Questo evento non è attualmente presente nella programmazione dell'auditorium
Per conoscere la nostra programmazione vai alla home page del sito con oppure utilizza uno dei nostri canali informativi: newsletter
Sullo sfondo della guerra fredda, passione e sentimento si intrecciano disegnando un'intensa e indimenticabile storia d'amore.
Regia: Pawel Pawlikowski
Interpreti: Tomasz Kot, Agata Kulesza, Joanna Kulig, Borys Szyc, Cédric Kahn, Jeanne Balibar, Adam Woronowicz, Adam Ferency, Slavko Sobin
Sceneggiatura: Pawel Pawlikowski, Janusz Glowacki
Fotografia: Lukasz Zal
Montaggio: Jaroslaw Kaminski
Musiche: Maciej Pawlowski, Miroslaw Makowski
Durata: un'ora e 28 minuti
"(...). I sentimenti fanno a pugni con la politica... ma Zula e Viktor non sono personaggi di fantasia. Riflettono i genitori del regista che a loro si è ispirato per raccontare l'amore in un bianco e nero emozionante con musiche suggestive. Unico difettuccio: piccoli buchi nella trama, ma in fondo non sempre va rivelato tutto". (SteG, 'il Giornale', 20 dicembre 2018)
“Andiamo dall’altra parte, la vista è migliore da lì”.
Dopo l’Oscar per Ida, Pawel Pawlikowski firma un altro grande film in bianco e nero, ancora una volta adottando l’aspect ratio 1:1.37.
E torna alla Polonia dell’immediato dopoguerra, nel 1949, quando dal nulla di villaggi rurali seminascosti dal bianco inghiottente della neve e del cielo, iniziò il reclutamento di quello che da lì a poco divenne il “Mazowsze”, corpo di balli e canti popolari nato per volontà del governo filosovietico, che venne poi esportato in tutto il blocco orientale nell’arco degli anni ’50.
È in questo contesto che prende forma l’incredibile storia d’amore tra Wiktor (Tomasz Kot), musicista e direttore della compagnia, e l’allieva Zula (Joanna Kulig), ragazza su cui grava il sospetto di aver ucciso il proprio padre.
Arrivati a Berlino Est per un’esibizione, Wiktor organizza la fuga
dall’altra parte del blocco per vivere finalmente in libertà quella
storia d’amore. Ma Zula, contro ogni previsione, non si presenta
all’appuntamento concordato.
È l’inizio di uno straordinario
melodramma al di qua e al di là della cortina di ferro. Che il regista
polacco costruisce per frammenti, balzando in avanti negli anni (fino ad
arrivare a metà anni ’60), tra una dissolvenza in nero e un’altra,
facendo perdere e incontrare i due protagonisti più volte.
Dal suggestivo e trascinante folk tradizionale si arriva alle
contaminazioni jazz parigine di fine anni ’50, e lo sviluppo dei due
personaggi (interpretati con una classe rara, e Joanna Kulig – già vista
in Ida – farà parlare di sé) è inscritto nei cambiamenti emotivi che un
mutamento così repentino e cruciale di quell’epoca portava con sé.
Forma e racconto si amalgamano per un’operazione che vagamente potrebbe
ricordare il Frantz di Ozon, anche se qui l’asticella si alza in favore
di una portata romantica maggiore: basti pensare alla dedica finale di
Pawlikowski, “ai miei genitori”, che con i due protagonisti condividono
il nome di battesimo (Wiktor e Zula) e gran parte di una storia d’amore
travagliata: “Erano entrambi due persone forti e meravigliose, ma come
coppia un infinito disastro”, ha detto lo stesso regista.
Che in Cold War – premiato per la regia a Cannes 2018 e trionfatore agli EFA, gli Oscar europei, con 5 statuette per miglior film, regia, montaggio, sceneggiatura e attrice – li riporta in vita (sono entrambi morti nel 1989, poco prima che venisse abbattuto il Muro di Berlino) per farli tornare a suonare, cantare e danzare quell’amore così travolgente e impossibile, tra la natia Polonia, la Berlino divisa, la Jugoslavia e la Parigi bohémien dove ogni cosa sembrava possibile, ma la purezza del primo incontro sembrava perduta.
E allora meglio rimettere in discussione ogni cosa, ogni occasione di soddisfazione artistica e personale, e riassaporare la nostalgia di quella chiesetta diroccata nel fango. Per poi osservare l’orizzonte da una panchina. E spostarsi di nuovo: “Andiamo dall’altra parte, la vista è migliore da lì”. (Valerio Sammarco)