Sabato 5 aprile | Ore 21:00 |
Domenica 6 aprile | Ore 16:00 e 21:00 |
Il giovane Jimmy lavora in una fabbrica e vive ancora con la sorella piccola e la madre alcolizzata. La condizione degli amici di Jimmy è la stessa: povertà e desolazione. Jimmy ha una grande passione per il rap e passa il tempo a comporre nuovi versi con i suoi amici. Ma all'interno della comunità, per lo più costituita da neri, Jimmy non è visto di buon occhio. E le sue provocazioni non piacciono al capo di una banda. Jimmy, mettendo in gioco tutta la sua vita, continua a lavorare in fabbrica e a prepararsi per la gara finale.
Contiene canzoni di Eminem, Dr Dre e Jay Z
Eminem | Jimmy Smiths | Regia | Curtis Hanson |
Kim Basinger | Stephanie | Costumi | Mark Bridges |
Brittany Murphy | Alex | Sceneggiatura | Scott Silver |
Mekhi Phifer | David Porter | Fotografia | Rodrigo Prieto |
Taryn Manning | Janeane | Scenografia | Philip Messina |
Eugene Byrd | Wink | Montaggio | Jay Rabinowitz |
Durata | 1h e 50' |
Valutazione Pastorale (dal sito dell'Associazione Cattolica Esercenti Cinema - ACEC)
Giudizio: Inaccettabile, negativo
Tematiche: Amicizia; Famiglia - genitori figli; Musica
La lettura della trama offre un'idea solo parziale dell'accumulo di pesantezze che il racconto propone. Si dice che dovrebbe esserci qualcosa di autobiografico nella vicenda del protagonista, simile a colui che lo interpreta, ossia Eminem, la cui unica particolarità è quella di esser un bianco in un settore popolato da gente di colore. Preso atto, come si dice, di questi eventuali riferimenti realistici, resta tutto il resto: intanto un 'genere' musicale provocatorio che si basa sull'offesa e fa appello alla violenza; poi un quadro in cui i poveri si sfidano nella loro povertà all'insegna della legge del più forte; quindi turpiloquio senza freno, vendette, punizioni premeditate, rapporti sessuali improvvisati. Il tutto all'insegna di una 'normalità', di uno stile di vita da legge della giungla dato come unico possibile, senza via d'uscita. Che tutto questo panorama possa essere letto come ritratto di una cultura americana che affonda le proprie radici nelle tradizioni popolari degli afro-americani, in una cronaca della brutalità come disperazione, diventa notazione ancor più fuorviante. Non c'é compassione nelle immagini, non c'é quel disgusto che fermenta e crea le premesse per un riscatto nella dignità. Troppa insistenza, troppo compiacimento. Dal punto di vista pastorale, il film é da valutare come inaccettabile, e decisamente negativo.
Utilizzazione: l'utilizzazione é da evitare sia in programmazione ordinaria sia in altre circostanze. Il film ha il divieto ai minori di 14 anni *. Molta attenzione é da tenere per i minori in caso di passaggi televisivi.
* Nell'ottobre 2003 la revisione ministeriale ha eliminato tale divieto
"Semi - autobiografia annunciata, il debutto di Eminem al cinema rischiava di essere un santino e una boiata, come i film di Britney Spears e Mariah Carey. E' andata bene. Hanson ha diretto un buon vecchio mélo, un 'Gioventù bruciata' del terzo millennio che contiene anche una tesi: la violenza verbale del rap esorcizza la violenza fisica". (Roberto Nepoti, 'la Repubblica', 15 marzo 2003)
"Almeno tre ragioni spiegano perché '8 Mile' di Curtis Hanson sia bello, un vero film-evento che ha avuto negli Stati Uniti grandissimo successo e che ha rivelato Eminem come un ottimo interprete. Prima cosa, la musica: l'hip hop capace di far sentire vivi, di far provare emozioni, di sfogare rabbie, di servire come arma di confronto e di conflitto per i ragazzi della miseria e della degradazione, soprattutto neri ma eccezionalmente pure un bianco, e anche la bellissima canzone di Eminem, 'Lose Yourself', perdi te stesso. Seconda cosa lui, il protagonista: Marshall Mathers, detto agli inizi M&M e più tardi Eminem, trent'anni, rapper famoso, ruvida bellezza popolana, bravo e duro, uno di quegli artisti trasgressivi e sovversivi, terribili o terribilisti, con i quali il mondo dello spettacolo americano ama civettare almeno sino a quando la loro malvagità rimane innocua. (?) Per ultima, ma non ultima ragione della riuscita e del fascino di '8 Mile' è il suo regista, Curtis Hanson di 'L.A. Confidential', che ha dato al film una forte patina realistica, romantica, struggente. La città di Detroit, nella sua decadenza di ex Motor Town, ha un'intensità di luogo da fuggire e insieme da non poter lasciare, una povertà dickensiana, un'autentica desolazione. Il protagonista ha momenti, dettagli, solitudini che spezzano il cuore; le luci soprattutto notturne possiedono una intrinseca eloquenza; gli stereotipi sottoculturali del film di genere diventano emozionanti come versi belli. (Lietta Tornabuoni, 'La Stampa', 15 marzo 2003)
"Azzoppato, ferito, claudicante, il sogno americano resiste ancora. E vince. Almeno in '8 Mile' del bravo Curtis Hanson di 'L.A. Confidential', che in questo film spesso notturno - anche moralmente - tira le fila di molto cinema americano sui giovani. (...) Una favola hip hop con linguaggio da fumetto, ma dura, provocatoria, desolata: riflessa nella bravura esplosiva di Kim Basinger. Marshall Bruce Mathers detto Eminem, il famoso rapper macho e bianco amico dei ragazzi ma nemico delle mamme, per essere misantropo, cinico e omofobico, il più discolo incubo pop dopo Elvis, ribalta totalmente la sua immagine in una biografia di tipico neorealismo americano, baciato dagli stereotipi e dalla retorica della finzione ma anche vero negli snodi sociali e narrativi. Diventa alla prima prova un good boy dalla personalità disperatamente infantile che vince con costanza e volontà, un attore che magnetizza il film su di lui, espressivo, elettrico, con lo sguardo malinconico di chi vede una realtà apocalittica da umiliato e offeso e con un senso d'impotenza negli occhi. Ai 30 milioni di album venduti, ai 5 Grammy, Eminem ora aggiunge in un film in cui gira l'aria del tempo quest'interpretazione così naturalmente centrata in un ruolo per metà autobiografico, cui porta in dote anche una canzone bella e straziante, 'Lose yourself'". (Maurizio Porro, 'Corriere della Sera', 15 marzo 2003)
"A prescindere dall'interpretazione di Eminem (riuscita, ammettiamolo), quello che non va di '8 Mile' è l'elementarità d'approccio a un mondo ricchissimo, intenso e stimolante, il rap. Perché non basta 'intenderlo' come un universo di lotta anche fisica: bisogna avere sangue a descrivere qualcosa di più di un quadretto alla fine conciliante e perfino buonista. (...) Si potrebbe leggere '8 Mile' come un 'gang-movie', opera su un'alternativa di battaglia metropolitana: al posto di cazzotti coltelli e proiettili, una raffica di battute (spesso non meno dolorose e sanguinose). L'altra faccia di 'I guerrieri della notte': allora sì che diventerebbe un bel film. Purtroppo, somiglia più a un 'Flashdance' macho". (Pier Maria Bocchi, 'Film TV', 18 marzo 2003)
"'8 Mile' è un mélo contemporaneo, dove la musica rap fa da contraltare. La storia, ambientata a metà degli anni '90 su scenari rigorosamente autentici, compreso un magnifico teatro trasformato in parcheggio per auto e i locali storici dell'hip-hop, è infatti quella classica, con la voglia di riscatto a fare da molla decisiva. Ma Hanson e con lui lo sceneggiatore Silver non hanno intenzione di vendere fumo, concedono al protagonista di esibirsi nelle kermesse rap improvvisate per cercare il successo, ma lo tengono sempre ben inchiodato al suo mondo e a quella fabbrica dove i soldi sono pochi e le gratificazioni ancora meno. Eminem, chiamato a muoversi in spazi che conosce, riesce a dare spessore e credibilità al personaggio come se fosse un interprete inveterato e non un esordiente. Kim Basinger, che Hanson aveva già portato all'Oscar per 'L.A. Confidential', è mamma Stephanie, la bionda che fa sbavare gli amici di Jimmy bianchi e neri senza distinzione, gente che suona autentica nel menare vita grama e nel cercare di svoltare". (Antonello Catacchio, 'Ciak', 28 febbraio 2003)