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cineforum
mercoledì 6 dicembre 2000 - Ore 20:45

Addio Terraferma di Otar Iosseliani 

di Otar Ioselliani

Addio Terraferma di Otar Iosseliani 

Otar Iosseliani

Lily Lavina

Nico Tarielashvili

A nno:1999
Nazione: Francia, Georgia
durata: 117 minuti

Nicolas tutti i giorni lascia la sua ricchissima famiglia per andare a Parigi a fare il lavapiatti e stare con i poveracci, gli avvinazzati e i barboni. 

Se qualcuno avesse ancora dei dubbi sul concetto di cinema libero, non dovrebbe lasciarsi sfuggire questo capolavoro di sfrontata anarchia diretto da uno che ha visto ben sessantacinque primavere: il georgiano, matematico e musicista Otar Iosselliani, attivo da almeno tre decenni, autore di capolavori che si chiamano "C'era una volta un merlo canterino" ('70), "Pastorale" ('76), "Caccia alle farfalle" ('92), "Briganti" ('96) e soprattutto "I favoriti della luna" ('84), a cui "Addio terraferma" è indissolubilmente legato, per la struttura, l'ambientazione parigina, il vento selvaggio, il clima indipendente che lo pervadono. Una pellicola che francamente se ne infischia dei ritmi contemporanei, che procede col suo passo e in cui si narra di Nicolas, primogenito ventenne di una ricca famiglia governata da una terribile donna d'affari che, invece di coltivare il suo privilegiato futuro, passa le giornate a Parigi, lavorando sodo nei mestieri più umili; mentre nella grande villa dei genitori, tumulti interclassisti minano le certezze della mamma-mostro, del papà ubriacone, dei convitati alle algide feste di rappresentanza. "Addio terraferma" (libera traduzione dell'originale "Adieu plancher des vaches" che è il saluto gergale dei marinai quando prendono il largo) è una specie di "Grande abbuffata" ferreriana senza l'ossessione del cibo e l'alone nichilista che avvolgeva l'opera del regista italiano. ma potrebbe benissimo essere considerato una continuazione del "Fascino discreto della borghesia" di Bunuel: è - come detto - una famiglia benestante paradigmatica a venire scardinata sotto i colpi di un umorismo nero e distaccato, accompagnato da immagini nitide e lucidissime, da un ritmo frammentato, da uno stile laconico che regala un'opera quasi muta, che non ha molto bisogno delle parole. Iosseliani, oltre che dirigerlo, lo monta e lo interpreta (è il padre alcolizzato che ama giocare con i trenini giusto per far capire che di straordinaria opera autoriale si tratta: autoriale senza essere saccente. 

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