Otar Iosseliani
Lily Lavina
Nico Tarielashvili
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A
nno:1999
Nazione: Francia, Georgia
durata: 117 minuti
Nicolas tutti i giorni lascia la sua ricchissima
famiglia per andare a Parigi a fare il lavapiatti e stare con i
poveracci, gli avvinazzati e i barboni.
Se qualcuno avesse ancora dei dubbi sul concetto di cinema libero,
non dovrebbe lasciarsi sfuggire questo capolavoro di sfrontata
anarchia diretto da uno che ha visto ben sessantacinque primavere:
il georgiano, matematico e musicista Otar Iosselliani, attivo da
almeno tre decenni, autore di capolavori che si chiamano "C'era una
volta un merlo canterino" ('70), "Pastorale" ('76), "Caccia alle
farfalle" ('92), "Briganti" ('96) e soprattutto "I favoriti della
luna" ('84), a cui "Addio terraferma" è indissolubilmente legato,
per la struttura, l'ambientazione parigina, il vento selvaggio, il
clima indipendente che lo pervadono. Una pellicola che francamente
se ne infischia dei ritmi contemporanei, che procede col suo passo e
in cui si narra di Nicolas, primogenito ventenne di una ricca
famiglia governata da una terribile donna d'affari che, invece di
coltivare il suo privilegiato futuro, passa le giornate a Parigi,
lavorando sodo nei mestieri più umili; mentre nella grande villa dei
genitori, tumulti interclassisti minano le certezze della
mamma-mostro, del papà ubriacone, dei convitati alle algide feste di
rappresentanza. "Addio terraferma" (libera traduzione dell'originale
"Adieu plancher des vaches" che è il saluto gergale dei marinai
quando prendono il largo) è una specie di "Grande abbuffata"
ferreriana senza l'ossessione del cibo e l'alone nichilista che
avvolgeva l'opera del regista italiano. ma potrebbe benissimo essere
considerato una continuazione del "Fascino discreto della borghesia"
di Bunuel: è - come detto - una famiglia benestante paradigmatica a
venire scardinata sotto i colpi di un umorismo nero e distaccato,
accompagnato da immagini nitide e lucidissime, da un ritmo
frammentato, da uno stile laconico che regala un'opera quasi muta,
che non ha molto bisogno delle parole. Iosseliani, oltre che
dirigerlo, lo monta e lo interpreta (è il padre alcolizzato che ama
giocare con i trenini giusto per far capire che di straordinaria
opera autoriale si tratta: autoriale senza essere saccente. |