giovannesi lascia i personaggi (tutti veri, presi dalla vita) parlare, muoversi esprimersi in libertà lungo l'esile linea narrativa, ma il film, pur nel pregio di un tema importante (la difficoltà di trovare un identità a cavallo di due culture), ha il limite di non sublimarsi che sporadicamente in cinema: alcune suggestive immagini del litorale (la fotografia è di Ciprì), la malinconica sospensione della scena finale." (Alessandra Levantesi Kezich, 'La Stampa', 15 novembre 2012)
"L'opera seconda 'in finzione' del regista romano 34enne mira diretta al suo destino: raccontare le contraddizioni che tuttora animano le famiglie immigrate nel Belpaese. Evidenziando lo sconsolante ritardo in cui versa l'evoluzione sociale in Italia. Il film gode di una sua freschezza e solidità, benché non del tutto originale. Il migliore dei tre concorrenti tricolore al Festival di Roma 2012." (Anna Maria Pasetti, 'Il Fatto Quotidiano', 15 novembre 2012)
"Ispirato ai versi pasoliniani di 'Profezia', 'Alì ha gli occhi azzurri' (...), entrato subito, ieri, nella rosa dei possibili premiati, è un film con la forza di un documentario, animato dalla vitalità trascinante del suo protagonista, capace di mettere in scena la propria esistenza con tutto il suo carico di contraddizioni irrisolte." (Fulvia Caprara, 'La Stampa', 11 Novembre 2012)
"'Alì ha gli occhi azzurri' racconta un microcosmo paradossale, violento e insieme ingenuo, come il machismo lacerato di Nader, romano figlio di egiziani. (...) È il classico schema della giornata balorda, che qui diventa una settimana, con i giorni sgranati in caratteri latini e arabi. Ma l'identità divisa, il mix di etnie, lo scontro tra sentimenti adolescenziali e cultura criminale, provoca corto circuiti grandiosi. (...) Si esce sgomenti, angosciati e insieme grati per la scoperta di un mondo così vicino e così lontano. Pasolini aveva capito tutto ma questo è uno dei primi film che affronta davvero il mondo profetizzato. Se ne parlerà a lungo." (Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero', 11 novembre 2012)
"Il film, il cui titolo rievoca il verso di una poesia di Pierpaolo Pasolini, 'Profezia', che anticipa lucidamente l'avvento di una società multirazziale, riprende così la storia del giovane egiziano innamorato di una ragazza italiana e in conflitto con la famiglia che pretende da lui un matrimonio islamico, per tutelare la propria cultura di appartenenza." (Alessandra De Luca, 'Avvenire', 11 novembre 2012)