Auditorium di Casatenovo. 50 anni di cinema e teatro

The New World - Il nuovo mondo

Nel 1607 tre navi inglesi finanziate dalla London Virginia Company attraversarono l'Oceano Atlantico in cerca di tesori leggendari. Approdati sulle rive del Fiume James, in Virginia, fondarono la colonia di Jamestown. Poiché i 103 uomini a bordo delle navi erano in realtà degli aristocratici impreparati ad affrontare le avversità del Nuovo Mondo, la colonia iniziò subito a lottare per la sopravvivenza, abbandonando rapidamente i sogni di facili ricchezze. Il Capitano John Smith fu incaricato di cercare rifornimenti, risalendo il Fiume Chickahominy. Nel corso di quella spedizione, i membri della tribù indiana di Powhatan, che regnava in quella regione, attaccò Smith e ai suoi uomini. Rimasero tutti uccisi, tranne Smith, che venne condotto al loro villaggio. Lì incontrò la figlia del capo, Pocahontas, che gli insegnò la cultura e gli usi e costumi della sua gente. Qualche mese dopo, Smith fece ritorno a Jamestown, provvisto di una quantità di viveri tale da sfamare la colonia per tutto l'inverno. In primavera gli indiani di Powhatan si resero conto che la colonia era definitiva e si prepararono alla guerra.

Sabato 28 gennaio Ore 21:00
Domenica 29 gennaio Ore 16:00 e 21:00

Regia Terrence Malick
Sceneggiatura Terrence Malick

Colin Farrell Christian Bale
Christopher Plummer August Schellenberg
Q'Orianka Kilcher Noah Taylor
David Thewlis Jonathan Pryce
Ben Chaplin Ben Mendelsohn
Raoul Trujillo Brian F. O'Byrne
Irene Bedard John Savage
Jamie Harris Alex Rice

 

Valutazione Pastorale (dal sito dell'Associazione Cattolica Esercenti Cinema - ACEC)

Giudizio: Accettabile/problematico/dibattiti**

Tematiche: Donna; Guerra; Libertà; Politica-Società; Rapporto tra culture; Solidarietà-Amore; Storia; Tematiche religiose

La figura della giovanissima indiana Pocahontas (del suo incontro con John Smith, del matrimonio con l'aristocratico Rolfe, della visita a corte, della prematura scomparsa) si muove tra realtà e leggenda. Ci sono fatti documentati e quindi non confutabili, ma c'é soprattutto la possibilità di rielaborare la materia in un'ottica più ampia, superando le barriere della cornice storica. E' questa la strada seguita da Malick, il più appartato dei registi americani, autore di quattro film in quasi trenta anni. Sei anni dopo "La sottile linea rossa", Malick prende pagine di storia e le rielabora nella prospettiva dell'avventura epica della scontro tra uomo e natura, tra civiltà 'naturale' e civiltà 'costruita', tra simbiosi vita/ambiente e lacerazione degli equilibri originari. Per oltre un'ora, lo sguardo del regista scruta ansioso e intimidito l'orizzonte infinito degli spazi del nuovo mondo. C'è una paura 'panica' e c'è il buon selvaggio che si appresta a difendersi dall'aggressore. Ma c'è soprattutto lo sgomento di fronte alla perdita di un 'centro', di un valore di riferimento. Così il timore dell'impossibilità di esprimere i sentimenti veri si tramuta in un approccio visionario che vuole a tutti i costi dare vita all'invisibile. Così in qualche passaggio il dialogo sugli slanci dell'amore si fa ingenuo e didascalico, una certa ripetitività incombe e la tensione accusa qualche calo. Resta però la capacità di uno stile che ha il coraggio di lasciare al primo posto la profondità dell'immagine, affidandole l'inesprimibile a parole: e quindi di fare cinema vero. Dal punto di vista pastorale, il film é da valutare come accettabile, problematico e adatto per dibattiti.

Utilizzazione: iil film può essere utilizzato in programmazione ordinaria, e recuperato per affrontare i temi importanti sopra segnalati, tra i quali l'incontro/scontro tra culture, anche oggi attuale.

 

cinematografo.it - Fondazione ente dello spettacolo Una sottile linea rossa di sangue sul mito interrazziale. Per il ritorno - elegiaco ed ideologico - di Terrence Malick alla regia

"C’era movimento sopra l’acqua, c’erano uccelli che volavano probabilmente senz’altra ragione che la sola bellezza". È l’incipit di Elegia del viaggio di Sokurov, ma è utile per accedere al poema visuale The New World, quarto film nella carriera trentennale di Terrence Malick. Bellezza, elegia e viaggio: questi i cardini della rilettura malickiana dell’amore che fu tra il soldato di ventura John Smith (un mono-espressivo Colin Farrell) e l’indiana Pocahontas (la folgorante esordiente Q'Orianka Kilcher). È proprio lei, sfrondata della melensa sovrastruttura del cartoon disneyano, a rifulgere di bellezza, in fusione panica con la natura di una Virginia ancora vergine oggi. Malick covava il progetto sin dagli anni '70, con un intenzione esplicita: tracciare una sottile linea rossa di sangue sul mito interracial. E' questo il presupposto ideologico del film contrappuntato poeticamente - come abbiamo detto - dal trittico bellezza, elegia, viaggio: un substrato socio-politico da cui discende innanzitutto un'inversione. Il nuovo mondo non è la Virginia attraccata dagli inglesi nel 1607, bensì la Gran Bretagna a cui approda Pocahontas-Rebecca, quale principessa della Virginia da esporre alla curiosità dei reali e della nobiltà. Un mutamento in primis di sguardo: è attraverso gli occhi di Pocahontas che noi e Malick guardiamo il film e la contrapposizione tra la fierezza della tribù dei nativi e la sporcizia morale del fortino della civiltà. Un procedimento dialettico travalicato dal contatto di amorosi sensi tra il soldato e l'indianina e sopito dalla camera di Malick, che regala inquadrature-quadro sature della cultura naturale dei nativi. Campi intrisi di una bellezza endemica, irriducibile a una traduzione, se non catalizzata dall'amore. E' da una dolente nostalgia che fluisce il corso elegiaco del film, che si snoda in anse placide e lente, persino noiose. Perchè il film intacca anche la dimensione temporale: ciclicità indigena vs. cronologia civilizzata, questo il dissidio di fondo. Una dicotomia fondamentale irriducibile sul piano spaziale, ovvero i viaggi tra vecchio-nuovo mondo. Non casualmente l'epilogo si consuma durante questo impossibile collegamento. Anzi, forse prima. Pocahontas rimane "soffocata" dal bustino che ne irregimenta il suo nuovo status civilizzato: la sua estroversione, le "cattive maniere", il danzare nella natura selvaggia della Virginia vengono annullate nelle rigide geometrie di un giardino all’inglese. La stessa fine del Barry Lindon kubrickiano. (Federico Pontiggia)

I film della stagione 2005-2006


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