Venerdì 29 ottobre | Ore 21:00 |
Sabato 30 ottobre |
Ore 21:00 |
Domenica 31 ottobre | Ore 16:00 e 21:00 |
Lunedì 1 novembre | Ore 21:00 |
Sabato 6 novembre | Ore 21:00 |
Domenica 7 novembre | Ore 16:00 e 21:00 |
Covington Pennsylvania è una tranquilla cittadina circondata da una bellissima foresta dove vivono strane creature mai viste. I cittadini di Covington sanno della loro esistenza ma vivono secondo il motto "Voi non venite nel nostro villaggio, e noi non verremo nella vostra foresta". Ma un giorno la cittadina viene attaccata...
Regia di M. Night Shyamalan |
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Joaquin Phoenix | Bryce Dallas Howard |
William Hurt | Sigourney Weaver |
Adrien Brody | Judy Greer |
Michael Pitt | Cherry Jones |
Jayne Atkinson | Celia Weston |
Valutazione Pastorale (dal sito dell'Associazione Cattolica Esercenti Cinema - ACEC)
Giudizio: Accettabile, complesso
Tematiche: Metafore del nostro tempo; Politica-Società; Psicologia
A Shyamalan piace spiazzare lo spettatore con improvvisi risvolti narrativi. Così era ne "Il sesto senso", e così é anche in questo sua ultima avventura che si potrebbe definire 'paranormale'. Calati per quattro/quinti del racconto in antiche atmosfere agresti (tra lume di candela e vestiti d'epoca), all'improvviso atterriamo nell'America delle strade lunghe e dei poliziotti rangers. Dunque quella comunità non era di 'ieri' ma vive nell'oggi, rifiutandolo e chiudendosi come se non esistesse. Salvo quando si ha bisogno di qualcosa di importante. Che cosa rappresentano quella comunità, quel bosco, quei mostri che non si vedono? Una fuga dalla realtà, la paura del nemico ignoto, la voglia di non compromettersi? E quella ragazza non-vedente che invece viene mandata a sfidare i mostri? Forse la cecità che vede con la forza dell'anima e dell'amore? Estremamente suggestivo, l'impianto generale della storia é tuttavia difficile da interpretare, é visionario ma con sconnessioni e vuoti di tempi narrativi. Palese sembra l'invito a non chiuderci in noi stessi, a non creare barriere inutili. Temi interessanti che, dal punto di vista pastorale, inducono a valutare il film come accettabile e nell'insieme complesso.
Utilizzazione: il film é da utilizzare in programmazione ordinaria, e da recuperare come stimolante metafora della nostra attualità.
Opera della maturità per l'autore del Sesto senso. Il suo terrore senza volto si trasmette per simboli e suggestioni
Nord America, fine '800: una piccola comunità vive isolata dal mondo, circondata da un bosco popolato da misteriose creature innominabili. La vita scorre tranquilla, ma non si deve trasgredire il divieto: nessuno deve avventurarsi nel bosco, portare il colore rosso o parlare delle creature. Il giovane Lucius (Joaquin Phoenix) non accetta questa interdizione: vorrebbe raggiungere la città per procurarsi medicinali e merci che scarseggiano. Dall'autore di Signs, un film di sottile inquietudine, che acceca lo spettatore per condurlo a occhi chiusi in un labirinto pauroso, come fa la non-vedente Ivy (Bryce Dallas Howard). La cecità non le impedisce di travalicare il confine (prerogativa dell'eroe secondo Lotman), forte del sesto senso dell'amore: il sistema chiuso della comunità verrà definitivamente demolito? Cinema claustrofobico, eppure il respiro di Shyamalan si avverte in ogni inquadratura: esasperando durata e complessità dei movimenti di macchina, il regista alza il film nei territori dell'iperrealismo magico per avere accesso alla porta del magico e all'incanto della favola. E con un'operazione dichiaratamente apolitica riesce a darci un'immagine dell'America post 11/9 più a fuoco di tanti altri "instant-movies" sul tema: forse la suspense che impregna gli spazi di The Village è la medesima avvertibile nel villaggio globale alla vigilia delle elezioni americane. Dopo la cine-inchiesta di Fahrenheit 9/11, l'agit-prop educational di The Corporation e il mockumentary ad effetto di September Tapes, per The Village si può legittimamente parlare di docu-immaginazione. (Federico Pontiggia)
"Più che un film di paura, 'The Village' è un film sulla paura: la paura che assedia l'America dopo gli attentati alle Twin Towers; la paura, che ne ha fatto un Paese protetto fino all'autoesclusione; la paura che i governanti usano come strumento di potere e di controllo della vita degli altri. Lì accanto, la nostalgia di un mondo innocente e aurorale, da cui l'America è stata definitivamente risvegliata all'inizio del millennio. 'The Village' è anche un film (non d'amore ma) sull'amore. L'amore si presenta come l'altra faccia della paura, che consente di non farsi annientare ma di crescere, di superarsi anche attraverso prove dolorose. Distinguendo in modo netto tra superstizione e fede, il film tocca il livello alto della parabola, mille leghe avanti alla gran parte dei thriller orrorifici in circolazione. E tutto ciò senza togliere un'unghia di paura, né del piacere di spaventarsi davanti a uno schermo." (Roberto Nepoti, 'la Repubblica', 29 ottobre 2005)
"'The Village' sembra 'La fattoria': e lo è, consapevolezza dei personaggi più giovani in meno. Ma non è questa la ragione per la quale 'The Village' lascia freddi. C'è soprattutto la sproporzione fra attese ed esito: se Shyamalan fosse un esordiente, il suo film si segnalerebbe come superiore alla media della produzione cinematografica americana; per non dire di quella italiana. Ma c'è ormai chi lo chiama maestro. Poi - come 'Big Fish' di Tim Burton - 'The Village' è velleitario e prolisso, anche per chi conosce i ritmi mai frenetici del regista d'origine indiana. Per quasi due ore qui non succede nulla. E il finale è degno di un episodio della serie tv 'Ai confini della realtà', spesso arguti, certo, ma vecchi di mezzo secolo. Infine, qui non c'è il cupo mistero del 'Sesto senso', né la nicciana durezza di 'Unbreakable': solo autocitazioni dal fiacco 'Signs'. Qualche unghiata, comunque c'è, ma sfuggirà ai più: l'irrisione del 'beati gli ultimi', con lo scemo e la cieca del 'Village' che, in quanto presunti innocenti, possono sfidare la minaccia delle creature del bosco; alla logica della proprietà privata, che devia le rotte degli aerei, se qualcuno d'importante tiene alla pace." (Maurizio Cabona, 'Il Giornale', 29 ottobre 2004)
"Il tipo di film prediletto dal regista americano trentaquattrenne M. Night Shyamalan, vicende soprannaturali di convivenza tra vivi e morti, thriller di fantasmi ha ottenuto nel mondo occidentale grandi e significativi successi: quasi che la gente cercasse fuori delle religioni altre fedi, altre speranze. (...) Gli spettatori vengono immersi in grovigli di simboli, il thriller può suscitare molte interpretazioni, l'incubo di un passato terribile si scioglie soltanto alla fine. Attenzione al colore giallo: sia nella accezione luminosa dei fiori di campo e del sole, sia nei toni più spenti, non è innocente." (Lietta Tornabuoni, 'La Stampa', 29 ottobre 2004)
"Piacerà alla sempre più folta schiera dei fans di M. Night Shyamalan, il regista di origine indù, che dopo tre en plein ('Sesto senso', 'Unbreakable' e 'Signs'), s'è conquistato il fatidico 'nome sopra il titolo'. Come Alfred Hitchcock. Nel cast ci sono Sigourney Weaver e William Hurt, ma sul manifesto li han messi, volutamente a caratteri illeggibili. Il film ha almeno una ventina di scene che strapperanno il griderello alle spettatrici in vena di esternazioni. (...) Ma 'The Village' ha anche il fascino delle più cupe favole gotiche. Che è l'odissea attraverso il bosco della piccola Bryce Dallas Howard se non una rivisitazione di Cappuccetto Rosso con gli aliens al posto del Lupo Cattivo?." (Giorgio Carbone, 'Libero', 29 ottobre 2004)
"Un microcosmo così perfetto e autosufficiente che odora di metafora lontano un miglio e quando la metafora è troppo scoperta, si sa, il film ne risente. Specie se il regista applica la sua innegabile maestria a uno schema narrativo che cominciamo a conoscere: mistero, minaccia (soprannaturale o meno), quasi-invisibilità della minaccia, rivelazione finale. Vedi 'Il sesto senso', 'Unbreakable' o 'Signs'. Ma Shyamalan non è mai stato così consapevole dei propri mezzi e da 'The Village', malgrado l'atmosfera, la tensione, la bellezza sinistra delle immagini, si esce pensierosi ma delusi. Come se improvvisamente il prestigiatore scoprisse un gioco più grande di lui. Magica comunque l'esordiente Bryce Dallas Howard, la ragazza cieca. Imbarazzato e rivelatore invece Adrien Brody nei panni del demente, anello debole della storia." (Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero', 29 ottobre 2004)
"Un inizio molto faticoso. Per l'inevitabile delusione di chi s'aspetta dal giovane maestro M. Night Shyamalan paure fragorose, trasalimenti in serie e overdosi di horror al 100 per cento. (...) Rispetto all'ottimo 'Il sesto senso' e ai buoni 'Unbreakable' e 'Signs', Shyamalan perde qualche colpo perché la consapevolezza dei propri mezzi lo porta ad allungare i tempi e le inquadrature, a giocare troppo con le atmosfere e ad allentare la tensione inseguendo metafore alquanto ambiziose. Tra le quali vanno catalogate il moderno terrore dell'ignoto, la tendenza globale all'isolamento xenofobo, l'ardua ricerca di un'idea di spiritualità e il dovere di prendere in carico il proprio destino superando debolezze infantili e ancestrali paure. La suggestione della fotografia e l'adeguatezza degli interpreti (la ragazza cieca è l'esordiente figlia del mitico Ron Howard) confermano, comunque, il talento del regista più vicino ai fratelli Grimm oggi a disposizione." (Valerio Caprara, 'Il Mattino', 30 ottobre 2004)