Sabato 28 febbraio - Ore 21:00
Domenica 1 marzo - Ore 21:00
Domenica pomeriggio: Shaun, Vita da Pecora - Il Film
Nella primavera del 1965 una serie di eventi drammatici cambiò per sempre la rotta dell'America e il concetto moderno di diritti civili: un gruppo di coraggiosi manifestanti, guidati dal Dr. Martin Luther King Jr., per tre volte tentò di portare a termine una marcia pacifica in Alabama, da Selma a Montgomery, con l'obiettivo di ottenere l'imprescindibile diritto umano al voto. Gli scontri scioccanti e la trionfante marcia finale portarono infine il Presidente Lyndon B. Johnson a firmare, il 6 agosto di quell'anno, lo storico Voting Rights Act.
Migliore canzone: Glory, musica e parole di John Stephens e Lonnie Lynn
Regia: Ava DuVernay
Interpreti: Tim Roth, David Oyelowo, Giovanni Ribisi, Cuba Gooding Jr., Oprah Winfrey, Carmen Ejogo, Tessa Thompson, Alessandro Nivola, Tom Wilkinson, Common
Sceneggiatura: Paul Webb
Fotografia: Bradford Young
Montaggio: Spencer Averick
Durata: 2 ore e 8 minuti
La marcia della libertà e l’impetuoso moto della Storia: appassiona il primo biopic dedicato a Martin Luther King
Dopo Malcolm X (Spike Lee, 1992) e Medgar Evers (Ghost of Mississipi di Rob Reiner, 1965), Hollywood recupera un’altra figura centrale nel movimento dei diritti degli afroamericani, Martin Luther King, probabilmente il più carismatico dei tre.
Selma non è solo il primo biopic dedicato, ma anche uno dei rarissimi casi in cui il genere non scivola sulla buccia di banana dell’agiografia. MLK resta un meraviglioso fuoriclasse della parola e delle libertà, ma la santità è altra cosa, pizzicato com’è sulle virtù domestiche (amava la moglie, ma non disprezzava le altre donne) e sull’opportunismo politico. Se a questo aggiungiamo la performance tirata e penetrante di David Oyelowo, ecco che abbiamo un ritratto vivo, credibile e assai empatico di King.
Ma Selma non si ferma a lui.
Il punto di forza del film di Ava DuVernay è la sua potenza centrifuga, la tensione del discorso verso i bordi, in un moto a diaframma che va dal singolo all’insieme, dall’eroe al duellante (il Lyndon Johnson chiaroscurale di Tom Wilkinson), dal protagonista all’antagonista (l’odioso George Wallace, il governatore razzista interpretato da Tim Roth), dal leader agli accoliti (tra gli altri Oprah Winfrey nel ruolo di Annie Lee Coper), dal personaggio pubblico all’uomo privato (fondamentale in questo senso il taglio proto-femminista e l’importanza riconosciuta alla moglie Corette).
La progressione a metronomo, figlia di un preciso timing interno e di un corrispondente dinamismo figurativo (prezioso il lavoro alla fotografia di Bradford Young, potente la musica), sintonizza il film sulla ritmica della marcia – quella del ’65, da Selma a Montgomery, senza ritorno: pochi mesi dopo il Congresso avrebbe approvato il Voting Rights Act che consentiva a tutti i cittadini di votare, al netto del colore della pelle – e cattura la corrente della Storia, quella dei singoli e dei popoli, di ieri e – drammaticamente - di oggi. Movimento impetuoso, appassionante, trascinante, chi può chiamarsi fuori?
La storia siamo noi. Selma ce lo ricorda. (Gianluca Arnone)
"Pieno di spunti. (...) Disseminato di informazioni preziose che ne esaltano l'interesse (incredibile che nell'America anni 60 sopravvivesse tanta barbarie) ma, per scelta di stile, ne comprimono le potenzialità emotive." (Paolo D'Agostini, 'La Repubblica, 12 febbraio 2015)
"'Selma' (...) è un-grande film. Senza tinte agiografiche o santini, è il ritratto commosso, vibrante e, sì, partigiano di un campione della parola e della libertà: con merito, la regista Ava DuVernay non elude né elide i difetti di MLK, le scappatelle e l'opportunismo politico. Eppure, non è un 'one man show', ma una marcia collettiva, quella del 1965 da Selma a Montgomery per il diritto di voto degli afroamericani: regia piana e partecipe, sceneggiatura 'per tutti' e interpretazioni ottime, dal protagonista David Oyelowo al cattivo governatore Tim Roth, passando per il Lyndon B. Johnson Tom Wilkinson, non passerà forse alla storia del cinema, ma attorno non si vedono giganti, anzi." (Federico Pontiggia, 'Il Fatto Quotidiano', 12 febbraio 2015)
"Mancava un grande film su Martin Luther King. 'Selma' lo è anche se ha il leggero difetto di essere fin troppo corretto e patinato. Esiste ormai un cinema 'obamiano' sul recupero delle loro battaglie. Pellicola gemella di 'The Butler', dove Oyelowo era il figlio problematico del maggiordomo della Casa Bianca Forest Whitaker. Qui è un Martin Luther King eccellente." (Francesco Alò, 'Il Messaggero', 12 febbraio 2015)
"Piacerà eccome, se riuscirete a passar sopra il carattere celebrativo, diciamo pure agiografico dell'opera. 'Selma' non è un film «politico», non dice verità scomode, non va minimamente controcorrente. E' l'America di Obama che si auto-celebra, che santifica un glorioso antenato. Oggi l'America vota un nero come presidente, 50 anni fa un «coloured» non poteva neanche votare. Insomma, gli Usa sono un grande Paese. Come ha sempre amato raccontarlo Hollywood, da cento anni a questa parte. Detto questo, è il caso di aggiungere che le autocelebrazioni, la Mecca del cinema sa ancora metterle sullo schermo come Dio comanda. Il film che per anni fu tra i progetti di Spielberg, non è certo all'altezza delle opere «storiche» di Steven, ma è retto benissimo da una signora professionista, la «nera» (quindi coinvolta) Ava DuVernay. (...) non si può negarle un mestiere solido, un'apprezzabile ruffianeria spettacolare: tra le scene più ruffiane e apprezzabili quella in cui Oprah Winfrey viene messa in croce all'ufficio elettorale. Certo, Ava ciurla nel manico quando parla di 'Selma' come opera attualissima. Il suo è un melodramma in costume, che comunque funziona, commuove, indigna. La battaglia del ponte è girata magistralmente. E il finale manda in brodo di giuggiole." (Giorgio Carbone, 'Libero', 12 febbraio 2015)
"Quant'è loffio questo mélo biografico, che rievoca a lotta di Martin Luther Kingperi diritti civili dei neri. (...) La regia è di tale Ava DuVernay, ma è cosi grigia che sembra di Angelina Jolie." (Massimo Bertarelli, 'Il Giornale', 12 febbraio 2015)
"Siamo nel 1965, non nel 1839 dei negrieri di «Amistad» né nel 1845, l'epoca di «12 anni schiavo». Eppure c'è da vergognarsi a vedere oggi, in questo robusto film dell'afroamericana Ava DuVernay, come venivano ancora trattati i negri (si diceva ancora così, e non neri) negli Stati Uniti, in quelli del Sud profondo almeno. (...) Il film della DuVernay ricostruisce con puntiglio un importante episodio di questa lotta non violenta condotta da King per la liberazione del suo popolo (...). Merito non ultimo del film, privo di particolari guizzi di regia ma profondamente sobrio, è di mostrarci Luther King (interpretato senza enfasi dal somigliante David Oyelowo, con la voce italiana di Simone Mori) anche nella sua vita privata, con la moglie Coretta lasciata troppo sola e i quattro figlioletti, i suoi sconforti, le sue perplessità, le sue sfide e le sue sconfitte. (...) Quello che non si vede è che Martin Luther King il 4 aprile 1968 sarà ucciso a Memphis a soli 39 anni. Come nel 1963 a Dallas John Fitzgerald Kennedy, che sosteneva l'integrazione razziale, e come l'antischiavista Abramo Lincoln, assassinato da un fanatico sudista il 14 aprile 1865. Anche questa è, o era, l'America." (Franco Colombo, 'L'Eco di Bergamo', 17 febbraio 2015)
"La regista DuVemay non si abbandona del tutto alla retorica del nobile evento, raggiungendo uno standard accettabile d'impegno, accuratezza d'ambientazioni e livello di recitazioni; peccato, però, che i dettagli veristici, l'incrocio dei giochi di potere tra i politici e i travagli privati dei protagonisti comuni si susseguano diligentemente, ma senza particolari picchi d'emozione che non siano quelli canonici promossi dai duelli buoni-contro-cattivi. L'incarnazione dell'inglese Oyelowo nel tormentato reverendo è di tutto rispetto, ma in questo frangente succede che gli spezzoni documentaristici, pur debitamente inseriti, finiscono col penalizzare lui e altri protagonisti a causa dell'inevitabile prevalere della realtà sulla fiction, quando quest'ultima è ordinaria." (Valerio Caprara, 'Il Mattino', 19 febbraio 2015)